L’America di Trump
Al momento della prima stesura di quest’articolo, diciotto ore fa, la possibilità che Donald Trump diventasse il nuovo presidente degli Stati Uniti d’America era considerata praticamente inesistente. Il giorno dopo, a proclamazione avvenuta, non sta a noi analizzare le dinamiche che hanno portato a questo risultato, bensì cercare di stabilire cosa succederà adesso. Che aspetto avrà l’America sotto la presidenza Trump?
Sicuramente non è facile dare una risposta precisa. Il programma elettorale di Trump, da sempre approssimativo, sembrava cambiare di volta in volta, modificato a volontà per attirare quanti più elettori possibile dell’occasione. Ma è possibile, a grandi linee, ipotizzare i punti chiave della presidenza USA più bizzarra di sempre.
Politica Estera
La politica estera degli Stati Uniti, è risaputo, fa sentire le sue conseguenze in tutto il mondo. Quella di Trump sembra essere un miscuglio mai visto prima – alimentato alternamente dal desiderio di voler fare la voce grossa e preservare gli interessi USA, cercando allo stesso tempo di evitare occasioni di confronto con i leader occidentali e rifiutando il tradizionale ruolo di guida del Primo Mondo che l’America ha assunto, volente o nolente, dalla fine della Seconda Guerra Mondiale.
Le contraddizioni di Trump non sono mai state così evidenti come in ambito di politica estera. Il nuovo presidente è un isolazionista convinto, che si è dichiarato stufo del ruolo degli USA come ‘poliziotto del mondo’, eppure allo stesso tempo Trump è favorevole alla creazione di una nuova intesa con la Russia di Putin, leader che ha detto di ammirare e da cui ha ricevuto complimenti in cambio.
La sua ammirazione dei metodi autoritari del presidente russo non si estende alla Corea del Nord: in passato Trump ha pesantemente insultato il leader nordcoreano Kim Jon Un, allo stesso tempo senza precludere la possibilità di negoziati e dicendosi stufo della protratta presenza militare statunitense in Corea del Sud. E’ chiaro che Trump preferirebbe rilocare le truppe dalla Corea al Mar della Cina, per tenere un occhio sul Paese che sembra vedere come il peggior nemico degli Stati Uniti, sia dal punto di vista politico che economico.
In Medio Oriente, Trump si dice pronto ad intervenire sia in Siria – per combattere l’ISIS tramite un piano che si è rifiutato di divulgare – che in Iran, paese che ancora considera una minaccia nonostante l’accordo raggiunto con gli USA sul nucleare pensato in origine proprio da Hillary Clinton. Per quanto riguarda l’Occidente, Trump ha più volte criticato la NATO – definendola inutile e obsoleta – e non sembra avere intenzione di intrattenere molti rapporti con l’Europa o di mettersi alla guida della sfera di influenza atlantica che Hillary Clinton sembra così determinata a consolidare. Da questo punto di vista, una presidenza Trump molto probabilmente permetterebbe all’Europa di godere di un periodo di minima interferenza da parte degli USA, una marcata differenza rispetto al nostro recente passato.
Politica Sociale
E’ ormai certo che il famigerato muro di confine con il Messico, tanto decantato durante le primarie, non si farà. Si tratterebbe infatti di una magnus opus dal costo proibitivo e innumerevoli problemi di progettazione ed implementazione, e sarebbe preferibile per Trump concentrare i suoi sforzi in ambito di immigrazione in altri modi – per esempio, deportando tutti i clandestini presenti negli Stati Uniti, un’altra promessa elettorale monumentale che Trump avrà difficoltà a mantenere. E’ impossibile stabilire con certezza quanti siano gli immigrati irregolari negli USA e tantomeno deportarli tutti; ma si può prevedere con certezza che sotto Trump il numero di deportazioni aumenterà, e che risulterà molto più difficile per immigrati senza documenti ottenere permessi di soggiorno.
Anche nell’ambito dei diritti civili si prevedono restrizioni. Trump ha dichiarato durante l’ultimo dibattito di voler rendere l’aborto illegale, nonostante sia improbabile che si verifichi questa particolare eventualità lo stesso non si può dire riguardo ad altre conquiste sociali. Non è da sottovalutarsi la possibilità che che il matrimonio omosessuale così recentemente legalizzato non rimanga tale sotto il governo di Trump. Inoltre, il nuovo presidente si è detto favorevole a legislazioni che permettano al singolo governo statale o individuo se decidere di discriminare sulla base di ragioni personali o religiose, nel nome di quella libertà così cara all’elettorato statunitense.
Politica Economica
In campo economico le posizioni di Trump sono molto vicine a quelle tradizionali del partito repubblicano, dalla riduzione delle tasse per i ricchi in modo da stimolare più investimenti – la famosa trickle down economics tanto cara a Reagan – alla guerra dichiarata al debito pubblico che ha ormai raggiunto in 19 trilioni.
