Sono passati 5 anni da quando è stato liquidato il generale Muammar Gheddafi dalla coalizione franco-britannica, pensando che sarebbe in qualche modo bastato per una transizione fare affidamento sulle “forze moderate”. Da quella che doveva essere per i libici una rivoluzione storica rappresentativa del capovolgimento della dittatura, si trova tuttora in una guerra civile interminabile e sanguinosa. La Libia è sprofondata politicamente e si è amplificato il consolidamento dei jihadisti nel paese. Inoltre, sono falliti gli ultimi due tentativi di formare un governo di coalizione nazionale malgrado i tentativi delle Nazioni Unite. Rimangono troppo forti le rivalità tra le numerose milizie libiche e la scissione tra il governo riconosciuto di Tobruk nell’est del paese e il governo della “Salvezza Nazionale” a Tripoli ci mostra quanto sia forte la frammentazione del potere. Questa situazione da un quadro molto preoccupante, e il tempo stringe.
L’instabilità del paese è un rischio per la sicurezza internazionale, ma è l’Italia che ne risente di più economicamente e politicamente. La Libia non è più quell’esportatore mondiale di oro nero—che forniva oltre il 40% del nostro petrolio—guidato da un uomo con cui si potevano fare gli affari. Ormai è diventato un paese in stato di abbandono da cui stanno traendo i più grandi benefici i trafficanti di uomini provenienti dall’Africa sub-sahariana protetti dall’assenza del governo libico. Questo vero e proprio business che garantisce guadagni tra i 250 e i 300 milioni di euro accentua gravemente il problema migratorio che affligge in primo luogo l’Italia. E’ anche per questo che è necessario tutelare la situazione libica. Negli ultimi mesi infatti si sono intensificati i controlli nel Mediterraneo contro gli ‘scafisti’ e stanno diminuendo le imbarcazioni dalla Libia per le nostre spiagge, adesso la meta migliore è la Grecia.
Ma invece quello che continua a rafforzarsi in Libia sono le forze jihadiste. Da quando è collassato l’apparato statale (e quindi anche militare) si è inevitabilmente creato un vuoto di potere che ha creato un terreno fertile e di grande attrazione per l’ISIS. Nella sua brutalità, come in Siria, la minaccia si è espansa in maniera rapida. In due anni l’ISIS si è impadronito di alcuni giacimenti petroliferi, ricavando dollari con cui può espandere il suo network terroristico, reclutando uomini disperati e fornendo armi ai suoi mercenari. Questo consolidamento va a detrimento di qualsiasi prospettiva di pace o stabilità, il che rende naturalmente difficile la formazione di un governo affidabile. Geograficamente l’ISIS controlla grande parte del deserto al Sud e ha preso possesso di Sirte (una volta la roccaforte costiera di Gheddafi) al nord espandendosi per 160 km nei suoi dintorni, spezzando la Libia e lasciando i due governi collocati ad est e ovest del paese in grande precarietà. Sicuramente Gheddafi era un tiranno, ma era riuscito a dare una dimensione geopolitica al paese e riusciva a proteggere i suoi cittadini.
La Libia non si potrà rimarginare da sola e sarà necessaria una soluzione internazionale al più presto se non si vuole rischiare il peggio. Ricordiamoci che la Libia è un paese grande sei volte l’Italia e altamente diviso etnicamente e non hai mai vissuto una unificazione sociale. E’ sempre stato composto da tribù beduine (che ormai si sono trasformate in pericolose fazioni armate) tenute a bada solo dalla mano forte di Gheddafi. Da qualche mese stanno lavorando in Libia (specialmente a Bengasi) le forze speciali britanniche e francesi per addestrare e cercare di unificare le diverse milizie, anche se difficilmente ciò porterà a risultati durevoli e, anzi, nutrirà la propaganda del califfo Al-Baghdadi. La Nato sta già intervenendo con droni sulle postazioni dell’ISIS. Ma gettare bombe sui jihadisti non sarà una tattica vincente, se non si consegue un accordo politico tra un governo libico unito sostenuto dalla comunità internazionale. Per arrivare ad una strategia coerente, gli sviluppi politici tra Tobruk e Tripoli dovranno essere sostenuti con grande decisione dalla diplomazia per arrivare ad una implementazione effettiva dell’accordo tra le due parti. Solo su questa base potranno eventualmente entrare le forze della comunità internazionale lungo la costa libica.
In questo quadro molto movimentato e fitto di incertezze non sono da dimenticare le altre potenze come l’Egitto, la Giordania e gli Emirati Arabi che hanno un interesse geostrategico in Libia. Esse sembrano intenzionati a formare una coalizione anti-jihadista e l’Egitto ha manifestato il suo appoggio per il Generale Khalifa Haftar (alleato del governo di Tobruk).
Fatto sta che lo scenario tende a complicarsi sempre di più, ma soprattutto tende a ripetersi (si veda Iraq, Afghanistan e Siria). Continuiamo a non imparare dai nostri errori e di nuovo ci troviamo impantanati in una crisi senza una vera prospettiva all’orizzonte. Sergio Romano ha commentato la politica eseguita in Libia come uno dei peggiori avvenimenti dalla crisi di Suez nel 1956. E’ nostro dovere ammettere che l’intervento in Libia è stato disastroso, sotto tutti i punti di vista, e che esso ha strappato una tela che sarà molto difficile da ricucire.