SPECIALE ANGELA MERKEL SECONDA PUNTATA.
IL QUADRO POLITICO TEDESCO: I GOVERNI DI ANGELA MERKEL E LO SCENARIO ATTUALE.
Angela Dorothea Merkel, presidente dell’Unione Cristiano Democratica, viene eletta Bundeskanzlerin. Il 22 novembre 2005, la ragazza venuta dall’Est, pronuncia il giuramento che la consacra Cancelliera della Repubblica Federale di Germania; l’ottava, dopo Adenauer, Erhard, Kiesinger, Brandt, Schmidt, Kohl e Schröder, a ricoprire questa carica. La prima donna alla guida del governo tedesco. La scorsa puntata dello speciale, che Globetrotter ha dedicato alla Merkel, in occasione del suo storico ritiro, si è conclusa con il giuramento di rito, che nel 2005, Angela Merkel ha pronunciato per la prima volta.
La CDU-CSU è il partito che ha collezionato il maggior numero di voti. Ma il margine che separa l’unione dall’SPD, partito socialdemocratico tedesco, è molto ridotto. La prima campagna elettorale della CDU con Merkel candidata alla Cancelleria è segnata da fallimenti e da molteplici errori di comunicazione. La narrazione neoliberista, su cui si incentra la campagna elettorale, e di cui Merkel è la principale interprete, si rivolge contro il modello renano. Il programma prevede tagli netti al welfare; si tratta di una vera e propria riforma delle politiche assistenziali. Ma il messaggio non raggiunge la popolazione, non coglie le sensibilità del cittadino medio, affezionato all’economia sociale di mercato. È un errore che non si ripeterà più. L’esperienza, e la necessità di integrare l’SPD nella coalizione di partiti che la sostiene, spingeranno Merkel a virare su posizioni diverse, più conciliabili con il modello economico tradizionale.
Né Schroder, cancelliere uscente a capo della coalizione formata da socialdemocratici e Verdi, né Merkel, sostenuta dalla CDU-CSU e dal FDP, il partito liberale, possono rivendicare il diritto a formare un governo stabile. Per la prima volta dalla sua fondazione, anche sulla Repubblica federale tedesca aleggia lo spettro dell’instabilità politica. La crisi istituzionale viene superata grazie alla formazione di un governo di larghe intese, presieduto da Angela Merkel. Nasce la Große Koalition, un’alleanza tra centrodestra e centrosinistra che sosterrà il primo, il terzo e il quarto governo Merkel. La Cancelliera riuscirà a spezzare l’asse CDU-SPD, soltanto grazie allo straordinario successo elettorale ottenuto nel 2009, che le consentirà di ricostituire l’alleanza tradizionale tra CDU e il partito liberale, l’FPD, e di formare un governo, il secondo che presiede, più forte ed autonomo.
Con il ritiro di Angela Merkel, in occasione delle elezioni che si sono tenute domenica, 26 settembre, lo spettro dell’instabilità politica è tornato ad aleggiare sulla Repubblica Federale: l’SPD, guidato dal vicecancelliere di Angela Merkel, Olaf Sholz, ha ottenuto il maggior numero di voti. Tuttavia, il sostegno di Linke, la sinistra più radicale, e dei Verdi, partito ambientalista, non consente a Sholz di formare e guidare un governo pienamente autonomo. Mancano i numeri. Il leader dell’SPD, se ambisce ad essere promosso Cancelliere, dovrà accordarsi con la CDU di Armin Laschet, l’erede politico di Angela Merkel, e dare vita all’ennesima Große Koalition, fondata sull’alleanza tra centrodestra e centrosinistra. L’alternativa, assieme ai Verdi, è cercare l’intesa con il partito liberale, l’FDP, che per ragioni storiche, oltre che politiche, è più incline al dialogo con il centrodestra. È una situazione molto complicata. L’assenza di Angela Merkel, fino a questo momento dominus della politica nazionale, sconvolge e destabilizza il quadro politico. Difficile che Armin Laschet, delfino della Cancelleria, riesca a prenderne il posto.
