I libri in Italia, è risaputo, hanno due grandi problemi: non vengono letti e non vengono comprati. Pare dunque ironico che un disegno di legge titolato “Disposizioni per la promozione e il sostegno della lettura” non risolva nessuno dei due.
L’iniziativa, proposta dal Partito Democratico lo scorso 18 luglio, è passata il 5 febbraio con voto unanime in Senato. Anche se, con i notiziari monopolizzati da Coronavirus e Festival di Sanremo, l’approvazione passa abbastanza sotto silenzio e sorprende che non si sia voluto dare più risalto a un così nobile progetto.
L’idea di base del DDL 1421 è indubbiamente encomiabile – nessuno sosterrebbe che non si debba promuovere la lettura, considerando che circa la metà degli italiani legge appena un libro all’anno – tuttavia, l’esecuzione è pessima. I tredici articoli, infatti, alternano proposte valide a trovate più discutibili. Ad esempio, di grande importanza è l’articolo 6, che si propone di contrastare la povertà educativa e culturale istituendo la Carta della cultura. In teoria, è una magnifica trovata per permettere anche ai meno abbienti di poter acquistare libri, in pratica, sarà interessante vedere se il controllo esercitato su queste Carte sarà più ferreo rispetto a quello sulla 18App.
Non particolarmente sconvolgenti, ma nemmeno disastrose, sono le intenzioni di assegnare le qualifiche di Capitale italiana del libro (art. 4), una città all’anno, e di libreria di qualità (art. 9), aperta a qualsiasi punto di vendita che faccia domanda per l’Albo delle librerie di qualità e ne soddisfi i requisiti di ammissione.
Altri articoli sono dedicati al come promuovere la lettura sul territorio nazionale (art. 2) e, in particolare, nelle scuole (art. 5). Tutti nobili intenti, che però, di pratico, hanno ben poco.
La diatriba peggiore sorge poi con l’articolo 8. Dalla scorsa estate, non appena si era diffusa la notizia, i lettori italiani avevano iniziato a manifestare il proprio malcontento, ma esso è stato prontamente ignorato dai parlamentari. In breve, l’articolo porta lo sconto massimo attuabile sui prezzi di copertina (in negozi fisici e digitali) a un mero 5%, rispetto al precedente 15%, già abbassato nel 2011 dal 25%.
Oggi come allora, come non esita a confermare il Ministro dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo su Twitter, dopo l’esito della votazione, il problema pare essere sempre Amazon. Dario Franceschini scrive, infatti: “sconto massimo al 5% per sostenere le piccole librerie”. Il disegno di legge si presenta, a questo punto, più come una misura per salvare le piccole librerie che come una promozione della lettura. Il problema è che, fosse anche stato questo lo scopo nascosto, fallisce in ogni caso. Gli sconti non erano l’unico motivo per cui le librerie indipendenti non riuscivano a concorrere con quelle di catena – senza bisogno di scomodare il gigante statunitense, perché non è certo l’unico ad offrire la possibilità di comprare libri online – non ininfluenti erano fattori come la posizione e l’offerta di titoli. Inoltre, fosse davvero soltanto una questione di prezzi, un lettore opterà, comunque, per quel poco che riesce ad ottenere o, ancora, acquisterà all’usato.
In ogni caso, quali che siano le motivazioni, pare abbastanza insensato che per incentivare a comprare libri – a leggere, è vero, ma se ci si volesse rivolgere alle biblioteche, se anche ce ne fosse una vicina, non è certo che avrebbe disponibilità del titolo interessato – si abbassino gli sconti (soprattutto considerando che i prezzi di copertina sia difficile diminuiscano di conseguenza). Un lettore occasionale, probabilmente, non farà caso al costo – se non per essere disincentivato da quell’unico acquisto – ma un lettore che compra molti volumi si troverà costretto a fare una cernita.
Il testo del ddl recita che ci saranno “interventi mirati per specifiche fasce di lettori” (art. 2), tuttavia, viene malamente bistrattata la fascia di lettori – cosiddetti – forti, quella che negli ultimi anni ha davvero sostenuto l’editoria italiana.
Articolo a cura di Ludovica Esposito