Allo stesso tempo, però, Trump si è detto contrario a tagli nel settore della Social Security e Medicare, programmi di welfare molto popolari fra l’elettorato che costituiscono una porzione sempre crescente della spesa pubblica. Trump ha inoltre sostenuto di voler aumentare i fondi destinati alla Difesa, da sempre la fetta più grande del bilancio annuo USA, e di voler destinare più soldi al miglioramento della qualità dell’educazione e all’assistenza ai veterani. Sembra difficile far conciliare le due posizioni, la diminuzione del debito e una politica sociale di stampo quasi europeo, ed è possibile che Trump non sia neppure intenzionato a provarci. Considerati la sua carriera da imprenditore e le sue tendenze demagogiche, non è da escludere che Trump veda il bilancio pubblico statunitense come un pozzo senza fondo da cui attingere, e che opterà per tagli delle tasse e un aumento delle spese per guadagnare consensi trascurando l’accumularsi del debito pubblico.
Trump si è spesso definito anti-globalizzazione, lamentandosi del numero di imprese trasferitosi all’estero per via dei costi di produzione più bassi. Supporta l’introduzione di tariffe protezioniste, che definisce a difesa dell’industria americana, e ha spesso sostenuto di volere il ritiro degli USA da diversi accordi commerciali, primo fra tutti il NAFTA. Rimane però poco chiaro se e in quale misura Trump sia intenzionato a rispettare promesse elettorali che lo porterebbero in conflitto con la Camera di Commercio del Senato, uno dei gruppi di lobby più potenti del paese.
La Corte Suprema
La Corte Suprema degli Stati Uniti d’America ha giurisdizione su tutte le corti federali e occasionalmente corti statali, con il compito di interpretare la Costituzione e decidere come debba essere applicata in ogni singolo caso. I nove giudici della Corte decidono cosa è costituzionale e cosa non lo è, con potere ultimo su tutti i casi in cui esprimono giudizio. Nel 1973, per esempio, la Corte Suprema legalizzò l’aborto stabilendo un precedente all’interno del caso Roe v. Wade; nel 2015, Obergefell v. Hodges ha reso legale il matrimonio omosessuale in tutto il paese. Quando i poliziotti in un film hollywoodiano informano un sospetto del suo diritto a rimanere in silenzio si stanno rifacendo al precedente stabilito in Miranda v. Arizona nel 1966. Il potere della Corte Suprema è considerevole, superiore in alcuni casi anche a quello del Parlamento e dell’Esecutivo stesso; ma è il Presidente che nomina i giudici.
Degli otto membri attuali della Corte Suprema, che esercitano il loro mandato a vita, tre hanno più di 78 anni. Il nono membro, il giudice conservatore Antonin Scalia, è morto lo scorso febbraio; da allora il Senato a maggioranza repubblicana ha ostacolato i tentativi di Obama di nominare un successore. Ora a Trump spetterà il compito di nominare il prossimo membro della Corte Suprema, e potenzialmente uno o due ulteriori giudici nei prossimi quattro anni. Interpellato a riguardo, Trump ha proposto una lista di possibili candidati che comprende ventuno nomi, tutti conservatori. Le nomine di Trump alla Corte Suprema influenzeranno le interpretazioni della Costituzione per molti anni a venire, creando nuovi precedenti legali orientati su posizioni molto più conservatrici di quanto visto nelle ultime decadi.
Problemi di partito
Ai Repubblicani di Washington Donald Trump non piace. La sua piattaforma anti-establishment, diametralmente opposta eppure non così diversa da quella di Bernie Sanders, dipinge tutti i politici di professione come incompetenti e snob, troppo impegnati a perdere tempo in inutili dibattiti per prestare attenzione ai veri problemi dell’uomo comune.
La retorica di Trump è spiccatamente populista e, come spesso succede in questi casi, ha riscosso forti consensi fra le masse. Trump è molto più popolare fra l’elettorato conservatore di quanto non lo sia il partito che si è trovato a rappresentare, e con le elezioni parlamentari in ballo il GOP non si è potuto permettere di esprimere dissensi. Ne è prova la deludente reazione all’audio incriminante diffuso dal Washington Post all’inizio di ottobre che sembrava poter da solo porre fine alla campagna elettorale di Trump, facendogli incassare sfiducia dopo sfiducia da parte di esponenti di spicco della destra cristiana statunitense. E poi più nulla: la percentuale di consensi di Trump è rimasta stabile tra gli elettori repubblicani e quello dei suo critici ha iniziato a calare. Tutti i pezzi grossi del partito, dal candidato vicepresidente Mike Pence allo Speaker Paul Ryan, hanno deciso di stringere i denti e ricompattarsi dietro Trump. Perché il Partito Repubblicano ha bisogno di Trump, delle sue controversie e riflettori e abilità di agitatore di folle, più di quanto Trump non abbia bisogno di un partito alle sue spalle che lo supporti e gli dia legittimazione.
Il risultato elettorale di Trump è la prova che la sua strategia sia l’unica via verso il successo per un partito che non si è ancora veramente ripreso dall’epoca Bush, indebolito prima dalla corrente del Tea Party e ora ritrovatosi in balia di un uomo che vede l’intera classe politica come superflua e soprassata. Questa vittoria dimostra che gli slogan sono più importanti per l’americano medio di programmi organizzati al dettaglio, che insulti e disprezzo riscuotono più consensi del politicamente corretto, che la competenza è uno svantaggio piuttosto che una qualità di cui andar fieri. La sua elezione darà nuova linfa alla corrente estrema del Partito Repubblicano, stravolgendone gli equilibri interni e cambiando il modo di far politica negli Stati Uniti per sempre.
a cura di Elena Amici