IL RAPPORTO DELLA GERMANIA GUIDATA DA ANGELA MERKEL CON L’UNIONE EUROPEA
Gli occhi di tutto il mondo sono puntati sulla Germania. La possibilità che Olaf Scholz possa sostituire Angela Merkel, confinare all’opposizione la dirigenza cristiano democratica, e guidare il governo tedesco, apre importanti finestre di opportunità per l’Europa. L’elezione di un socialdemocratico alla Cancelleria potrebbe dare nuovo slancio al progetto comunitario. Sappiamo che nell’ambito di specifiche fasi storiche, cruciali per l’Europa e per il processo di integrazione, l’ala “rigorista” dell’Unione cristiano democratica, vicina a Wolfgang Schäuble, si è imposta sulla fazione, all’interno del partito e del governo, più europeista, portando l’esecutivo, a promuovere e sponsorizzare severe politiche di austerità. Al centro della propria azione politica, (come biasimarla del resto), Angela Merkel ha sempre collocato gli interessi del suo paese. Il che è perfettamente legittimo: il capo del governo tedesco deve rendere conto al Bundestag, il parlamento tedesco, che a sua volta dovrà rispondere delle proprie azioni, e quelle del Cancelliere che sostiene, al popolo che lo ha eletto, i cittadini tedeschi. Tuttavia, bisogna tener conto del fatto che la Germania è inserita e collocata in un sistema più ampio, composto da 27 nazioni, che fanno parte di una Comunità politica.
Da essa ha tratto innumerevoli benefici; ergo, se ne deve sobbarcare, perlomeno in parte, oneri e costi. La generazione che ha preceduto quella di Merkel, segnata dalla tragedia che ha sporcato di sangue la storia della nazione, e gravida di responsabilità storica, ha partorito una classe politica che ha, fin da subito, maturato la convinzione che l’unico futuro possibile per la Germania fosse in Europa, nel quadro di una Comunità politica unita e solidale. Difatti, tra i padri fondatori della Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio, struttura embrionale dell’odierna Unione, figura, assieme ad Alcide de Gasperi e Robert Schuman, Konrad Adenauer, primo cancelliere della Repubblica Federale Tedesca. Con la nascita della CECA viene unificato il mercato carbosiderurgico dei primi paesi che hanno aderito al progetto comunitario (Italia, Francia, Germania, Lussemburgo, Belgio ed Olanda). L’obiettivo del progetto è mitigare l’antica rivalità franco tedesca, non a caso, spesso infiammata dai conflitti che avevano per oggetto i bacini carboniferi della Ruhr e della Saar. L’architrave della costruzione europea è l’asse franco tedesco. Ma le cose sono destinate a cambiare.
Crolla il muro che separa il mondo, che lo divide in due. “Oggi i tedeschi sono il popolo più felice della Terra,” commenterà Walter Momper, borgomastro di Berlino Ovest. All’ombra dell’entusiasmo, della gioia, e della felicità dei cittadini tedeschi, si nasconde una folta schiera di politici ed intellettuali europei, terrorizzati dall’idea che dopo la riunificazione nazionale, la Germania possa tornare ad ambire all’egemonia sul continente. Andreotti riassunse il clima dell’epoca con una battuta: ”amo talmente tanto la Germania che ne preferivo due”. Sono paure, perlomeno in parte, abbastanza fondate. Nel giro di vent’anni la Germania assumerà, de facto, il comando e la guida della Comunità politica; se nei primi anni, che seguono la riunificazione e scandiscono il processo d’integrazione, la Francia è in grado di fungere da contraltare rispetto alla potenza tedesca, riequilibrando il potere all’interno della Comunità politica, con la crisi finanziaria scoppiata nel 2011, il paese “non sarà più nelle condizioni di riequilibrare il peso della Germania. Il processo decisionale intergovernativo, in condizioni di crisi esistenziale come quella dell’euro, ha fatto emergere una gerarchizzazione all’interno del Consiglio Europeo, con la formazione di un direttorio franco-tedesco, per la politica finanziaria del continente, diventato quasi esclusivamente tedesco a partire dal 2012.”
