Elezioni anticipate in Serbia: gli europeisti si riconfermano al governo

Elezioni anticipate in Serbia: gli europeisti si riconfermano al governo

Aleksandar Vucic perde seggi al Parlamento ma vince con il 49%: la vera sfida per il neo-rieletto è collocare la Serbia tra UE e Russia.

Lo scorso 24 aprile si sono tenute in Serbia le elezioni  legislative anticipate volute dal primo ministro Aleksandar Vucic. A due anni dalla scadenza del mandato e dal normale svolgimento delle elezioni, Vucic ha chiesto al popolo di recarsi alle urne per rafforzare la solidità del suo Governo, tentando un aumento dei seggi già occupati in Parlamento. I risultati su cui si è ampiamente discusso durante tutta la scorsa settimana hanno, tuttavia, tradito le sue aspettative e hanno rivelato il rischio di un terribile flop. Vucic, in carica dal 2014, allevato dall’ex presidente Slobodan Milosevic e già ministro prima dell’informazione e poi della difesa, è fondatore ed esponente del Partito progressista serbo; nazional-conservatore, sostiene strenuamente l’ingresso della Serbia nell’Unione Europa, è contrario all’indipendenza del Kosovo ed è favorevole ad intrattenere relazioni con la Russia di Putin. Le elezioni  hanno confermato l’incontestabile vittoria di Vucic, ma hanno anche registrato la perdita di 27 seggi al Parlamento rispetto alle elezioni del 2014, mentre il Partito Radicale di stampo ultranazionalista guidato da Vojislav Seselj, ha registrato un lieve miglioramento, ottenendo il 7,4% dei voti. Situazione invariata, invece, per il secondo partito più importante della Serbia, il Partito Socialista.

Vucic, dunque, sebbene amareggiato ha vinto la sua grande scommessa, ma la sua riconferma al Governo, ha sollevato non poche polemiche e ha suscitato forti dubbi circa il futuro del Paese. Il premier, infatti, ha costruito tutta la sua campagna elettorale sull’ingresso della Serbia nell’Unione Europea, tanto da dichiarare, a ridosso della vittoria: “Serbia will continue on its European path and we’ll try to accelarate it”; già nel 2015 infatti, ha aperto i primi due capitoli per il negoziato di adesione. Tra i primi problemi che ne ostacolerebbero l’ingresso, tuttavia, vi è la crisi dell’Unione Europea. Negli ultimi anni Bruxelles e i 28 non sembrano interessati ad un allargamento, e lo spettro del “Bretix” , la paventata recessione della Gran Bretagna dall’Unione, si va ad aggiungere una spirale di angoscia, crisi economica, flussi di migrazione e costruzione di barriere. Già nel 2014, inoltre, le istituzioni europee espressero un parere non favorevole alla richiesta di adesione del Paese nella comunità per la mancanza dei criteri adeguati. Secondo l’Unione Europea, infatti, conditio sine qua non per ottenere lo status di membro sarebbe per la Serbia abbandonare le rivendicazioni sul Kosovo e ammettere la sua esistenza come regione a maggioranza etnica albanese, riconoscimento che invece ben 115 Stati membri ONU hanno gli già hanno concesso. Altra questione di carattere internazionale che frena la Commissione è il fatto che la Serbia ha più volte mostrato piena adesione alla politica estera russa, rifiutandosi di collaborare all’imposizione delle sanzioni alla Russia per aver provocato la destabilizzazione dell’Ucraina. Lo stesso Vucic, inoltre, ha dichiarato di voler mantenere buone relazioni con il Cremlino, tanto da far dubitare della volontà di privilegiare i rapporti, invece, con l’Unione Europea.  Ma le questioni non si esauriscono all’estero. Il neo rieletto presidente, infatti, deve far fronte ad un’altra sfida tutta interna al Paese. Negli ultimi anni la percentuale di serbi a favore dell’ingresso nell’Unione Europea è diminuita di quindici punti percentuali, mentre è aumentato del 20% il numero di cittadini che chiedono un riavvicinamento alla Russia, covando ancora rancore per i bombardamenti NATO del 1999. I dati dell’opinione pubblica si intrecciano, infine, con l’avanzata del partito ultranazionalista di Seselj che, sostenendo il progetto della Greater Serbia vicina alla Russia, ha dato fuoco pubblicamente alle bandiere dell’Unione Europea e della NATO riscuotendo successo tra i più estremisti

Grandi prove attendono Aleksandar Vucic: da un lato convincere l’UE ad accordargli lo status di membro profondendo notevoli sforzi in termini di rule of law e riconoscendo le rivendicazioni kosovare; dall’altro deve evitare che l’avvicinamento a Bruxelles possa causare il deterioramento delle relazioni con Putin, rischiando di indebolire ulteriormente un’economia già in forte decrescita. Traghettare un paese di lunga tradizione nazionalista e con un’opinione pubblica divisa e in fase di graduale allontanamento dalle posizioni europeiste, può nascondere non poche insidie. Vucic, sospeso in un presente incerto, necessita di politiche convincenti che collochino il suo Paese in una posizione più salda, a metà strada tra passato e futuro.

 

A cura di Emilia Sgariglia

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