Non colpevole, ma…

Non colpevole, ma…

In quest’epoca di smodata e morbosa attenzione della cronaca verso vicende criminali che pressoché quotidianamente vengono fatte assurgere (a scopo di puro accaparramento di audience) a “processi del secolo”, non può non essere salutato con soddisfazione l’interesse suscitato nei mass media e nella pubblica opinione dalla incriminazione del celebre scrittore Erri De Luca per aver manifestato la propria adesione alle posizioni “No Tav” con parole “forti”, in cui la Procura della Repubblica di Torino aveva configurato il reato di istigazione a delinquere.

Infatti, sebbene anche in questo caso si sia rischiato di riprodurre il trito schema delle opposte tifoserie di innocentisti e colpevolisti per partito preso, è innegabile che l’affaire invitasse a riflettere seriamente su almeno due questioni: a) è giusto processare un intellettuale per aver espresso, sia pure in modi criticabili, la propria opinione? b) può legittimamente negarsi che vi sia un confine superato il quale la libertà di espressione entra in conflitto con beni della vita altrettanto importanti e, comunque, meritevoli di protezione? Volendo semplificare, la risposta ad ambedue gli interrogativi è: no. Tuttavia, alcune precisazioni appaiono necessarie. La risposta negativa alla prima domanda affonda le proprie radici nel pensiero di Voltaire, del quale resta scolpito l’aforisma “Non condivido ciò che dici, ma sarei disposto a dare la vita perché tu possa dirlo”. È questa la base del diritto di libera manifestazione del pensiero sancito dall’art. 21 della nostra Costituzione e presente, con gli stessi connotati di sacralità ed inviolabilità, in tutte le costituzioni dei paesi democratici. Da questo punto di vista, l’assoluzione dello scrittore perché il fatto non sussiste è sicuramente motivo di sollievo, non solo perché, per elementare principio di civiltà, non si possono incriminare le parole di uno scrittore, ma anche perché, limitandosi essa a sancire che ciò che non sussiste è la fattispecie criminosa della istigazione a delinquere, lascia inalterata la libertà di ciascuno di noi di formulare una condanna, o quanto meno una riserva, “morale” per la natura di quelle parole. E qui si innesta la risposta negativa alla seconda domanda.

Erri De Luca, infatti, non poteva ignorare, e sicuramente non ignorava, che il suo elogio del “sabotaggio” e delle “cesoie” evoca, e più o meno esplicitamente avalla, gli atti violenti che nei cantieri della Val di Susa si sono frequentemente verificati e che, in quanto tali, al di là di ogni ipotetica giustificazione, sono e restano illeciti perché diretti contro beni della vita protetti dall’ordinamento. L’assoluzione, quindi, se conferma condivisibilmente che il diritto alla “parola contraria” rivendicato dallo stesso scrittore è sacro ed inviolabile, non priva ciascuno di noi del diritto di pensare che, nella circostanza, il protagonista della vicenda non sia stato un buon maestro.

Di Clara Piazza

 

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