Donald Trump: l’alba della nuova America

Donald Trump: l’alba della nuova America

We assembled here today are issuing a new decree to be heard in every city, in every foreign capital, and in every hall of power. From this day forward, a new vision will govern our land. From this day forward, it’s going to be only ‘America first! America first!’

[…]

We are one nation and their pain is our pain. Their dreams are our dreams. And their success will be our success. We share one heart, one home, and one glorious destiny. The oath of office I take today is an oath of allegiance to all Americans.

 

Così Donald J. Trump ha detto nel suo discorso d’insediamento, appena dopo aver prestato giuramento come 45° Presidente degli Stati Uniti. Un discorso che fa riflettere, breve rispetto a quello di molti altri Presidenti americani, ma probabilmente molto più incisivo e diretto.

Sì, perché Donald Trump, sin dalla frase d’apertura (“Chief Justice Roberts, President Carter, President Clinton, President Bush, President Obama, …”), ha lanciato la prima indicazione forte, citando i suoi predecessori, nonché invitati all’inaugurazione. E li ha citati non per onorarli e per apprezzare la loro presenza – o almeno non per questo – dietro le quinte. Lo ha fatto per segnare una linea nettissima di separazione, tra il passato e il presente, tra ciò che è stato e ciò che ora verrà, tra un vecchio mondo e uno nuovo.

Un segnale forte, che non lascia spazio a dubbi, come detto anche nelle frasi in apertura. L’America cambia, ora, adesso, a partire da lui, con lui. E di nuovo Trump, sotto la pioggia del cielo grigio di Washington, lo ha ribadito affermando “From this day forward, it’s going to be only ‘America first! America first!’ ”, lanciando l’altro segnale, fortissimo e indubitabile: l’America torna di nuovo al centro, ma questa volta non più del mondo – come è stato nel passato -, ma al centro di se stessa.

Un’America per gli americani e solo per loro, poi per gli altri. E qui il Presidente colpisce di nuovo dritto all’obiettivo, nel cuore del suo elettorato, e nel cuore di tutta la nazione: gli Stati Uniti da questo momento in poi torneranno a pensare prima di tutto a se stessi. Si occuperanno innanzitutto dei propri interessi e poi guarderanno al resto del mondo.

Come Trump dice, per troppo tempo, e qui un altro “terribile” affondo, i politici di Washington, chiusi nelle mura del Congresso, hanno “festeggiato” e si sono arricchiti alle spalle degli americani, lasciando loro nient’altro che meri discorsi e promesse poi spesso disattese. Ma da questo momento le cose cambiano, afferma il Presidente: “questo è il giorno”, dice, “in cui il potere torna di nuovo al popolo americano”, il giorno dell’azione, in cui le chiacchiere sono finite e si comincia a ricostruire un futuro splendido, un avvenire glorioso.

E mentre Trump qui cerca anche di cominciare a risanare le ferite e le divisioni che tanto hanno dilaniato la nazione per tutta la durata della campagna presidenziale, ribadisce e afferma ancora che un nuovo glorioso futuro aspetta l’America: un futuro dove non ci sarà più, o almeno non in prevalenza, un interesse particolare per il mondo, e per il controllo strategico di esso attraverso l’apparato militare, peraltro più volte nominato e celebrato, ma ci sarà invece una messa al centro dell’America in quanto tale, con tutte le sue problematiche e i tanti oppressi e dimenticati che “per troppo tempo sono stati lasciati soli, ma ora non più”.

Qui si presenta la “faccia” più populista di Trump, quella dell’uomo delle masse, che va in rotta con le élites e promette di riportare il potere al popolo. Perché avere tanto interesse per il resto del mondo e per il dominio strategico, quando tanti poveri e indifesi sono stati lasciati indietro per troppo tempo? Allora Trump dice che da questo momento in poi tale “American carnage” finisce, e il popolo statunitense torna dagli ospedali di nuovo al lavoro, a ricostruire strade, aeroporti, ferrovie. Ritorna ad avere un’istruzione degna di tale nome, ritorna ad essere protetto sulle strade, e non soggetto a folli e imprevedibili aggressioni. Ritorna ad avere lavoro, a costruire e credere nell’American dream, che da troppo tempo è stato messo in ombra dalle smanie imperialistiche e di potere dei “vecchi”.

Dunque una nuova era sembrerebbe aprirsi per l’America: un’era di azione, di duro lavoro, ma che alla fine – come dice il Presidente – darà i suoi frutti e permetterà a questa di tornare ad essere la grande nazione di un tempo. Una superpotenza, se così possiamo dire, che però ora non cercherà più di imporre il suo modello a tutti gli altri, ma si occuperà in primis dei suoi interessi e dei suoi problemi per il proprio benessere, divenendo un modello “splendente” da seguire agli occhi degli altri.

Così quindi Trump, agli occhi attoniti e quasi persi nel vuoto delle “vecchie” élites, si presenta al mondo in qualità di nuovo “commander in chief”. Un discorso che ha impressionato e in un certo senso fatto paura a molti per la sua incisività e quasi aggressività, che però da un certo punto di vista non manca neanche di nascondere ad occhi più attenti un dubbio inquietante: come si avvererà tutto questo? Sarà mai davvero possibile? In un mondo del tutto globalizzato e interdipendente, dove varie potenze vecchie e nuove si affacciano con sempre maggiore forza e ambizione sul panorama dello scacchiere mondiale, come intende l’ex tycoon di New York “ricostruire” l’America e renderla la “nazione dei sogni” vagheggiata per intere generazioni della storia? E se la lotta tanto sbandierata per i poveri e gli oppressi in realtà non fosse altro che fumo negli occhi, “oppio” per le masse, e non si risolvesse in nient’altro che un’ennesima continuazione del passato e degli interessi di poche, ristrette élites, magari in senso molto più protezionistico?

Non dimentichiamo, d’altronde, chi è Trump, ovvero il settimo miliardario più ricco al mondo, businessman tra i più conosciuti in America e a livello mondiale, con alcune pesanti controversie (tra cui quelle sessuali e sui suoi conflitti di interessi) riemerse durante la campagna elettorale. Senza neanche sottovalutare il limite dei suoi poteri presidenziali, già emersi con tutta la loro evidenza durante la precedente amministrazione, e l’innegabile ma quanto mai presente intreccio di potere e interessi che si annidano anche nell’environment politico americano.

Vero è che ora tutto il Congresso sia Repubblicano, ma la storia e gli anni di Obama ci hanno ben insegnato che anche l’uomo migliore e più autorevole deve fare i conti con certi limiti, alcuni più e altri meno nascosti, in un clima peraltro di profonda divisione sociale e di intenso dibattito politico come forse mai si erano visti nella storia degli Stati Uniti. Quindi un contesto a cui fare molta attenzione, di difficile lettura, un potenziale “punto di fuoco” dove la nuova amministrazione – ma più in generale tutto il mondo politico Americano – dovranno muoversi molto attentamente, consapevoli dello sguardo attento e vigile non solo dell’elettorato, ma anche del mondo intero, tra amici e nemici sempre in agguato.

All’ombra di questi interrogativi quanto mai legittimi e altrettanto inquietanti, Trump diventa “epitome” e massimo “interprete” non solo della “nuova America” che verrà, ma inevitabilmente anche di un “nuovo mondo”.

 

A cura di Pasquale Candela.

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