Caso ATAC: tra efficienza e sostenibilità

Caso ATAC: tra efficienza e sostenibilità

A Roma il dibattito politico degli ultimi giorni è stato dominato dal tema dei trasporti pubblici, ed in particolare dall’iniziativa dei Radicali di Roma di indire una raccolta di firme per richiedere un referendum di iniziativa popolare.

Partiamo dall’iniziativa in sé: i Radicali di Roma lanciano circa due mesi fa la campagna “Mobilitiamo Roma”, e la raccolta firme “Se non firmi t’attacchi”. La raccolta firme richiede l’indizione di un referendum popolare, rivolto ai cittadini romani, di valore completamente consultivo, con il seguente quesito:

“Volete voi che, a decorrere dal 3 dicembre 2019, Roma Capitale affidi tutti i servizi relativi al trasporto pubblico locale di superficie e sotterraneo […] mediante gare pubbliche […]?”

Di fatto viene chiesta l’indizione di una gara per l’appalto del trasporto pubblico locale, in cui uno o “anche una pluralità di gestori”, possano gareggiare per l’assegnazione del servizio. Di fatto esistono 3 modi per gestire il trasporto pubblico locale (che d’ora in poi indicheremo con la sigla TPL):

  • Affidamento In house: è il meccanismo attualmente usato da Roma per ATAC. Di fatto è la gestione pubblica del TPL, che viene affidato senza gara alla propria azienda che si occupa di offrire il servizio. L’azienda, dal profilo pubblico, è quindi proprietà del comune. L’azienda trae i suoi guadagni principalmente dalla bigliettazione e dall’emolumento previsto da contratto di servizio.
  • Affidamento gross cost: questa rappresenta una delle due tipologie che il comune ha per appaltare a privati. Detto in parole povere il comune si occupa di progettare il servizio, l’azienda in appalto si occupa di abbattere i costi. Il comune programma alla o alle aziende quali linee e quali servizi svolgere, le paga per ogni vettura/km di tale servizio una cifra standard, e l’azienda privata si occupa di efficientare i costi, facendo profitti sulla “cresta” che riceve dal comune. Il guadagno del privato è quindi legato esclusivamente all’emolumento previsto dal contratto di servizio, ciò significa che il comune sostiene per intero i costi del servizio. È il caso dell’azienda RomaTPL, che svolge circa il 20% del servizio romano.
  • Affidamento in net cost: con questa modalità di affidamento, qualora si imponga una programmazione propria del servizio, il comune è tenuto a rimborsare il gestore della differenza che intercorre tra i guadagni previsti per la bigliettazione ed il costo del servizio. Il comune può anche rinunciare (quasi) completamente alla programmazione senza concedere alcun emolumento: in questo caso, il privato ha mano completamente libera sulla gestione del TPL.

Quali delle due forme di affidamento richieda il referendum, non ci è dato saperlo, e il dibattito sul tema è molto vivo tra gli addetti ai lavori.

Arriviamo ora nel campo del dibattito politico, in cui necessariamente dovrò presentare la questione secondo il mio punto di vista, che è fortemente contrario all’iniziativa dei Radicali, e a favore dell’assegnazione in house, e quindi pubblica, del TPL romano. Il perché abbraccia due nodi principali: il primo è quello dei debiti, il secondo quello delle infrastrutture.

Sul nodo dei debiti si è discusso molto, soprattutto dopo le dichiarazioni dell’ex direttore generale dell’ATAC Bruno Rota che, denunciando ormai una situazione insostenibile con un debito complessivo di ormai di 1,34 miliardi di €, minacciava di portare i libri in tribunale ed aprire la procedura di concordato preventivo in continuità, cercando di avviare l’iter fallimentare senza interrompere il servizio.

Di fatto il tema del debito è un falso mito: confrontando la situazione con altre grandi capitali europee, vediamo come la RATP, che gestisce il TPL di Parigi, ha un debito quasi doppio. BVG, che gestisce il TPL di Berlino, ha un debito quasi triplo. Come mai tali debiti non fanno rumore quanto il nostro? Il tema non è la grandezza del debito in sé, ma la sua sostenibilità: un debito molto grande viene comunque ripagato se genera introiti. Sembra quindi essere un problema di introiti quello di ATAC negli ultimi anni. Analizzando poi in dettaglio la composizione del debito romano, vediamo come la situazione sia più complessa di come viene presentata: dei di 1,35 miliardi di € di debito al 2015, ben 477 milioni sono debito nei confronti del comune. Inoltre, ATAC stessa vanta crediti per 381 milioni dal comune e per una cifra ancora non definita, dalla Regione, dato che quest’ultima controversia è ancora in tribunale. Insomma, il superamento del debito di ATAC ad oggi sembra più un tema di efficienza della linea, e più in generale una sua liquidazione sbrigativa potrebbe portare non pochi problemi nei confronti del comune stesso, che risulta di molto esposto.

