“Dio non ci abbandoni nella tempesta” è questo quello che papa Francesco chiedeva nell’ormai lontano marzo 2020, periodo solo tristemente iniziale della spiacevole avventura che ormai da tempo ha ingrigito il mondo: il Covid è silenzioso, eppure il rumore che produce é assordante. L’uomo, in quanto tale, ha avviato il suo lento processo di abitudine anche alla peggiore delle disgrazie. I giorni non sono più gli stessi da un po’ e sembra difficile ricordare in maniera vivida ciò che prima di questo era per noi la vita.
Abbiamo imparato a camminare per strada con mascherine che nascondono lacrime e sorrisi, abbiamo imparato a spegnere candeline ed esprimere nuovi desideri dietro uno schermo invece che un tavolo circondato dai nostri affetti, abbiamo imparato ad obbligarci a restare soli nelle nostre case e dover confrontare anche nemici più insidiosi: noi stessi.
A distanza di ormai 9 mesi, ci avviamo a trascorrere un Natale diverso, un Merry Christmas che di Merry ha davvero poco. Ognuno è alla forsennata ricerca di una via di fuga, lecita o meno, che faccia sì che almeno un giorno venga trascorso come di consuetudine, almeno per qualche ora, almeno a Natale.
Dimentichiamo però troppo spesso che il virus porta con sé una questione morale che è di un peso tutt’altro che lieve: preservare la salute del mondo. Di quale normalità abbiamo bisogno allora se siamo in pericolo? E se a venire a mancare fossero i nostri affetti, questa tanto agognata normalità varrebbe davvero il suo prezzo?
Il Natale, da sempre vittoria di sfarzi e centri commerciali, in realtà potrebbe per la prima volta avere l’occasione di riassumere dopo tanto tempo il suo carattere sacro: quello di rinascita e di rinuncia. La umile famiglia di Betlemme rinunciò a tutto e trovò così il suo aspetto “sacro”.
Auguro ed invito quindi noi tutti a vivere un Natale che sia rispettoso ed etico, del resto papa Francesco quello stesso 27 marzo concluse “Perchè avete paura? Non avete ancora fede?”.
Articolo a cura di Maria Pagano