Riduzione dell’orario lavorativo: è possibile nell’UE?

Riduzione dell’orario lavorativo: è possibile nell’UE?

Dall’inizio del nuovo secolo, l’orario di lavoro è stato al centro dei forum internazionali.

Questo tema è molto delicato in Europa; ci sono veri e propri divari, in merito alle ore di lavoro, tra i vari stati membri. In particolare, con l’emergenza coronavirus, il tema dell’orario di lavoro è diventato centrale nelle discussioni politiche e sindacali. Le aziende hanno iniziato a lavorare meno, a produrre meno e quindi a guadagnare meno. I costi sono diventati subito troppo alti da sostenere e la soluzione a breve termine è stata quella di ridurre il personale. Così, le aziende di tutto il mondo hanno risentito della crisi del coronavirus e, per rimanere operative, hanno dovuto prendere decisioni difficili, come il ridimensionamento del personale sul posto di lavoro.  Di conseguenza, molte persone sono state vittima di licenziamenti ingiusti. Questa situazione drammatica richiede soluzioni rapide, in grado di avere effetti positivi anche nel lungo termine, o almeno fino alla ripresa dalla crisi pandemica.

In merito, sono state prese in considerazione due possibili soluzioni: un regime di orario ridotto (short-time scheme), che consiste nella riduzione dell’orario di lavoro anziché nel licenziamento dei lavoratori. La seconda è il modello della settimana di 4 giorni (4-days work week), già adottato dall’Islanda e in procinto di essere sperimentato nel Regno Unito per un periodo di prova, in modo da capire meglio se può essere esportato in tutta Europa. Le due soluzioni sono correlate: la prima fornisce il quadro teorico, mentre la seconda implementa concretamente l’idea.

È importante evitare licenziamenti di massa, soprattutto in una situazione di emergenza come quella attuale, dove il lavoro è essenziale non solo per mantenere un reddito ma anche per la propria salute mentale. A questo proposito, i sindacati si sono impegnati al massimo per raggiungere e attuare accordi che potessero essere efficaci sia per i lavoratori che per i datori di lavoro. Il loro obiettivo era quello di garantire gli interessi di entrambe le parti, e questo è stato raggiunto attraverso il “regime di lavoro a tempo ridotto”.
L’adozione di questo sistema presenta diversi vantaggi: da un lato, il mantenimento dell’occupazione nelle aziende contribuirà a stabilizzare l’economia, poiché i lavoratori, essendo anche consumatori, conserveranno il loro potere d’acquisto; dall’altro, i datori di lavoro che adottano questo schema saranno in grado di adattare l’orario di lavoro dei loro dipendenti alla situazione che si presenta.

Lo “schema di lavoro a orario ridotto” sembra essere particolarmente importante in caso di crisi: permette di non licenziare perché l’orario è già ridotto, mantenendo comunque i dipendenti e non bloccando drasticamente il loro flusso di lavoro e il loro reddito.

In seguito, quando la situazione di emergenza finirà, avere lavoratori che hanno già familiarità con i compiti da svolgere sarà più facile per i datori di lavoro, sia in termini di costi di assunzione che di tempo.
L’adozione di questo nuovo sistema in tutta Europa potrebbe essere un catalizzatore per l’aumento della produttività. I lavoratori che sono più soddisfatti e si sentono sicuri sul posto di lavoro sono più propensi a produrre di più, portando vantaggi all’azienda per cui lavorano. Da un punto di vista macroeconomico, l’economia si riprenderà più velocemente, poiché il flusso non è mai stato interrotto ma solo rimodulato.

