La mattina del 14 agosto l’Italia si è spezzata in due, non figuratamente.
Il crollo del Ponte Morandi a Genova, oltre a portare con sé più di 40 vite umane e lasciare senza casa centinaia di altre persone, ha segnato un drammatico campanello d’allarme circa una questione da tempo segnalata come a rischio: la sicurezza sulle strade.
Andare a ricercare responsabilità su quanto avvenuto a Genova, ovviamente, sarebbe del tutto fuori luogo per le pagine di una testata giornalistica, mentre, alla luce delle varie bagarre politiche, risulta molto più appropriato voler far chiarezza su quale sia la situazione attuale in merito alle strade.
Cos’è l’Aspi?
Quella che oggi si presenta come una situazione spinosa e dai più sconosciuta, vede i suoi albori nel primo dopoguerra, quando l’IRI (Istituto per la Ricostruzione Industriale) nel 1950 costituì la Società Autostrade Concessioni e Costruzioni S.p.a. per contribuire alla ricostruzione post bellica italiana. Sarà soltanto nel 1999 che all’azionista di maggioranza IRI (86% del capitale sociale, 24% quotato in borsa) subentrerà Schemaventotto S.p.a. con il 30% del capitale, privatizzando definitivamente la società. Ulteriore snodo cruciale si avrà nel 2002, quando la rete autostradale venne conferita alla neonata Autostrade per l’Italia S.p.a., controllata al 100% dal gruppo Atlantia, di proprietà della famiglia Benetton.
Chi sono i concessionari?
La questione, tuttavia, è più complessa e vede molti altri protagonisti: secondo quanto riportato dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (relazione datata 2017), l’Italia si distingue in Europa per essere il paese con la maggior frammentazione della rete; escludendo ANAS, infatti, che da sola controlla circa 950 km di autostrade, e altre concessioni offerte alle regioni, per un totale di circa altri 500 km, sono ben 24 le società che di fatto gestiscono 5886,6 km di autostrade. Non bisogna, però, lasciarsi condizionare troppo da questi numeri, poiché, indagando un po’ più a fondo sui rapporti che legano i vari gruppi, viene fuori che tutto l’appalto di concessioni è sostanzialmente riferibile a due società di maggioranza: il primo, il già citato Autostrade per l’Italia, che controlla circa 3000km, e infine la Sias (Società di iniziative autostradali e servizi), appartenente al gruppo Gavio, con in mano circa 1500 km di autostrade.
È facile, dunque, intuire, come quello autostradale sia un vero e proprio monopolio molto ambito, oltre che molto remunerativo: si stima (secondo dati ministeriali) che nel 2016 le autostrade abbiano reso un fatturato di circa 7 miliardi di euro. Quasi 6 miliardi, invece, per i pedaggi.
In cosa consiste la concessione?
Inizialmente, il sistema delle concessioni era stato sviluppato con una logica ben precisa: quanto guadagnato dalle tariffe imposte dal concessionario andava ad ammortizzare il capitale investito dallo stesso, così da poter essere in pari alla fine della concessione. Tuttavia, a seguito del nuovo piano tariffario promosso tra fine anni ’90 e inizi 2000 (il cosiddetto price cap), sono state imposte nuove norme sull’aumento delle tariffe, senza andare a valutare la congruità rispetto a quanto del capitale investito fosse stato realmente rimborsato alle società. A tutto ciò, poi, si uniscono anche piani di concessioni decennali (30, 40 anni) spesso sottoposti a proroga, come quella di 4 anni assegnata lo scorso 27 aprile all’Aspi, responsabile, tra le tante, anche della gestione del tratto della A10 che è stato scenario dei tragici eventi di Genova. Ad oggi, gli accordi tra Stato e concessionari resta soggetto dal Segreto di Stato. Unica apertura si è avuta con la pubblicazione, da parte dell’ex ministro Delrio, di una parte dei documenti circa le concessioni autostradali e altri profili tecnici che regolano i suddetti rapporti. Tra questi, spicca l’obbligo al mantenimento della funzionalità stradale tramite opere di manutenzione e ristrutturazione. Viene, invece, sempre più a mancare il controllo statale sulle stesse, tanto da non sanzionare il venir meno di obblighi e standard previsti dagli accordi, ma continuando ad applicare le tariffe di price cap previste.
Cosa comporta la revoca di una concessione?
Negli ultimi giorni, il governo guidato dal premier Conte ha avviato la procedura di revoca della concessione ad Autostrade per l’Italia, che scadrebbe nel 2042 e che quindi, in caso di revoca anticipata, garantirebbe a quest’ultima un indennizzo “pari ad un importo corrispondente al valore attuale netto dei ricavi della gestione, prevedibile dalla data del provvedimento di recesso, revoca o risoluzione del rapporto, sino alla scadenza della concessione”. A questa cifra, poi, andrebbero aggiunte ulteriori percentuali a titolo di penale e, eventualmente, di maggior danno.
Statalizzazione delle autostrade?
In parallelo con gli intenti del governo, si alza sempre di più la voce di chi propone una statalizzazione completa della rete autostradale. Più facile a dirsi che a farsi, ovviamene: secondo quanto calcolato da Fillea Cgil, l’ascesa dello stato a unico gestore della rete costerebbe circa 18,2 miliardi di euro, ammortizzabili in circa 40 anni. Il tutto senza contare eventuali interventi straordinari e imprevisti vari.
Ma, se i fatti di cronaca ci insegnano qualcosa, è che sono proprio gli “imprevisti” a giocare un ruolo fondamentale in questo paese.
A cura di Giulia Nino