“Abbiate pazienza: è democrazia!”

“Abbiate pazienza: è democrazia!”

Intervista a Mario Calabresi

 

Perugia, Festival Internazionale del Giornalismo. Attendiamo Mario Calabresi al termine della conferenza “Democrazia e media: riconquistare la fiducia dei cittadini”; ci appostiamo in un angolo con altri aspiranti giornalisti nella speranza che ci conceda un’intervista.

Mario Calabresi, giornalista e scrittore, è direttore dal gennaio 2016 del quotidiano La Repubblica, dopo aver diretto La Stampa dal 2009 al 2015. È stato inviato speciale a New York per La Repubblica, inviato parlamentare ANSA e inviato a Washington per La Stampa. Ha vinto i premi giornalistici Angelo Rizzoli nel 2002 e Carlo Casalegno nel 2003.

Calabresi non solo si fa intervistare, ma ascolta e risponde alle nostre domande con pazienza ed attenzione, rivelando estrema professionalità e gentilezza.

Innanzitutto, grazie per la sua disponibilità. Durante la conferenza è stato detto che l’Italia è al 77esimo posto per la libertà di stampa: quali pensa siano le cause e quali i modi per migliorare questa situazione?

Questa posizione non è dovuta, come pensano alcuni, al fatto che la stampa in Italia è poco libera o asservita. Le cause della nostra posizione in classifica sono sostanzialmente due: la prima è che siamo uno dei paesi con più giornalisti sotto scorta perché minacciati dalla criminalità organizzata, dalla mafia, dalla camorra, dalla ‘ndrangheta. Questo ci dimostra due cose: il dato positivo è che si tratta di un giornalismo vitale, perché se non disturbasse nessuno lo minaccerebbe, nessuno cercherebbe di zittirlo. D’altra parte il dato negativo è che purtroppo siamo in un paese con una presenza criminale importante.

Il secondo motivo che giustifica la nostra posizione è che siamo un paese in cui c’è uno dei più alti numeri di cause giudiziarie e denunce penali contro i giornalisti. Le cause sono iniziate soprattutto dai politici, di ogni livello: dai deputati e senatori ai semplici consiglieri comunali. Le cause vengono utilizzate per intimidire i giornalisti, perché se fai causa il giornale deve prendere l’avvocato, spendere dei soldi, e quindi starà molto attento. L’ho potuto constatare nella mia esperienza nei grandi giornali, ora a Repubblica e prima a La Stampa: per cause di questo tipo si spendono milioni di euro l’anno in avvocati. Poi però regolarmente tutte queste cause non arrivano mai in aula, perché chi ha fatto causa la ritira prima perché sa che la perderebbe. Ma perché l’ha fatta? Per intimidire il giornalista. Se si cambiassero le leggi e si punisse chi fa cause temerarie, sarebbe un bel segnale per la libertà di stampa.

Oggi c’è molta sfiducia sia nei confronti dei giornalisti che nei confronti dei politici: lei crede che siano due fenomeni collegati o indipendenti?

Purtroppo penso siano due fenomeni collegati. Oggi in Italia c’è sfiducia nei politici, nei giornalisti, nelle istituzioni, nella magistratura, nei sindacati, cioè in tutti quelli che sostanzialmente sono i corpi rappresentativi intermedi, e questo è preoccupante. Negli ultimi anni i giornali sono quelli che più hanno fatto denunce sul potere. Ad esempio, tutto ciò che riguarda Mani Pulite o La Casta è emerso grazie ai giornali: il termine “La Casta” non l’ha inventato Beppe Grillo ma due giornalisti del Corriere della Sera, Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo. Quello che viene percepito dai cittadini è che, dato che i giornali parlano tanto di politica, allora i due mondi sono collegati. Quindi, nel momento in cui rifiutano il potere politico, rifiutano anche il giornalismo che l’ha sempre raccontato.

La democrazia è la forma di governo più impegnativa, perché richiede una partecipazione attiva dei cittadini e un dialogo basato sull’ascolto, elementi che ad oggi sembrano essere scomparsi. Come pensa sia possibile recuperarli?

Viviamo nel tempo dei tweet, un tempo in cui pensiamo ci siano risposte istantanee a tutto. La democrazia non è compatibile con le risposte istantanee. La democrazia prevede pazienza, lavoro, ascolto, prevede processi di mediazione tra le parti. Tutto questo non è compatibile con l’idea dell’istantaneità. La democrazia è in crisi perché le persone sono affascinate dal modello autoritario, che offre risposte immediate, il modello di chi decide in poco tempo e salta mediazioni e barriere. Se guardiamo fuori dalle nostre porte, basti pensare ad Erdogan, Putin, o ad un certo stile di Trump. Io penso invece che bisogna rieducare e rieducarsi alla pazienza. Forse dovremmo tornare un po’ contadini: i contadini, quando piantano la vite, non pretendono di avere il vino l’anno dopo ma sanno che dovranno aspettare due, tre, anche cinque anni. Forse è questo che dovremmo recuperare: un senso di pazienza contadina.

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