Il nodo dell’efficienza è forse il tema più importante della questione ATAC. Basta fare un piccolo confronto Milano per capire la situazione è di grave deficit infrastrutturale che vive il TPL di Roma: a Milano abbiamo 7,7 km di metro e 13 km di tram ogni 100.000 abitanti; Roma ha solo 2,1 Km di metro e 1,1 km di tram ogni 100.000 abitanti. Il confronto è impietoso. Ma Roma, pur avendo un’infrastruttura così inferiore rispetto a Milano, compie ben il doppio di spostamenti di Milano per un totale di 1 miliardo e 200 milioni. Ciò significa che la stragrande maggioranza del TPL romano (75%-80%) è operato con autobus, mezzi che hanno uno scarsissimo rendimento economico. A Milano, invece, il 50% del servizio è operato con metropolitane, mezzi con altissima efficienza economica.

È quindi un problema di efficientamento dell’azienda? Si, ma non è il problema chiave: ATAC va rivoltata come un calzino, ha un rapporto tra manager e autisti tra i più alti, è stata spesso utilizzata per scopi elettorali e questo sicuramente non è sostenibile. Ma la privatizzazione, che imporrebbe una gestione più efficiente, risolverebbe problemi seri di infrastruttura? Io non la penso così, dato che ai costi standard che abbiamo la rete è inefficiente con qualsiasi forma di appalto elencata prima. A parità di infrastruttura sposteremmo solo le perdite, che sono organiche, purtroppo, del modo di trasporto romano. Modo di trasporto che può cambiare e farsi efficiente solo se cambia l’infrastruttura. Quello che serve per ATAC è finalmente l’arrivo di un soggetto politico serio, che inizi a programmare opere efficienti ed efficaci che aumentino il rendimento di servizio. Torino sta progettando tre nuove metro, così come Milano che ne prevede ben undici. Ma anche Napoli, Monza, Brescia, Catania. Nessuna di queste lo fa perché rinveste ricavi, ma semplicemente ha la capacità di progettare e farsi finanziarie dallo stato. Roma ha bisogno di ben altro che una semplice privatizzazione: ha bisogno di una classe politica che ricominci a vedere il TPL come un’istanza sociale e non più come da una parte, uno strumento di clientela, dall’altra un mero esercizio di bilancio. Ha bisogno di una seria progettazione e di una seria classe dirigente.

Insomma, la strada più difficile, ma quella che sicuramente garantisce più soluzioni.

 

A cura di Giuseppe Spataro

1 Comment

  1. Andrea Gatti

    Tutto giusto e tutto vero. Ma l’analisi non tocca uno dei punti fondamentali della questione, l’elusione del pagamento del biglietto da parte di una moltitudine di utenti. Chi usa la metro per i suoi spostamenti sa benissimo che i controlli ai tornelli sono scandalosamente iniziati (direi anche un po’ sporadicamente) solo qualche mese or sono. La diffusa e conosciutissima elusione del pagamento del biglietto a me suggerisce alcune riflessioni:
    1-che il deficit di ATAC si sarebbe potuto quanto meno ridurre negli anni attraverso una gestione sana, non derivando solo da specificità infrastrutturali romane – come scritto nell’articolo – ma anche da vera “mala gestio” aziendale; una società a capitale privato avrebbe chiuso gli occhi per decenni sui “portoghesi”? Ho i miei dubbi.
    2-che l’interesse privato al conseguimento della redditività dell’azienda – perché di una S.P.A. stiamo parlando – pur con tutte le salvaguardie rispetto al fatto che sempre di servizio pubblico si tratta, forse sarebbe uno stimolo a renderla efficiente e a introdurre un cambio di mentalità interno che mi sembra quanto mai opportuno.
    3-ultima di diverse defezioni, ha abbandonato l’incarico anche il Direttore Generale voluto e nominato dalla Giunta comunale; possiamo davvero sperare che ATAC sia un’azienda riformabile, che possa tornare in linea con una normale, sana gestione aziendale, non nepotistica, svincolata dalle logiche della sudditanza alla peggior politica, efficiente, attenta ai bisogni degli utenti e al contempo al proprio bilancio? A me sembra piú un atto di fede che una speranza; ma essendo ateo……
    Eppoi, le aziende di Parigi e di Berlino saranno anch’esse indebitate, ma a fronte di quale efficienza offerta ai cittadini? Anche a Parigi e a Berlino si rischia di attendere 50 minuti il passaggio di un autobus di superficie?

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