Dove risiede il potere? Risponde la Georgia.

Dove risiede il potere? Risponde la Georgia.

Sul grande scacchiere del Caucaso, la Georgia gioca una partita. Da un lato, un governo che si piega a Mosca; dall’altro, un popolo che sogna un futuro europeo. La storia insegna che il potere non  risiede nella forza militare o nei decreti ufficiali, ma dove gli uomini credono che risieda. E in Georgia, oggi, migliaia di persone credono che il potere sia nelle loro mani, nelle loro voci. 

La Georgia è da secoli terra di resistenza. Un piccolo regno cristiano accerchiato da imperi più grandi e più forti. Persiani, Ottomani e Mongoli hanno tentato di sottometterla, ma ogni volta il popolo georgiano ha dimostrato che la sopravvivenza non si misura in eserciti, ma in volontà. Quando la Russia zarista offrì la sua “protezione” nel 1783, molti pensarono che la partita fosse finita. Ma nel 1801, l’annessione trasformò la protezione in oppressione. Eppure, anche sotto il giogo zarista, i georgiani non smisero mai di credere nella propria indipendenza. Questa fede riaffiorò nel 1918, quando, tra le rovine dell’Impero Russo, la Georgia proclamò la propria sovranità. Per tre brevi anni, il Paese visse il sogno di essere padrone del proprio destino, finché nel 1921 l’Armata Rossa lo riportò nell’orbita sovietica. Eppure, neanche Stalin, un georgiano divenuto simbolo del potere sovietico, riuscì a spegnere completamente lo spirito ribelle del suo popolo.  Quando l’Unione Sovietica crollò nel 1991, la Georgia fu tra i primi a dichiarare l’indipendenza, dimostrando ancora una volta che gli imperi non cadono sotto i colpi di un esercito, ma quando perdono la fede del popolo. Negli anni ’90, però, la Georgia scoprì che l’indipendenza era solo l’inizio di una nuova battaglia. Guerre civili e instabilità, alimentate da Mosca, la trascinarono in una crisi. Abkhazia e Ossezia del Sud divennero focolai di conflitto, strumenti della Russia per mantenere il controllo. Ma nel 2003, con la Rivoluzione delle Rose, il popolo georgiano tornò a credere nel proprio potere: un movimento pacifico rovesciò un governo corrotto e aprì la strada a un avvicinamento all’Europa. 

Oggi, la Georgia affronta una sfida epocale. La decisione del governo di interrompere i negoziati di adesione con l’Unione Europea ha scatenato proteste di massa. Nelle piazze di Tbilisi, migliaia di cittadini marciano, brandendo bandiere europee come simbolo di un futuro che non intendono abbandonare. Non sono armati, ma credono fermamente che la libertà sia ancora possibile. La Russia osserva e gioca con astuzia: non ha bisogno di invadere, basta far credere ai georgiani che non esistano alternative. Ma ogni notte, la gente dimostra che questa narrativa non regge più. Non sono nessuno, forse, ma credono di poter essere tutto. E questa convinzione è il più grande pericolo per un oppressore. La lezione della Georgia è universale: gli imperi crollano quando la gente smette di temerli. Oggi il potere di Mosca è solo un’ombra finché i georgiani si rifiutano di lasciarsi schiacciare. Ogni protesta, ogni bandiera issata, ogni coro di piazza è un atto di resistenza contro l’idea che il destino della Georgia sia già scritto. L’Unione Europea e gli Stati Uniti osservano, consapevoli che questa battaglia va oltre i confini del Caucaso. È un banco di prova per il valore della libertà in una regione dove il potere sembra intoccabile. Ma l’Occidente non può limitarsi a guardare: deve dimostrare che il sogno europeo non è un’illusione. 

Ogni notte, i georgiani riscrivono le regole del gioco, dimostrando che il potere non è mai assoluto, ma sempre in bilico. Basta un soffio per far crollare un castello di carte, e quando un popolo crede davvero nel proprio diritto di esistere, nessuna scacchiera truccata può impedire di immaginare un nuovo inizio. Oggi, la Georgia non è più un semplice pedone. È il simbolo di una resistenza che non combatte solo per sé stessa, ma per il diritto universale di decidere il proprio destino, il simbolo di un mondo che non vuole più piegarsi al passato.

di Silvia Isola

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