La ricostruzione cronologica degli eventi della mattina del 26 Gennaio 2020
Come un fulmine a ciel sereno, in quella maledetta mattina del 26 Gennaio, intorno alle ore 9:30 (ora locale), sulle colline tra Malibu e Los Angeles, volava come suo solito in elicottero – mezzo particolarmente gradito dal cestista per il tempo risparmiato nei suoi frequenti spostamenti da e verso la Mamba Sports Academy da lui stesso fondata – Kobe Bryant e sua figlia Gianna insieme ad altre persone del mondo dello sport. Nello schianto perdono infatti la vita altre sette persone, l’allenatore di baseball universitario John Altobelli insieme alla moglie Keri e alla figlia 13enne Alyssa, compagna di squadra di Gianna, poi Christina Mauser, allenatrice e collaboratrice di Bryant, e Payton Chester, altra compagna di squadra di Gianna, insieme alla madre Sarah. Muore infine nello schianto dell’elicottero – un Sikorsky S-76B del 1991 – anche il pilota Ara Zobayan.
L’ elicottero era partito dal John Wayne Airport, a sud est di Los Angeles, pochi minuti dopo le 9:00 di mattina (ora locale). L’ultimo contatto radio si è di fatto registrato intorno alle ore 9:30 poco prima che l’elicottero cominciasse a girare intorno e a cambiare repentinamente quota, dirigendosi infine a grande velocità contro una collina nei pressi di Calabasas. I media locali registravano la presenza di una grande quantità di nebbia presente nella zona Hollywoodiana interessata dallo schianto. Sembra che al momento dell’incidente il Sikorsky S-76B stesse andando molto forte, ed era probabilmente pieno di carburante che ha alimentato il grande incendio che è seguito all’impatto.
La prima chiamata ai soccorsi è arrivata alle 9.47. I vigili del fuoco e i soccorritori medici hanno dovuto raggiungere a piedi il luogo dell’impatto, e secondo le autorità le operazioni di recupero sono durate alcuni giorni, per le difficoltà a raggiungere i rottami. In base ai primi risultati del rapporto rilasciato dal NTSB ( National Transportation Safety Board ) non ci sarebbe stato alcun guasto interno. L’esame delle parti del rotore principale e della coda ha permesso di identificare i danni conformi a una rotazione guidata dal motore al momento dell’impatto. La conclusione che l’elicottero non abbia perso potenza prima dello schianto è un elemento chiave, ma molte domande rimangono ancora senza risposta. L’investigazione e il rapporto definitivo arriverà soltanto tra diversi mesi (non è previsto prima di un anno!) e solo dopo tale rapporto si potrà iniziare a pensare all’errore umano come causa primaria ed esclusiva dello schianto. Il presidente dell’NTSB Robert L. Sumwalt ha spiegato in una nota come le indagini stiano proseguendo scrupolosamente senza tralasciare alcunché rivelandosi molto fiducioso sulla determinazione della causa che ha portato a questo tragico evento. I funzionari del NTSB spiegano come l’elicottero, che volava usando solo letture visive non disponendo a bordo di un rilevatore automatico di altitudine. Non era dotato altresì di una scatola nera, un componente non obbligatorio su questo tipo di velivoli ma che di fatto attribuisce un aiuto fondamentale per gli inquirenti, immagazzinando una serie di informazioni cruciali, utili alla meticolosa ricostruzione dell’incidente. Un’analisi dei dati del Los Angeles Times ha rintracciato gli ultimi momenti del volo, l’elicottero avrebbe pericolosamente sfiorato un’altra collina appena prima di schiantarsi sulla successiva. Il rapporto del NTSB afferma che il velivolo è stato distrutto da “forze d’urto e fuoco”. Infatti poco prima dell’ impatto stava scendendo a più di 600 metri al minuto colpendo la collina ad un’altitudine di 330 metri. Sottolineano poi i funzionari del NTSB che anche se il pilota fosse stato in grado di volare sopra la collina, avrebbe dovuto affrontare nuovi pericoli causati dalla presenza di una grande quantità di nebbia. Tant’è che poco dopo l’incidente, le autorità e gli esperti hanno subito sposato la tesi delle cattive condizioni meteo all’origine dello schianto, piuttosto che quella di un problema meccanico.
Attenderemo con ansia il rapporto finale del NTSB per sapere una volta per tutte le cause di questo tragico evento.