E qui entra in gioco Angela Merkel. Il suo è un Cancellierato forgiato dalle crisi che nel corso degli anni si sono avventate sulla nazione e sul continente. Alla crisi dei migranti, Merkel ha reagito ostentando solidarietà, e parlando di “risposta comune.” Alle parole, la Cancelliera ha fatto seguire i fatti: la Germania, sotto la sua guida, si è resa disponibile a negoziare una revisione della Convenzione di Dublino, ed ha sostenuto la Commissione Europea, che nel 2015, aveva presentato un progetto che prevedeva la creazione di un meccanismo intracomunitario di riallocazione e redistribuzione dei migranti. Nell’estate del 2017, Angela Merkel accoglie migliaia di profughi siriani, in fuga dalla guerra civile, in Germania: è la Willkommenskultur, la cultura del benvenuto.
Ma nel 2011, anno segnato dalla crisi finanziaria, l’atteggiamento della Germania, sotto la guida di Angela Merkel, è stato molto diverso. Le correnti politiche di destra dell’Unione Cristiano Democratica, legate a logiche ordoliberali e di austerity economica, hanno preso il sopravvento prima sul partito, e poi sul governo guidato da Merkel, facendo virare la Germania su posizioni rigoriste. Il conflitto, che scoppia e si ambienta prevalentemente all’interno della compagine governativa tedesca, ha per oggetto le politiche economiche che la Germania dovrebbe adottare, nel quadro della crisi finanziaria, e dettare al resto del continente, in attesa di indicazioni. Il meccanismo decisionale, di stampo intergovernativo, ha incentivato la formazione di specifiche gerarchie in seno all’Eurozona, al vertice della quale si erge la Germania. È una crisi che ha riaperto la frattura che separa Paesi del Sud, generalmente debitori, dai Paesi del Nord, creditori. In Germania sembra prevalere la visione, di cui Merkel si fa spesso interprete, secondo cui i Paesi del Sud sono gli unici responsabili del proprio dissesto finanziario, e pertanto, non solo non possono essere aiutati dagli altri paesi dell’Unione, attraverso piani di sostegno economico e l’erogazione di fondi. Devono essere puniti. In modo che l’errore possa non ripetersi più.
GREXIT, GLI ERRORI DELLA GERMANIA DI MERKEL.
“I paesi che non hanno rispettato le regole di Maastricht devono essere puniti.” O ancora, “le misure di austerità devono far male.” Angela Merkel, con parole molto dure, si rivolge a Papandreou, il premier greco, nel corso di un vertice tra capi di stato e di governo. Il nuovo esecutivo ellenico, guidato da Georgios Papandreou, ha reso pubblici dati che documentano il grave dissesto finanziario del paese. Il precedente governo aveva truccato i conti, allo scopo di celare e nascondere ai mercati la gravità della situazione. La crisi finanziaria si avventa quindi sull’economia greca, spingendola verso il default. Gli Stati del Sud Europa chiedono maggiore solidarietà; Spagna, Portogallo ed Italia sono finite nel mirino degli speculatori. L’Eurozona è sull’orlo del crollo; all’epoca, l’ipotesi che possano essere emessi eurobond, titoli di debito comune erogati dalla Commissione, viene scartata a causa dell’opposizione della Germania, che teme un ulteriore coinvolgimento nella crisi. Wolfgang Schäuble, allora ministro delle Finanze, arriva a proporre ad Angela Merkel un piano che prevede la Grexit, l’espulsione temporanea della Grecia dall’Eurozona.
A questo punto, qualcuno potrebbe obiettare, e non avrebbe torto, che la Germania si sia limitata a perseguire i propri interessi. Ha tenuto in ordine i conti, ha rispettato le regole; ha gestito virtuosamente, per anni, la propria economia nazionale. Perché dovrebbe varare piani di sostegno che prevedono l’erogazione di milioni di euro, allo scopo di tenere in piedi l’economia dissestata di paesi che, irresponsabilmente, si sono indebitati fino al collo? È un’idea che fa immediatamente breccia nell’opinione pubblica tedesca, permeata di etica protestante e di cultura del lavoro.
