‘’C’è un punto morto nella notte, dove fa più freddo e il tempo più nero, dove il mondo ha dimenticato la sera e l’alba non è ancora una promessa. Un tempo in cui è troppo presto per alzarsi, ma così tardi per andare a letto.’’ Robin HobbÈ notte.A quest’ora il silenzio abbraccia la città, la stritola, la lascia senza fiato. A Bergamo, dopo le ultime disposizioni del Governo, le strade sono deserte.Una lunga colonna di mezzi militari attraversa Via Borgo Palazzo, e si ferma a poche centinaia di metri dal cimitero. La camera mortuaria della città non è più in grado di accogliere i feretri delle vittime del Covid-2019. L’esercito è lì per trasportare le bare in altre Regioni, verso altri forni crematori. Una finestra si apre. Una giovane mamma si affaccia e vede i camioncini dell’esercito, scatta una foto. La figlia le tira la veste, non riesce a guardare oltre il davanzale e la curiosità è troppo forte. La donna richiude la finestra, prende per mano la piccola, e la accompagna a letto. Le racconta una storia, e quando lei dorme, torna alla finestra. La lunga colonna di mezzi militari è scomparsa.Questa è una guerra. E ogni guerra richiede un sacrificio. Le proprie vittime, i propri morti. Noi siamo i protagonisti di un’epoca storica trionfale e pacifica; le armi, il sangue, appartengono ad una realtà lontana e a noi sconosciuta, le sirene d’allarme suonano solamente nelle parole e nei ricordi dei nostri nonni. Ma ogni generazione ha il proprio nemico da affrontare. Noi combattiamo rimanendo a casa, rinunciando alla vita sociale e alla libertà individuale, senza imbracciare un fucile. Abituati come siamo, è un sacrificio che richiede un prezzo molto alto e che ci fa onore. Noi giovani figli del nuovo millennio, non ci nutriamo dell’odio verso i nostri simili. Le guerre tra uomini, fra fratelli, non ci appartengono. Il nostro nemico è un virus che miete vittime in tutto il globo, che stritola il nostro sistema sanitario, che sabota la nostra economia, che terrorizza l’Europa e il mondo. La nostra Resistenza si batte con valore, e in prima fila ci sono i nostri medici, i nostri infermieri, eccellenze italiane. Al fronte il nemico non concede tregua. In seconda fila ci sono i rappresentanti delle forze dell’ordine, l’esercito, gli imprenditori che forniscono beni primari, i dipendenti pubblici che tengono in piedi la macchina amministrativa statale. Sono il cuore pulsante del reggimento, mantengono vivo un Paese ferito e in ginocchio. Nelle retrovie ci siamo noi. Rinunciamo alla nostra libertà individuale, restiamo a casa, per non ostacolare e appesantire l’operato dei soldati che combattono al fronte. In Europa, nel mondo, ora siamo un simbolo. Le polemiche sono inutili, riaprono ferite culturali che lacerano il nostro tessuto sociale e compromettono l’unità nazionale, un sentimento di vitale importanza, viste le circostanze. Questo sentimento è vivo, arde nel nostro petto, illumina il nostro futuro, ove scolpisce la nostra volontà. Si manifesta attraverso il canto di un popolo ferito, che intona il proprio inno dalle finestre e dai balconi. Siamo lontani, eppure cosi vicini, grazie a nuove strade invisibili tracciate dal progresso possiamo vederci, possiamo parlare. La tecnologia, che secondo molti abbrutisce e meccanizza la nostra umanità, invece la fortifica, la esalta, la abbellisce: rafforza legami che sopravvivono e che sopravvivranno alla tragedia della guerra. Anche le nostre trincee diventano più accoglienti, dalle finestre possiamo ammirare il campo di battaglia, vuoto, deserto: la maestosità, la grandezza, l’immortalità di Roma, la bellezza selvaggia di Napoli. La nobiltà di Milano, città europea, il mare della Sardegna, i musei di Firenze, i canali di Venezia. Tutto immerso nel silenzio. Quanto è bella la nostra Italia. Ricca di storia e di arte, culla dell’Occidente, culla della civiltà. Siamo un paese fiero e nobile, vinceremo questa guerra, schiacceremo il nemico, torneremo a riempire le piazze più belle del mondo.Sarà giorno.Il sole tornerà a baciare la nostra bella nazione. Andrà tutto bene.‘Finirà anche la notte più buia e sorgerà il sole’ Victor Hugo
Articolo a cura di Michelangelo Mecchia