Roma – E ‘ indiscutibile il clamore mediatico suscitato dalla orrida vicenda (“omicidio Varani”) i cui retroscena appaiono torbidi non meno delle vite dei protagonisti, e scandita dall’alterarsi di raptus di irrefrenabile e ‘lucida follia’ omicida (gli inquirenti stando alle confessioni di uno dei rei riportano alla luce un recondito ed agghiacciante “desiderio volto a far male”) ad altrettanti frangenti di incoscienza letale. L’ accusa potrebbe essere quella di omicidio doloso aggravato da sevizie, crudeltà nonché dall’ aver profittato di circostanze tali da ostacolare la pubblica e privata difesa (il gip ha invece escluso quella della premeditazione). Una lugubre escalation di brutali atti i cui tratti tipici richiamano quelli di una vera e propria tortura inferta al ragazzo.
I richiamati fatti di cronaca e da ultimo l’episodio di Torino, risalente a non molte ore fa, mostrano quanto ormai sia divenuta ineludibile la necessità di disciplinare, anche in Italia, nel nostro codice penale, il reato di tortura. Sono trascorsi diversi mesi infatti dal giorno in cui, sulla scia della indignazione nazionale e comunitaria, la Camera dei Deputati ha approvato il disegno di legge richiesto dall’Unione Europea. Il testo prevedeva 4-10 anni di reclusione come pena base, ed un aggravamento per l’ipotesi (vero nodo del provvedimento che verrebbe così a configurare un reato contro le forze dell’ordine) di commissione da parte di pubblico ufficiale o da un incaricato di pubblico servizio “con abuso di poteri”. La legge non solo è stata modificata nuovamente (con pene minori e margini di applicazione ancora più limitati) dalla Commissione Giustizia del Senato, ma risulta dispersa, paralizzata, a Palazzo Madama. Passata l’ondata mediatica, lo status quo è stato ripristinato con invidiabile nonchalance. La legge pare adesso nuovamente caduta nel dimenticatoio (e se prima o poi qualcuno dovesse ricordarsene servirà un altro via libera dall’Aula e l’ennesimo ritorno alla Camera dei deputati perché il DDL diventi finalmente legge dello Stato).
Eppure quello proveniente da Strasburgo suonava come un vero e proprio ordine perentorio, motivato da un indecente ritardo trentennale (anche a seguito della condanna da parte della Corte edu per i fatti della Diaz, nell’ambito del G8 di Genova). Ad oggi il reato è punito in Francia e Regno Unito con la pena massima dell’Ergastolo (in Spagna è di 6 anni invece) mentre l’ Italia non è giunta a prevedere neppure il minimo di pena.
Secondo quanto riportato da “L’espresso”, dal 1996 ad oggi sarebbero 66 le proposte di legge effettuate sulla tortura, “la maggior parte delle quali non ha neppure iniziato l’iter parlamentare”. Come si legge in una relazione parlamentare (2015) sono oltre 10.100 i ricorsi presentati contro l’Italia alla Corte Edu (secondi solo all’ Ucraina) ma sono emersi ulteriori affari non ancora comunicati al governo italiano che aggravano il quadro delle future condanne e dai quali risulta un «uso sproporzionato della forza da parte delle forze dell’ordine nei confronti di persone sottoposte a restrizione e mancanza di indagine effettiva»
In definitiva, questa preoccupante impasse in cui versa il nostro Parlamento pare non offrire, per ora, rassicuranti prospettive su un prossimo superamento di siffatto abisso normativo. Nel frattempo, nonostante il cumulo di corsi e ricorsi (tra gli ultimi il caso del carcere di Asti del novembre 2015) all’ ondata di sdegno segue un impietoso silenzio (quanto meno fino alla prossima Diaz).
A cura di Gianpiero Gaudiosi