Per due motivi. 1, razionalità: quando il crack doveva ancora trasformarsi in una violenta crisi sistemica, per impedire alla Grecia di essere travolta da un vortice speculativo, e calmare i mercati, sarebbero bastati soltanto 30 miliardi, erogati tramite prestiti agevolati. Berlino ne avrebbe dovuti coprire 8. Merkel temporeggia: prendere una decisione così delicata, oltre che fortemente impopolare, a ridosso di un’importante scadenza elettorale, le elezioni regionale in Nord Reno Westfalia, il Land tedesco più grande, significa darsi la zappa sui piedi. Sappiamo com’è finita: “Il problema di un piccolo paese diventerà l’inizio di un drammatico domino per l’economia europea e si trasformerà in una crisi sistemica”. 2, per responsabilità: la Grecia si è potuta indebitare così tanto anche grazie ai prestiti elargiti dalle banche tedesche e francesi, attirate dal tasso di interesse, molto alto, dei titoli di stato greci. Non si sono curate di verificarne la solvibilità. Bisogna, inoltre, tenere conto del fatto che anche la Germania e la Francia, nel 2003, hanno disatteso gli impegni che il rispetto del Patto di Stabilità e Crescita comporta. Due pesi e due misure, insomma.
Per scorgere le prime aperture di Merkel ad una risposta solidale e comunitaria alle crisi economico-finanziarie, bisogna affacciarsi sul 2020, l’anno del Covid-19: La Commissione Europea vara Next Generation Eu, un piano pensato per ricostruire e far ripartire l’economia di un continente, finanziato grazie all’emissione, ad opera della Commissione, di titoli di debito comune. Nell’ambito del processo negoziale, Merkel si lascerà convincere da Emmanuel Macron e Giuseppe Conte, favorevoli all’erogazione di eurobond e alla formulazione di una risposta comune e comunitaria alla crisi economica innescata dal virus. La Germania, inizialmente schierata a difesa dei cosiddetti “paesi frugali”, è costretta a capitolare e a cambiare posizione, facendo propria quella assunta da Francia, Italia e Spagna: persino Schäuble, volto più arcigno dell’ordoliberismo tedesco e alfiere dell’austerity, arriva a parlare di “momento hamiltoniano” (dal nome del Segretario al Tesoro USA Hamilton, che si è occupato dell’accorpamento del debito delle ex colonie, unificandolo e trasmettendolo allo Stato federale) per l’Europa.
CONCLUSIONI:
Angela Merkel, sfruttando la coesione politica e la stabilità economica della Germania, si è comportata come se fosse “la Cancelliera d’Europa.”
“La Germania agì come rete che tiene insieme gli altri stati. La leadership tedesca ha trasferito il centro della decisione politica a Berlino, rendendo marginale Bruxelles.” Merkel ha ricoperto questo ruolo, senza tuttavia adempiere alla responsabilità che esso comporta, e senza godere della legittimazione politica ed elettorale che esso richiede. Entra nella Storia, ma non può e non deve essere ricordata come una “madre per l’Europa,” al pari di giganti del calibro di Konrad Adenauer o Helmut Kohl. Angela Merkel ha sempre disprezzato i leader carismatici, visionari, capaci di incantare le folle e di farle sognare. Merkel non ha carisma, ha fiuto politico. Sa quando deve colpire e quando deve tirarsi indietro. Ama temporeggiare, maneggia con cura l’arte della mediazione. Al centro della sua azione politica ha sempre collocato l’interesse del proprio paese. Deve essere ricordata come un leader politico che ha dominato, nel quadro di un ordinamento costituzionale e democratico, la politica nazionale. Nessun capo di governo europeo ha saputo guidare il proprio paese così a lungo, facendolo passare attraverso una serie ininterrotta di crisi. Senza, tuttavia, seguire un preciso disegno politico, e senza coltivare una visione a lungo termine, lasciando che fossero gli eventi a compilare l’agenda di governo. Senza un sogno, un progetto di trasformazione della società. L’assenza di queste doti, e talvolta, anche di lungimiranza politica, ha portato la “donna più potente del mondo” ad imporre al processo d’integrazione europea brusche battute d’arresto, peccando di coraggio e visione.
A cura di Michelangelo Mecchia.
Bibliografia:
Sergio Fabbrini, Sdoppiamento, una prospettiva nuova per l’Europa. GLF Laterza, Bari-Roma.
Paolo Valentino, L’età di Merkel. Marsilio, Venezia.