Un’altra soluzione all’impatto della pandemia nel campo dell’occupazione è stata individuata nella riprogrammazione della settimana lavorativa. Questa proposta è stata introdotta a livello europeo nel 2021 con una risoluzione adottata dal 33° Consiglio dei Verdi europei. L’obiettivo è la riduzione a 4 giorni lavorativi settimanali, percepita come una soluzione più verde e sostenibile per la salute dei lavoratori e l’economia dei Paesi.  Questo nuovo modo di ripensare il lavoro potrebbe migliorare le condizioni di lavoro e aumentare la produttività.
L’iniziativa è già stata sperimentata in Islanda qualche anno fa: La sperimentazione della città di Reykjavík (2015-2019) e la sperimentazione del governo islandese (2017-2021). Il Paese ha iniziato a sperimentarla in due luoghi di lavoro e poi ha esteso il modello a 2.500 lavoratori, dove è stata attuata una riduzione dell’orario di lavoro settimanale da 40 a 35/36 ore. La preoccupazione principale, sostenuta dalle associazioni dei datori di lavoro e dai think-thank, era che l’attuazione di questo modello di riduzione dell’orario di lavoro avrebbe portato i lavoratori a fare straordinari. Tuttavia, le sperimentazioni hanno dimostrato l’infondatezza di questa ipotesi: lavorare meno ore ha motivato i lavoratori, in quanto li ha portati a godere di “[…] un maggiore benessere, un migliore equilibrio tra lavoro e vita privata e un migliore spirito cooperativo sul posto di lavoro.” I cambiamenti nella vita lavorativa dei lavoratori islandesi hanno portato una rivoluzione anche nella loro vita privata: avevano più tempo per sé stessi e per le loro famiglie ed erano più propensi a condurre una vita più sana, nell’organizzazione dei pasti e nella progettazione dei viaggi. I benefici non erano solo per i dipendenti, infatti, i datori di lavoro riconoscevano un aumento di fedeltà da parte dei loro lavoratori, in quanto questi ultimi sentivano che il loro tempo era valorizzato. Pertanto, prendevano meno permessi per i giorni di malattia. Inoltre, le riunioni di lavoro sono state abbreviate per ottimizzare i tempi e i compiti. Questo nuovo modello di ripensamento del lavoro ha portato benefici a lungo termine in Islanda: oggi, l’86% della popolazione attiva ha un contratto con orari settimanali più brevi o si trova in un posto di lavoro che offre questa possibilità in futuro.
Lontano dall’Islanda, nel 2019 lo stesso modello è stato sperimentato in Giappone nell’azienda Microsoft. La sperimentazione ha coinvolto circa 2000 dipendenti, che hanno ricevuto 5 venerdì gratuiti e nessuna riduzione del salario e delle ferie annuali. Anche in questo caso, l’esito della sperimentazione è stato positivo: un aumento del 40% della produttività. Molte riunioni sono state accorciate o tenute in remoto, in modo da evitare la strada casa-ufficio. Come in Islanda, i dipendenti hanno preso meno giorni di ferie perché si sentivano soddisfatti del loro equilibrio vita-lavoro. I benefici sono stati notati anche a livello ambientale, in quanto il minor utilizzo degli uffici ha comportato un minor consumo di energia elettrica.

Spostando i nostri orizzonti a sud, in Nuova Zelanda l’azienda Perpetual Guardian ha adottato definitivamente la settimana di 4 giorni lavorativi, dopo una prova di 2 mesi che ha immediatamente mostrato un aumento della produttività del 20%. Il prodotto di questo nuovo approccio ha evidenziato la riduzione della bolletta elettrica e del benessere dei lavoratori. Pertanto, l’azienda neozelandese ha deciso di adottare questo approccio sul proprio posto di lavoro.
Seguendo le orme dell’isola nordica, i lavoratori del Regno Unito stanno per sperimentare la stessa iniziativa. La sperimentazione si svolgerà da giugno a dicembre 2022 e coinvolgerà più di 3.000 lavoratori di 60 diverse aziende e imprese di varia natura.  È importante specificare che questo esperimento di riduzione dell’orario non prevede una perdita di salario per i lavoratori coinvolti.
In base ai risultati delle sperimentazioni nei Paesi prima citati, Islanda, Giappone e Nuova Zelanda, le aspettative di buoni risultati sono verosimili. Alla luce dei risultati sorprendentemente positivi ottenuti in diversi Paesi, questo modello rappresenta una soluzione interessante per altri Paesi dell’Unione Europea, soprattutto in periodi di emergenza come quello attuale. Gli Stati membri dell’UE hanno già pensato di riorganizzare l’orario di lavoro dei loro cittadini, ma non è stata messa in pratica alcuna azione. La sperimentazione dell’Islanda, l’unico Paese europeo ad aver aderito a questa iniziativa, è la prova che il modello potrebbe funzionare empiricamente in Europa e che l’adozione di questo modello comporta molti vantaggi. È stato verificato che lavorare più a lungo non significa produrre di più. Pertanto, l’evidenza della relazione negativa tra produttività e numero di ore di lavoro dovrebbe indurre le aziende a concentrarsi maggiormente sulle modalità di lavoro dei dipendenti.

La soluzione della settimana lavorativa più breve si sta diffondendo in Europa e il risultato del Regno Unito potrebbe essere la conferma che l’Europa e l’Unione Europea potrebbero essere in grado di applicare questo modello nei loro Paesi. Il percorso verso l’applicazione di questo modello in Europa è ancora lontano. Tuttavia, i risultati dei benefici ottenuti da datori di lavoro e lavoratori in altri Paesi dell’area potrebbero essere un catalizzatore per questo tipo di rivoluzione nella riorganizzazione degli orari di lavoro.

A cura di Micaela Filippi

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