Con una rivolta condotta con piena coscienza dei propri diritti democratici e soprattutto senza isteria di massa o danni ingiustificati, il popolo burkinabè sembra finalmente pronto a riprendersi quanto gli era stato ingiustamente negato con il colpo di stato del 1987 e l’uccisione dell’ex presidente Thomas Sankara. Sankara fu l’uomo politico più amato nella storia del Burkina Faso fin da quando il paese raggiunse l’indipendenza. Soprannominato il “Che africano” per l’impegno dedicato a proteggere il proprio paese da pericolose influenze provenienti da paesi esteri e accanito sostenitore della necessità di fornire alla popolazione la coscienza sufficiente per difendersi dalla pressione esercitata, sotto mentite spoglie, proprio da quei paesi che sostenevano la decolonizzazione davanti ai congressi delle Nazioni Unite. Attento ai bisogni della popolazione e promotore di molte politiche sociali all’avanguardia, fu vittima di un colpo di stato condotto da Blaise Campaorè, che come molti sostengono fu sostenuto da potenze straniere nell’attuazione del complotto. L’ascesa al potere di Blaise Campaorè ha portato, oltre che negative conseguenze economiche, una triste decrescita della democrazia in Burkina Faso con la soppressione dei media; si ricorda il suo sospetto coinvolgimento nella morte del giornalista Norbert Zongo, assassinato nel 1998. Dopo 27 anni di governo resi possibili da dubbie pronunce della corte costituzionale, il presidente era pronto a richiedere emendamenti per poter estendere il proprio mandato, ma a partire dal 29 Ottobre incontrò un massiccio movimento di manifestazione popolare promosso dai leader dell’opposizione contro quello che venne definito un colpo di stato tentato per vie legali. Le proteste divennero sempre più forti tra il 30 ed il 31 Ottobre, e mentre migliaia di manifestanti si radunavano nella piazza centrale della capitale Ouagadougou, entro la sera del 31 Ottobre il presidente Blaise Campaorè aveva presentato le proprie dimissioni. Le proteste vennero condotte con determinazione e senza eccessi di violenza, ed il primo Novembre il sindaco della capitale Simon Campaorè incitò i manifestanti a dimostrare il proprio rispetto per il paese partecipando ad una operazione di pulizia della città per rimuovere gli effetti dannosi delle manifestazioni. I media del paese, per molti anni costretti all’auto-censura, hanno giocato un ruolo fondamentale nella mobilitazione della società civile durante la protesta. Se il governo provvisorio dichiarato dal militare Zida può destare preoccupazioni ricordando tristi episodi storici di governi militari instaurati a seguito di una rivolta, il popolo burkinabè ed i leader dell’opposizione che hanno guidato le manifestazioni,sostenuti dall’Unione Africana, si sono strenuamente opposti sin dall’inizio alla presa di potere dei militari, affermando che il potere deve essere restituito ai civili.
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