Ma perchè un evento del genere ha fatto tanto scalpore? Chi era davvero Kobe Bryant per far riunire in cordoglio milioni e milioni di persone?
La vita del rinomato cestista
Kobe Bryant nasce il 23 agosto del 1978 a Philadelphia. Era figlio di Joe Bryant anch’egli rinomato giocatore di basket passato alla storia per aver giocato diversi anni in Italia militando in squadre come Rieti, Reggio Calabria, Pistoia e Reggio Emilia. Per questo Bryant passò la sua infanzia in Italia, tornando successivamente negli Stati Uniti per iscriversi al liceo, che frequentò in un sobborgo di Philadelphia. All’ età di 17 anni, e con alle spalle già svariati anni di attività cestista amatoriale, decise di cercare una squadra in NBA senza passare dal college, procedimento che di fatto è seguito dalla maggior parte dei cestisti in erba, e nel 1996 fu scelto al 13esimo posto del draft dagli Charlotte Hornets, che però lo cedettero subito ai Lakers come parte di uno scambio più ampio. Da quel momento in poi iniziò una storia d’amore, intensa e vera come poche, con la franchigia dei Los Angeles Lakers destinata a durare per tutta la sua carriera da giocatore professionista. Kobe Bryant giocò la sua prima stagione poco più che 18enne, diventando un sostituto fondamentale nelle rotazioni dei Lakers e vincendo nel 1997 la gara delle schiacciate, la famosissima Slam Dunk competition che si svolge contestualmente all’ All Star Game. Nella seconda stagione cominciò a giocare con sempre maggiore regolarità, diventando poi titolare dalla terza, quando era poco più che 19enne, datata 1997-1998, in cui diventò definitivamente uno dei giovani più forti della lega ( Il Rockie Of the Year ).
Nel 1999 arrivò ad allenare i Lakers l’ eccellentissimo allenatore ormai consolidato nell’ NBA Phil Jackson, tra l’altro storico allenatore dei Chicago Bulls di Michael Jordan. Phil si rivelò da subito fondamentale per la carriera di Bryant. Sotto la sua guida, lui ed il suo compagno di squadra “Shaq” O’Neal – rispettivamente guardia e centro – svilupparono un legame sportivo leggendario: la stagione si concluse con la vittoria del titolo NBA dopo le finali contro gli Indiana Pacers. Quei Lakers, nei quali giocavano tra gli altri anche Robert Horry e Derek Fisher, vinsero il titolo anche nei due anni successivi, battendo in finale prima i Philadelphia 76ers e l’anno seguente i New Jersey Nets. Bryant diventò il giocatore più giovane a vincere tre titoli di fila, cosa che peraltro da allora non è più successa a nessuna squadra. Nelle stagioni successive, quelle del 2002-2003 e seguenti, i Lakers persero in finale di Conference contro i San Antonio Spurs, che avrebbero poi vinto il titolo; tornarono in finale l’anno seguente, perdendo contro i Detroit Pistons. Secondo molti esperti della pallacanestro di quel tempo, Bryant era il più forte e famoso giocatore di basket del mondo. Non tardarono però ad arrivare momenti meno felici. Nel 2003, all’apice della sua fama, fu indagato per lo stupro di una ragazza 19enne avvenuto in un hotel in Colorado. Bryant ammise di aver avuto un rapporto con la donna, che però descrisse come consensuale. La donna si rifiutò di testimoniare sotto giuramento e prima del processo patteggiò un risarcimento con Bryant, la cui immagine pubblica subì un colpo durissimo. Diversi grandi marchi americani interruppero i rapporti con lui, sponsor, collaborazioni, pubblicità sportive
Anche se da li a poco, col suo carisma e la sua determinazione ( la c.d “Mamba Mentality” come a lui piaceva chiamarla ) recuperò quasi tutti i rapporti negli anni successivi. Più tardi, in un intervista rilasciata dallo stesso Bryant, dichiarava che «dopo mesi in cui ho riletto tutte le prove e ascoltato il suo avvocato e anche la sua testimonianza, capisco perché lei senta che il rapporto non fosse stato consensuale».Dichiarazione che lascio lo status quo delle cose inalterato visto ormai l’oblio della storia.Tra il 2004 e il 2008 i Lakers di Bryant misero in fila alcune stagioni deludenti sulla scia di prestazioni opache di tutti i giocatori della franchigia