L’Unione Europea non ha mai fatto mistero del suo impegno per la creazione di un Mercato unico digitale, ma nessuna delle legislazioni entrate in vigore fino ad ora aveva suscitato tanto scalpore quanto la temutissima direttiva sul diritto d’autore.
I fantomatici articoli 11 e 13 erano stati fonte accesa di discussione sui social non appena la Commissione aveva approvato la proposta (su Twitter era spopolata la campagna #saveyourinternet e sono state firmate petizioni per spronare gli europarlamentari a preferire una posizione all’altra). Il clamore è aumentato il 3 luglio scorso, due giorni prima della votazione, quando Wikipedia si è oscurata per protesta e anche i meno informati sono venuti a conoscenza dell’argomento. La sessione estiva si è chiusa con una bocciatura e la promessa di tornare a parlarne a settembre con un testo modificato. Il popolo della rete ha, però, inteso solo la prima parte: giubilo si è diffuso tra gli oppositori e la questione è stata accantonata per le vacanze. Fino al 12 settembre, giorno in cui, a Strasburgo, la direttiva è passata.
Se a luglio erano solo 278 i favorevoli, a settembre sono aumentati (complice una maggiore partecipazione) a 438, anche gli astenuti sono passati da 31 a 39, gli unici ad essere diminuiti sono stati i contrari da 318 a 226. Il tema controverso aveva spaccato i rappresentati di uno stesso stato (per l’Italia, il Partito Democratico si era espresso a favore, mentre Lega e Movimento Cinque Stelle avevano sostenuto la posizione opposta) ma molti, dopo aver apparentemente riflettuto, hanno deciso di non rinviare di nuovo la discussione, iniziata nell’autunno 2016 con la prima versione della direttiva, ad una data successiva che sarebbe stata, in ogni caso, posteriore alle votazioni primaverili per il Parlamento Europeo del 2019. In realtà, la direttiva non entrerà in vigore subito poiché l’ultima fase dei negoziati con i singoli stati membri avverrà in ottobre. Questa votazione, però, è stata il passaggio decisivo che li ha avviati.
La nuova versione della direttiva è stata emendata, chiarendo aree che prima erano grigie e di non chiara interpretazione. Tuttavia, resta ancora controversa su alcuni punti ed è palese che suddette specifiche siano state solo conseguenza dell’insurrezione di massa (il sito del Parlamento si premura di sottolineare “Wikipedia e software open source esclusi”).
Sebbene la proposta comprendesse altri articoli, il centro della polemica sono stati i due articoli citati che continueranno ad avere particolare risonanza in futuro:
- l’articolo 11 potrebbe comportare un’ulteriore discussione sulla link tax, ovvero la famosa quota di compenso che spetterebbe ai giornalisti quando i loro articoli vengono condivisi, ma che non è ancora ben chiaro se chi “dovrebbe” pagarla sia intenzionato a farlo. Si spera che gli emendamenti approvati facilitino il raggiungimento di un accordo equo;
- l’articolo 13 determinerà scontento sul funzionamento del Content ID che dovrebbe essere implementato in rete. Questo sarebbe simile a quello di YouTube, che prima della pubblicazione di ogni video controlla se il materiale sia protetto da diritto d’autore, ma che non sempre si rivela affidabile. La nuova direttiva prevede l’istituzione di meccanismi rapidi di reclamo gestiti da persone e non da algoritmi. Viene da chiedersi quanto saranno invero rapidi ed efficienti.
Quella che era passata come una “crociata per i meme” in realtà si rivela molto di più: la necessità che il diritto d’autore sia tutelato e remunerato è innegabile, motivo per cui tale problematica deve essere risolta con una direttiva chiara e non controversa, tale da non costituire un pericoloso precedente per la limitazione della libertà d’espressione da sempre presente sulle piattaforme digitali.
“Il mondo del web non può essere il far west” ha chiosato dopo la votazione Antonio Tajani, presidente del Parlamento Europeo, e non gli si può dar torto.
Ci si augura, tuttavia, che non per questo divenga una dittatura.
Ludovica Esposito