Baci da Calcutta: pareri ed emozioni del concerto del 18 dicembre

Baci da Calcutta: pareri ed emozioni del concerto del 18 dicembre

Parlare di musica indie, in Italia, resta ancora una cosa abbastanza insolita, un misto tra una parola inventata e un insulto. Eppure, all’incirca da un anno a questa parte, le cose sono iniziate a cambiare positivamente, e tutto ciò è merito anche e soprattutto di un cantautore di nome Calcutta. Ed entrando nell’Atlantico per assistere all’ultima data del tour, coronamento di un anno di su e giù per tutta Italia, dischi venduti e immancabili sfottò, si percepisce bene il consenso che in così poco tempo Edoardo D’Erme (vero nome del cantante) ha riscosso.

Il pubblico è eterogeneo, il clima è caldo nonostante le temperature all’esterno e il concerto è sold out. Non poca roba per un ragazzo che fino a pochi anni prima si esibiva in locali poco noti ai più in cambio di consumazioni gratis (come egli stesso afferma). Certamente ora le cose sono molto diverse, e lo si capisce non appena le luci si abbassano, i musicisti di accompagnamento prendono posto e gli spettatori in coro iniziano ad intonare a gran voce le note della stessa canzone. Va avanti per due ore e mezzo, ininterrotto. Dai pezzi che tirano maggiormente, come Gaetano e Frosinone, fino ai meno conosciuti. Il pubblico, ad ogni modo, non fa differenze: si urla, ci si spinge, si poga per canzoni lente, cosa quasi impensabile per del cantautorato di questo genere. Eppure succede e coinvolge tutti. Ognuno si sente parte di quel mare di gente pronto a perdere il fiato sulle note malinconiche del cantante di Latina.

Dal palco, nel mentre, sembra quasi di star suonando ancora nei vecchi locali di periferia, di fronte a una decina di persone, anziché migliaia di ragazzi e ragazze di tutte le età. I musicisti sono calmi, rilassati, la star della serata ancora di più. Chitarra in mano, cappellino in testa, parla poco, lascia presentare spesso le canzoni ai componenti della band, a turno, quasi come se fosse un gioco da non prendere troppo sul serio. I riflettori sembrano non scalfirlo, la voce non trema, soltanto evita di guardare dritto di fronte a sé, di guardare in faccia la folla urlante che dopo averlo conosciuto e seguito per un anno sui social e dal vivo, ormai gli vuole bene, ormai lo considera uno di casa.

Verso la fine, nel buio totale, un’immensa scritta si illumina dal fondo del palco. “Baci”. Il solo vezzo concesso alla serata. Il pubblico apprezza, ma apprezza soprattutto le note, le strofe, la gioia di potersi sentire parte di un tutto. Il concerto finisce tra le urla, gli applausi e un defilarsi svelto e modesto da parte dei musicisti. Nessun bis, nessuna ulteriore canzone. Si esce dal palazzetto sudati, stanchi, qualcuno ubriaco, altri pieni di lividi, ma tutti sorridenti. E’ stato un bel concerto, il parere dei fan è unanime. Ma la ragione per la quale quest’ultima data, così come le molte altre prima di questa, hanno funzionato, non va propriamente a ricercarsi in doti particolari del cantante o in arrangiamenti innovativi. Calcutta funziona, Calcutta attira, Calcutta fa sold out perché è un ragazzo come tanti. Un po’ sfigato, un po’ solo, un po’ malinconico, che mette insieme tutto ciò, alla buona, e tira dentro chi lo sente; chiunque può ritrovarsi nelle sue canzoni, modificandole e distorcendole nel significato originale il più delle volte, ma senza che questo rappresenti un limite, anzi. Ciò che Edoardo D’Erme ci canta non è nulla di nuovo o ignoto e proprio per questo è bello sentirlo ed è facile farlo proprio, immedesimarsi nel ragazzo col cappellino che si sente solo a Milano o che cerca di dimenticare una relazione del passato.

Se questa empatia che lo ha portato alla ribalta continuerà a giocare a favore del cantautore di Latina, non ci è dato da sapere. Per adesso i concerti sono finiti, le luci si sono spente e ognuno torna alla sua vita, sapendo che sarà impossibile non ripensare a quella sera di urla e rumore quando di notte si è i soli svegli in giro per la città.

 

A cura di Giulia Nino

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