Immagina di essere bloccato in una stanza dai tuoi stessi familiari. Il terrore, la lama, l’ago che attraversa la pelle. Il dolore, per giorni, mesi, anni, se non addirittura la morte. Terrificanti gli ultimi dati raccolti da UNICEF (http://www.unicef.org/media/files/FGMC_2016_brochure_final_UNICEF_SPREAD(2).pdf ) secondo cui sarebbero 200 milioni le donne che nel 2014, in trenta diversi paesi, hanno subito la mutilazione genitale femminile e ben 44 milioni di queste in età inferiore ai 15 anni.
Con il termine mutilazione genitale femminile si intendono tutte le procedure che modificano o causano lesioni intenzionali agli organi genitali femminili per ragioni non mediche. Tali pratiche sono per lo più eseguite senza anestesia con l’utilizzo di strumenti fortuiti, quali forbici, coltelli, rasoi, lame e vetri rotti, e sono classificabili in quattro diversi tipi: I. circoncisione (o infibulazione al-sunna), l’asportazione della punta del clitoride con fuoriuscita di sette gocce di sangue simboliche; II. escissione del clitoride, ossia l’asportazione del clitoride e il taglio totale o parziale delle piccole labbra; III. infibulazione (o circoncisione faraonica o sudanese), la più invasiva che prevede l’asportazione del clitoride, delle piccole labbra, spesso di parte delle grandi labbra vaginali, con la successiva cucitura della vulva; IV. una serie di interventi di varia natura sui genitali femminili. Le vittime della mutilazione genitale femminile subiscono una vera e propria tortura con conseguenze non solo a breve termine, quali immobilità, infezioni ed emorragie, ma anche a lungo termine, a livello fisico e psico-sessuale, che ne condizionano la semplice quotidianità (difficoltà nella minzione, nei rapporti sessuali e nel parto).
All’origine di tale pratica vi sono ragioni di carattere igienico, estetico, spirituale, religioso, psicologico, sessuale, culturale, tutte legate al riconoscimento sociale della donna nella comunità di appartenenza, in particolare al momento del passaggio dall’età infantile all’età adulta, che vede il suo completamento nel matrimonio. Vi è, infatti, la ricerca di una sorta di purezza ed integrità attraverso tale consuetudine che comporta la spersonalizzazione della donna, la mortificazione della sua sessualità, la violazione dei suoi diritti fondamentali e soprattutto la lesione della sua dignità. La mutilazione genitale femminile non è più un problema circoscritto e, benché i dati rilevino che più della metà delle vittime si trovi in Etiopia, Egitto e Indonesia, si è estesa a livello mondiale a causa dei fenomeni migratori. Per questo è necessario compiere ulteriori sforzi comuni per rompere il silenzio di una pratica ancora fortemente radicata nelle convinzioni sociali culturali e spirituali difficili da estirpare e che trova il tacito consenso di autorità periferiche e centrali, rappresentanti religiosi e addirittura di personale medico.
In questa lotta contro la mutilazione genitale femminile sono stati compiuti numerosi progressi a partire dalla famosa dichiarazione congiunta del 1997 dell’OMS con l’UNICEF e l’UNFPA, che attualmente guidano il più grande programma globale per l’abbandono di tale pratica. In particolare, l’ONU ha assunto un ruolo fondamentale, non solo istituendo la Giornata Mondiale contro le Mutilazioni Genitali Femminili, ma includendo fra gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDG o Sustainable Development Goals) l’impegno della comunità internazionale ad eliminare ogni forma di violenza contro le donne e le bambine, compresa la mutilazione genitale femminile.
Accanto all’impegno delle organizzazioni internazionali, quali quelle appena citate, vi sono stati numerosi sforzi anche a livello europeo e nazionale. A tale riguardo è da rilevare la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica (Convenzione d’Instanbul), di cui è stata pubblicata una guida in collaborazione con Amnesty International, che da sempre è impegnata in prima linea nella tutela delle donne e delle bambine vittime di tali pratiche.
In Italia la mutilazione genitale femminile è considerata un delitto punibile ai sensi degli artt. 583 bis e 583 c.p. introdotti dalla L. 9/1/2006, n. 7, legge in cui sono elencate misure in materia di prevenzione, assistenza e formazione del personale sanitario. Nonostante questi importanti passi in avanti e la presenza di un numero di casi minore rispetto al passato, è evidente la necessità di interventi a lungo termine più incisivi e a più livelli, da quello politico-legislativo, giudiziario a socio-assistenziale ed educativo, che prevedano il coinvolgimento di tutti gli attori, dai singoli alle istituzioni, in un progetto comune volto a superare tale piaga.
Non solo. È importare ripartire dalla coscienza individuale, sensibilizzandola, anche grazie al supporto dei mass media, perché si acquisisca maggiore consapevolezza di tale spinosa questione e si possa finalmente spostare l’attenzione, per usare le parole di Ban Ki-Moon (New York, 2016), ‘dalla mutilazione all’educazione’ potenziando il ruolo della donna nella società.
A cura di Viviana Vincenti