Vivere l’Italia che vota è come fare un giro in bicicletta in un posto meraviglioso, nel luogo in cui la strada sale e la bellezza riduce la fatica che la spinta sul pedale ti costringe a sopportare. Ed io che i grandi giri in bici li guardo in tv, non posso che appassionarmi alla splendida corsa a tappe che è la campagna elettorale. È l’unica attività sportiva che riesco a vivere da vicino, il resto sono solo, ahimè, addominali da tavola. D’altronde i colori, i suoni, i discorsi, le piazze, le passioni, il folclore sono splendide manifestazioni della tipicità del nostro popolo appassionato, che vive i momenti cruciali della propria vita con vero trasporto. Come, appunto, la campagna elettorale. I metodi e i riti talvolta erano simbolici delle tradizioni tipiche di una zona geografica ma oggi gli esperti in comunicazione politica, gli spin doctor per capirci, hanno mortificato le diversificazioni territoriali creando in serie candidati tipo che sull’altare della perfezione, sacrificano sempre la veridicità e le passioni che comunque si celano dietro ben fatte brochure. Sarà, ma resto un inguaribile romantico e tutte queste costruzioni immaginifiche sono uno degli elementi che contribuiscono ad aumentare la forbice tra rappresentato e rappresentante, cosicché l’uno non si fida dell’altro.
L’altra caratteristica tipica del momento elettorale tutto italiano è l’analisi post voto: milioni di persone diventano per qualche giorno editorialisti degli ormai scomparsi giornali della sera, dando prova tra l’altro di estrema originalità e saggezza. Meglio sicuramente di taluni che di mestiere lo fanno e che scrivono strumentalmente per giustificare i propri scenari apocalittici. Togliatti diceva che si sbaglia l’analisi si sbaglia tutto e io per non fare torto al Migliore, rimando a quella che probabilmente scriveranno gli storici tra qualche anno visto che anche io sono convinto che le analisi a caldo possono essere deliranti e disastrose. Confido comunque nella benevolenza del lettore.
Il grande protagonista di questa campagna elettorale è stato sicuramente lui, Matteo Renzi, nostro simpaticissimo presidente del consiglio che tra un giro in elicottero in terra lucana e una partita alla Play Station può segnare sul proprio tabellino un bel 5-2. Su di lui erano concentrate le attenzioni del circo mediatico e lui che di media se ne intende ha provato abilmente a stigmatizzare le possibili conseguenze di una debacle elettorale. Per sua fortuna la matematica gli ha dato ragione seppure il Pd dopo l’exploit delle europee ha perso diversi e importanti voti. Comunque un buon risultato, se si pensa che il Partito a livello locale è dilaniato da lotte interne e autoreferenzialità spinta. Demerito probabilmente non del Presidente del Consiglio, ma del Segretario del Pd. Ormai rottamato e rottamatore non hanno più le fisionomia chiara dei tempi della prima Leopolda e selezionare la classe dirigente solo attraverso le primarie è pericoloso per la tenuta stessa di un partito così complesso. Ad onor del vero, però, giudicare l’operato di un governo sulla base di un voto locale è esercizio acrobatico; nei territori contano le liste e i candidati, poco tutto il resto.
Nota di merito a Michele Emiliano che in Puglia asfalta tutti consegnando al PD, insieme al risultato di Rossi in Toscana, il risultato più netto di questa tornata elettorale.
In Campania è tutto molto più complicato. De Luca vince e proverà a fare della Campania una grande Salerno sempre se la magistratura o Renzi glielo permetteranno. Vince con De Mita: politica è arte del possibile ed è impensabile lasciarsi sfuggire questo appoggio. Se non lo avesse avuto parleremmo di un altro risultato e non so se gli stessi che oggi criticano, l’avrebbero accettato di buon grado. La legge Severino va cambiata, non è da stato di diritto.
Le Marche e l’Umbria completano il quadro di quel cinque che consentiranno a Renzi di fare un altro anno di governo in apparente tranquillità.
Sull’altra sponda, Berlusconi rinsavisce in Liguria. Il suo delfino Toti vince su un Pd lacerato dalle primarie e porta a casa un ottimo punto di partenza per costruire un’alternativa di governo al centro sinistra, Salvini permettendo. E’ ancora presto e la strada è lunga ma ci proveranno. Per quel che riguarda la vicenda primarie in Liguria mi sento di dire questo: politica è anche arte di mediazione, compromesso, fatica e pazienza. Pensare che Pastorino avesse dovuto desistere in Liguria perché la somma dei suoi voti con quelli della Paita le avrebbero consentito di vincere è da matti, per come sono andate le primarie e per come è stato l’atteggiamento del segretario nei confronti della minoranza in questi mesi di presidenza. E’una lezione di politica e sarebbe opportuno capirla. Più che serbare rancore.
Ultimo capitolo: Veneto. Zaia doppia la Moretti e regala a Salvini la tenuta della seconda Regione in mano leghista. Ed è proprio Salvini che all’interno del centro destra rinforza e di molto la sua leadership. Regala alla democrazia Italiana una maglietta con una ruspa facendo preoccupare noi nostalgici pacifisti che preferivamo senz’altro l’ampolla con l’acqua del Po. Il Movimento 5 Stelle invece, non vince, ma si struttura sul territorio e presenta candidati più credibili delle volte precedenti. Tiene e migliora, merito del duo Di Battista-Di Maio che hanno imparato a conoscere la politica più di Grillo e Casaleggio. Provano a mettere radici sul territorio e se continuano, probabilmente, fra qualche anno avranno l’affidabilità giusta perché gli elettori possano consegnarli un governo più delicato di quello comunale.
Nota triste: l’alto astensionismo, che come al solito segna da qualche tempo a questa parte, le cronache post- voto. Non andare a votare è sempre un errore. Pensare di rifugiarsi dietro al “sono tutti uguali” peggio. Si dimostra superficialità e pigrizia perché davvero tutti uguali non sono. Lo dico sempre, politica non è quello che per necessità pensiamo che sia. Non scegliere non è la soluzione.