Io ti pago, tu ti vaccini.

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Gli incentivi possono essere considerati un esempio di diplomazia domestica?

È opinione largamente condivisa che la decade 2020-2030 sarà decisiva. Significative e pressanti sono le questioni con le quali deve misurarsi la diplomazia nei prossimi anni. Tuttavia, è opportuno sottolineare il ruolo che riveste la governance domestica nella futura agenda politica. Governance che bisognerà adoperare al meglio come trampolino di lancio per quella globale, al fine di aggirare le attuali difficoltà del multilateralismo, definire regole normative e misure tecniche per affrontare il mondo digitale, regolare l’uso dei dati e quello del cyberspazio, ridefinire il concetto di sicurezza, passare a modelli di crescita più sostenibili ed inclusivi, accelerando la realizzazione dell’Agenda Onu 2030 per lo Sviluppo Sostenibile. Un processo di riprogrammazione al quale la diplomazia è chiamata a partecipare e nel quale anche il Covid-19 ha un ruolo.

In questa sede, difatti, il termine “diplomazia” non è considerato esclusivamente come “strumento con cui gli stati comunicano con gli altri attori e realizzano la propria politica estera”, ma anche,nella sua accezione di attributo, “diplomatico”, come sinonimo di avveduto, accorto. Un individuo che presenta tali caratteristiche potrebbe fornire, a livello nazionale, un maggiore apporto sociale al paese e, a proposito degli incentivi, assumere decisioni che presume siano ottimali e che possano fungere da supporto per il conseguimento degli obiettivi nel medio-lungo periodo. D’altronde, chi dà la possibilità di alimentare gli effetti delle disposizioni prese dall’alto sono proprio i cittadini e, quindi, ne consegue che l’attributo “diplomatico” debba innanzitutto qualificare le masse. A questo si somma la diplomazia intesa nella prima accezione e propria di chi ci governa, al fine di migliorare le sorti del paese nell’arena internazionale, dopo aver agito sul fronte interno. Tuttavia, i politici, impugnando orgogliosamente l’arma della diplomazia, molto spesso deliberano in maniera alquanto discutibile e, al momento, il tema degli incentivi ne costituisce un esempio piuttosto calzante. Dunque, è chiaro che la diplomazia non può più investire esclusivamente la classe dirigente e non è un processo unidirezionale. In tale contesto è opportuno chiederci se quella intrapresa oggi sia la strada giusta.

Prima di procedere, occorre chiarire cosa si intende per diplomazia domestica: la capacità gestionale delle vicende di politica interna e la capacità decisionale, entrambe messe a punto da parte dei governanti, nell’interesse esclusivo del paese e dei governati. Al momento, oggetto della nostra analisi e di tali capacità è lo strumento degli incentivi.

Per quanto concerne la campagna vaccinale, da un lato c’è chi direbbe che pur di raggiungere l’immunità di gregge, si dovrebbe fare questo e altro e quindi, si, adoperare gli incentivi, offrendo “qualcosa” in cambio dell’inoculazione, è una strategia diplomatica! Dall’altro c’è chi lo paragonerebbe alla svendita di un prodotto in un supermercato. Coscienziosi dell’istinto dei propri elettori, i politici preferiscono intraprendere la via che sembrerebbe più agevole e vantaggiosa. Sicuramente un buon modo per invogliare i più scettici a vaccinarsi, ma, allo stesso tempo, riflette la quasi totale assenza di fiducia nei confronti dei propri cittadini.

Il sindaco di New York Bill de Blasio, annuncia in conferenza stampa il lancio di un’iniziativa piuttosto bizzarra: 100 euro, versati su una carta prepagata, spedita a domicilio, ai cittadini che hanno ricevuto la prima dose del vaccino. Denaro in cambio dell’inoculazione.

A questo punto la domanda sorge spontanea. C’è diplomazia in questo o no? Sembra quasi di andare incontro ad un meccanismo che invade ancora le classi dirigenti: la voglia di dire agli altri cosa fare, magari giustificandosi col fatto che non possono sapere cosa è davvero meglio per loro. Probabilmente il dibattito che è stato sollevato non risulta del tutto sintonizzato con la situazione attuale, ma con lo stereotipo di dipingere l’Italia peggio di quella che è. Ma, in tutto questo tramestio di politica e sentimenti ai tempi del Covid-19 fermiamoci un attimo a riflettere su quanto ideologicamente anche il pubblico tende ad essere poco diplomatico perché fin troppo attratto dalla politica. In un momento in cui lo Stato ha intrapreso una campagna mediatica pro vaccinazione, avere dei politici non ancora vaccinati, o che mettono in dubbio l’utilità dello stesso vaccino, non è di certo un bel segnale per l’opinione pubblica e il pericolo di seguire il cattivo esempio è dietro l’angolo. Un caso è quello del capogruppo in Senato della Lega Massimiliano Romeo e, tra coloro che hanno dichiarato guerra al Ddl Zan, Simone Pillon. Inoltre, per un fattore di notorietà, gli occhi sono stati per molto tempo puntati su Matteo Salvini e Giorgia Meloni, vista l’ambiguità delle posizioni che i due leader hanno assunto sul tema, e non possiamo non affermare che a destra siano chiaramente ravvisabili sintomi di scetticismo verso il vaccino.

È proprio vero che se il denaro scorre, tutte le porte si aprono. A riguardo, due ritengo siano i punti cruciali: il primo ruota attorno all’ingenuità di chi, nonostante le perplessità e la paura, è disposto a sottoporsi ad un’iniezione pur di ricavarne profitto; il secondo riguarda, ancora una volta, la capacità di persuasione di chi ci rappresenta. Ancora una volta chiediamoci, quanto giova tutto questo alla salute della nostra diplomazia? Si potrebbe dare la colpa alla scarsa trasparenza nella comunicazione, che spesso affoga nella disinformazione; ma quest’ultima chi la fa? Chi dirige o chi è diretto? In ogni caso il risultato è che, nella stragrande maggioranza dei casi, il trasporto irrazionale offusca le menti dei meno giudiziosi e si traduce nell’affidamento totale di noi stessi ai premurosi capi di partito, nel seguire pedissequamente il loro esempio. L’innata e apparente inoffensiva capacità di accattivarsi le masse, quanti più elettori possibili, produce l’incapacità di pensare autonomamente, senza influenza alcuna. Proprio questo stronca la diplomazia individuale. Ma nel momento in cui subentra il rischio che tale inettitudine si traduca nell’attentato alla libertà e alla sicurezza altrui, si capisce quanto sia indispensabile essere mentalmente reattivi. La soluzione? Insegnare a far sopravvivere la diplomazia, a rivitalizzarla, perché laddove i politici falliscono, il popolo deve essere in grado di intervenire.

In sintesi, serve più diplomazia per la politica e più politica per la diplomazia.

A cura di Ilaria Russo.

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