E se il covid-19 ci avesse insegnato qualcosa?

E se il covid-19 ci avesse insegnato qualcosa?

Dicembre 2019: il virus compare a Wuhan;

11 gennaio 2020: è confermata la prima vittima nel Paese;

13 gennaio 2020: primo decesso fuori confine, in Thailandia. Poi si registrano casi negli USA e in Europa;

30 gennaio 2020: l’OMS dichiara l’emergenza globale;

11 marzo 2020: è dichiarata la pandemia;

Fino ad oggi sono stati registrati oltre 100.000.000 casi, oltre 2.000.000 decessi.

Non è solo una questione di numeri, né tantomeno di politica. La politica è un mezzo, un facile canale di cui si sta servendo il virus per infiltrarsi nelle nostre vite e i numeri sono la rappresentazione grafica di un elenco di contagiati e morti. Questo virus da un lato rinvigorisce l’imbecillità di chi non crede nell’evidenza dei fatti, di chi rinnega la credibilità scientifica e l’esistenza della pandemia; dall’altro costituisce l’ennesima conferma di un problema di adattamento e di gestione purtroppo ancora tenacemente impresso nel nostro Paese e nel mondo: la sanità. I decisori pubblici non si trovano davvero di fronte alla scelta fra salvare l’economia oppure le vite umane, potendosi appellare ad un rassicurante “la vita umana non ha prezzo”, ma al dilemma su quante vite difendere dal contagio “a qualunque costo”, oppure quante preservarne da povertà, malattia e morte prevedibilmente causate dalle diverse alternative politiche di contrasto all’epidemia. È ovvio che le risposte a domande di questo tipo non possono essere demandate agli scienziati, perché il virologo fa i suoi studi in laboratorio con l’obiettivo di arrivare per primo a un vaccino producibile industrialmente in miliardi di esemplari, l’infettivologo cerca il modo di portare la curva dei contagi a zero e non sarà soddisfatto fino a che lì essa non rimarrà inchiodata indefinitamente. Sono i politici che, facendo i conti con questa specifica situazione, da imparare, conoscere e capire, hanno il compito e il dovere di definire quale sia il benessere della popolazione e con quali mezzi raggiungerlo. Non si tratta di scelte solo tecniche, ma in primis di valore. In un mondo globalizzato come il nostro, in cui il proprio posto, l’indipendenza, l’hard power nello scenario internazionale ha un valore, non ci si può permettere che un virus blocchi tutto, nel vero senso del termine. Tuttavia, il riproporsi di tali situazioni scomode rappresenta l’incapacità di affrontare un problema globale come questo da soli. Il potere nazionale, interno di ciascun Stato è messo in discussione ed entra in crisi, acquisendo la consapevolezza di dover contare su pilastri internazionali e comunitari per potersi far strada nella pandemia. Non dimentichiamoci, però, che il processo proprio di subire le conseguenze di un errore può essere anche un grande apprendimento, non solo un fallimento in sé.  Si può dire, dunque, che gli attori statali stiano imparando, proprio da questa situazione, a manipolare in modo più consapevole il proprio potere per acquistare in futuro maggiore prestigio e autonomia? Oppure il corona virus rappresenterà la loro condanna? «La pandemia sta attuando la vera globalizzazione e distrugge ogni certezza. La tecnica può espandersi a dismisura, ma il vero progresso lo genera l’umanità che conosce i propri limiti». Citando le parole del sociologo italiano, Franco Ferrarotti, ci accorgiamo che siamo stati catapultati a vivere quasi improvvisamente un’epoca terribile, di grande sofferenza per molti, ma è anche una straordinaria occasione di ripensamento. Questo perché il futuro dopo il covid-19 sarà diverso da come l’avevamo previsto e dobbiamo avere il coraggio di rifondarlo sulla base di categorie nuove. 

