Dallo Yemen alla Siria, passando per l’Iraq, sono tante le guerre in atto nel nostro mondo e altrettante le popolazioni che necessitano di aiuto. Ci sono infatti moltissimi civili che vengono colpiti da queste guerre senza avere la possibilità di scappare e cercare una vita migliore. È proprio in questo contesto che opera Emergency: fondata il 15 maggio 1994 da Gino Strada e la moglie Teresa Sarti, insieme a Carlo Garbagnati e Giulio Cristoffanini, Emergency ha da sempre l’obiettivo di offrire cure mediche e chirurgiche alle vittime della guerra, della povertà e delle mine antiuomo in più di 20 paesi, fra missioni completate ed in corso.
Al Festiva Internazionale del Giornalismo abbiamo intervistato Cecilia Strada, presidente di Emergency dal 2009 al 2017, per farci raccontare qualcosa in più sulla sua esperienza, sull’organizzazione e soprattutto, sulle speranze per il futuro.
D: All’inizio del suo intervento ha detto di considerare il fatto che Emergency si occupi dei migranti qui in Italia una sconfitta. Cosa pensa, dunque, che possa fare lo Stato per aiutare i diversi gruppi sociali che si presentano ai vostri presidi?
R: Lo considero un fallimento per lo Stato perché in generale l’Italia avrebbe tutti gli strumenti legali, burocratici ed anche economici per gestire i propri cittadini ed anche gli stranieri. Sicuramente in Italia andrebbe rivisto il sistema dell’accoglienza, che in alcune sue accezioni funziona molto bene, come nel modello SPRAR (Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati) ed in altre non funziona assolutamente, andando a spostare una grossa quantità di persone in piccoli paesi in cui poi inevitabilmente si creano conflitti.
Ovviamente bisogna riguardare tutto questo in un quadro Europeo, perché va da sé che questo non può essere considerato un problema unicamente del paese di sbarco.
Un’altra cosa, può essere anche verificare il sistema di sbarco, controllarlo. Mafia capitale ci ha insegnato che sulla pelle di queste persone più fragili e deboli viene costruito un business pazzesco, dunque è necessario controllare il sistema per garantire sicurezza e diritti.
D: L’anno scorso, con Emergency, vi siete rivolti ai giovani per sensibilizzarli sul tema dei migranti, tuttavia rimane ancora tanta disinformazione, specialmente sui numeri, sulle condizioni reali e sulla percezione che i ragazzi hanno dei migranti. Cosa pensa si possa fare, quindi, per far capire ai ragazzi qual è la situazione reale riguardo i migranti che arrivano da noi?
R: Sicuramente leggere. Dico sempre ai ragazzi di leggere e studiare, perché solo la cultura ci libera e non ci fa essere schiavi. Per esempio,personalmente, farei leggere Alessandro Leogrande in tutte le scuole, perché riesce a raccontare davvero una storia.
Poi sicuramente pensare a delle occasioni d’incontro, che non siano sempre io che racconto l’immigrazione, ma magari farla raccontare dai migranti stessi. Incontriamoci. Sono tornata da poco da alcuni giorni in Puglia, dove sono stata ospite di un centro per minori non accompagnati, che in un anno che erano qui hanno imparato un perfetto italiano. Perché non facciamo raccontare a loro cosa vuol dire l’immigrazione? Questo secondo me potrebbe convincere anche a cambiare un po’ la prospettiva.
D: Prima ha parlato del tentativo di portare la pace in paesi in cui sono in atto conflitti. Pace spesso, soprattutto nella società occidentale, viene identificata con la democrazia, pensa dunque sia giusto tentare di importare la democrazia in paesi che non ce l’hanno? E soprattutto, crede che la democrazia sia adatta a tutti?
R: Probabilmente non è adatta a tutti i paesi e probabilmente non è neanche la forma di governo perfetta, però possiamo dire che è la migliore fra le forme imperfette che conosciamo. Dubito fortemente che si possa esportare con le armi, perché la democrazia per essere reale, e non soltanto una forma di governo scritta sulla carta, ha bisogno di tante cose che non si portano con le armi, come la consapevolezza, la cultura, un popolo istruito che non venga manipolato al momento di andare a votare e soprattutto onestà, altrimenti arriva la corruzione e si prende tutto.
La democrazia ha bisogno di una serie di cose e non si costruisce tutto né in una notte né con le armi. Penso che però, per uscire dalla situazione della guerra, della miseria e della violenza, si debba passare attraverso i diritti ed uno Stato che li garantisca.
D: Attraverso la sua esperienza con i vari tipi di emergenze, conflitti e tutto ciò che ha affrontato, quale pensa che sia il problema più importante del nostro mondo allo stato attuale delle cose?
R: Ultimamente ho visto tanti giovani, quindi se penso a loro direi la mancanza di sogni. Poi di problemi ce ne sono molti, la guerra, il cambiamento climatico, non si sa neanche da dove iniziare.
La cosa che mi preoccupa però, è appunto la mancanza di sogni, perché quando perdiamo la capacità d’immaginare che si possa fare qualcosa di diverso perdiamo anche la capacità d’immaginare di risolvere tutti quei gravi problemi che ci attanagliano. Per cui direi che la rassegnazione è un grande problema. Quindi diamoci da fare, anzi, datevi da fare voi giovani!
A cura di Desirèe Palombelli