di Los Angeles visto anche il passaggio di “Shaq” O’Neal nella franchigia dei Miami Heat. Bryant però giocò a lunghi tratti al suo meglio, stabilendo il secondo miglior record per punti in una sola partita: 81, segnati contro i Toronto Raptors nel 2006 (il primo rimane ancora oggi Wilt Chamberlain con 100). Quella del 2005-2006 fu comunque una delle stagioni migliori della carriera di Bryant, che segnò oltre 35 punti di media. I Lakers uscirono però al primo turno dei playoff contro i Phoenix Suns, cosa che successe nuovamente ai playoff dell’anno seguente.Nel 2007 arrivò ai Lakers il centro spagnolo Pau Gasol, con il quale Bryant ristabilì un’intesa simile a quella avuta anni prima con “Shaq” O’Neal: la squadra arrivò alle finali NBA, perdendo contro gli storici rivali dei Boston Celtics in una finale davvero spettacolare e scoppiettante, rimediando poi nei due anni seguenti – il 2009 e il 2010 – dove I Los Angeles Lakers guidati da uno strabiliante Bryant vinsero il titolo battendo prima gli Orlando Magic e poi di nuovo gli acerrimi rivali dei Boston Celtics. Quello del 2010 fu l’ultimo titolo di Bryant, che non riuscì mai ad eguagliare Michael Jordan vincendone un sesto. Ma Kobe Bryant fece ancora stagioni sensazionali, soprattutto per un giocatore della sua età, almeno fino a una serie di gravi infortuni avuti nel 2013, mai veramente e completamente recuperati portandoli di conseguenza dietro fino alla fine della sua carriera. Nel novembre del 2015 annunciò che si sarebbe ritirato alla fine della stagione, e nell’ultima parte della “regular season” fece una specie di tour di addio, ricevendo ovazioni in tutti i palazzetti in cui giocò. Ovazioni avute soprattuto per il fatto di essere stato l’unico giocatore a militare nella stessa squadra per 20 anni consecutivi. Quello stesso anno mise a segno un altra prestazione maiuscola contro gli Utah Jazz, segnando ben 60 punti. Giocò la sua ultima partita il 13 aprile 2016. Oltre ai tanti successi sul campo, Kobe Bryant ha avuto anche molti “successi” fuori dal campo, sia come esempio di uomo che come padre e marito. Curava particolarmente la sua famiglia, dedicando tempo alla moglie ed alle sue 3 figlie una delle quali morte nell’incidente ( Gianna, nome visibilmente italiano ).
Molte volte, tanti giornalisti chiesero a Kobe se fosse dispiaciuto per non aver mai avuto un figlio maschio a cui insegnare tutto ciò che il campione NBA sapeva, per raccogliere la sua eredità, prontamente Kobe ogni volta rispondeva che non avrebbe avuto bisogno di un figlio maschio, avendo Gianna a cui insegnare tutto, sottolineando che sarebbe stata lei a raccogliere l’eredità del campione. Negli ultimi anni post ritiro, da giocatore ad Imprenditore è stato il passaggio, la mutazione, che ha subito il noto cestista, creando ed aprendo una vera e propria accademia, la Mamba Sport Academy dove poter insegnare personalmente ai giovani la Mamba Mentality, cioè quella mentalità “dura” ma vincente, un vero e proprio codice disciplinare che ha caratterizzato la vita di Bryant dentro e fuori dal campo. Attualmente l’accademia, che ha la sede principale al 1011 di Rancho Conejo blvd, Thousand Oaks CA 91320, conta più di 50 mila atleti e comprende cinque campi da basket, cinque campi da pallavolo, due campi da beach volley, un campo da football , una struttura per gli E-sport , e una scuola di jiu jitsu. Il lavoro di Kobe, fino al tragico evento, si concentrava su 3 aree : sportiva, finanziaria e umanitaria. Per consacrare il suo apporto alla società come sportivo ma soprattutto come uomo, si attivò personalmente per la creazione di una fondazione di beneficenza chiamata Mamba Sports Foundation. In conclusione, per riprendere la domanda posta a valle, Kobe Bryant è riuscito a riunire in cordoglio milioni e milioni di sportivi e non grazie alla sua mentalità vincente, grazie alla sua disciplina, alla sua determinazione nel raggiungere risultati sportivi e famigliari. È stato un insegnante per tutti noi, un insegnate di cui avevamo ancora bisogno…
Articolo a cura di Giovanni Pelliccia