E se il covid-19 ci avesse insegnato qualcosa? Le pandemie ci sono sempre state, ma mai in un mondo interconnesso e digitalizzato come questo. Ovviamente non è solo un problema sanitario, ma anche e soprattutto sociale, economico e politico: qualcosa di epocale. Innumerevoli sono le variabili e i trend da considerare. In primis, risulta sempre più esacerbata la vulnerabilità delle persone che vivono in un paese teatro di guerra. Si tratta di scenari maggiormente esposti al virus come Libia, Yemen, Venezuela, Iran, Siria, ecc. Inoltre, il virus ha sospeso negoziati di pace, trattative diplomatiche, ha ridotto aiuti umanitari particolarmente efficaci ed efficienti, evidenziando le numerose difficoltà nel risolvere crisi internazionali e diplomatiche. Le conseguenze? Si parla di recessione economica globale, risultato del crollo della domanda aggregata, con progressiva contrazione del Pil. Non manca anche il tentativo di sfruttare la crisi a fini politico elettorali per consolidare il potere o addirittura ottenerlo a scapito di qualcun altro. A tal proposito, basti pensare all’acceso scontro tra Trump e il neo eletto 46esimo presidente americano Joe Biden. Da questo deriva anche il rischio di un potenziale spostamento delle relazioni tra stati, disallineamento soprattutto in merito ai rapporti Cina-USA. Occorrono, dunque, nuove leadership che siano in grado di ricucire la ragnatela di rapporti economici, tecnologici, scientifici, culturali, di viaggio, di ricostruire un ordine in grado di mettere fine alle dispute già fortissime prima del virus e in parte finite fuori controllo sotto la pressione della pandemia. Bisogna darsi subito una serie di priorità: dalla lotta alla povertà alla riforma del welfare, al peso da dare a scienza e istruzione. 

Altrimenti? Altrimenti avrà vinto il virus e il distanziamento sociale. Niente del genere però si innescherà automaticamente. Viviamo in una realtà sospesa, un tempo non programmato e condizionato dal covid-19, di cui l’uomo non è più padrone, un mondo ‘provvisorio’. C’è chi dice che per l’economia e la politica nel post corona virus ci sarà il cosiddetto anno zero, vale a dire ricominceremo da zero. Oggi però, l’eccezionalità degli eventi ci costringe a sperimentare molto di più, a essere più veloci e intraprendenti, a sburocratizzare e a rendere più fluide alcune procedure“In questi tempi di crisi, abbiamo da fare due scelte: la prima è tra sorveglianza totalitaria e responsabilizzazione dei singoli. La seconda è tra isolazionismo e solidarietà globale, affermalo storico israeliano, Yuval Noah Harari. In realtà, non siamo necessariamente costretti a scegliere tra la salute pubblica e la privacy, raccomanda lo storico. Possiamo avere entrambi, scegliendo la strada della responsabilità individuale, alla quale in tanti si sono appellati anche in Italia chiedendo il rispetto delle regole e la fiducia nella politica e nella scienza. Il punto, però, è dare alle persone la possibilità di potersi fidare delle istituzioni politiche e scientifiche, affinchè possa prevalere la responsabilità statale di preservare la salute dell’intera comunità che rappresenta. Un percorso non semplice, ma che proprio in questi giorni eccezionali può essere costruito. La seconda scelta importante che abbiamo di fronte è, come detto, tra isolazionismo e solidarietà internazionale. A riguardo, l’Europa in termini di cooperazione è apparsa in difficoltà, i governi nazionali risultano ancora distanti, le tensioni tra Cina e USA continuano. Il mondo, Italia compresa, va in una direzione di non ritorno al passato. Per alcuni le dinamiche di politica interna assumono scarsa rilevanza, sono slegate dal ruolo che il Paese assume nell’arena internazionale; per altri sono proprio i cosiddetti attori non statali a ricoprire un ruolo centrale. Mi riferisco ai partiti politici, decision makers, gruppi di pressione, burocrazia, organizzazioni internazionali che hanno come obiettivo la salvaguardia degli interessi di lungo periodo della comunità, ponendo maggior enfasi non sullo stato ma sull’individuo, preservandone la libertà e servendo la volontà collettiva. L’obiettivo, a mio parere, sarebbe il raggiungimento di un compromesso tra interessi pubblici e privati, tra politica estera e interna, tra restrizioni e libertà, che possa avvantaggiare non solo i decisori politici, ma anche le masse.

Si sta verificando una vera e propria accelerazione forzata dei processi storici, che si può contrastare con altrettanta rapidità e costanza, tenendo conto anche delle conseguenze a lungo termine delle nostre azioni. Prima o poi il corona virus passerà, il genere umano sopravvivrà, l’uomo sarà di nuovo padrone del proprio tempo, ma vivremo in un mondo diverso.

Articolo a cura di IlariaRusso

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