Il proclamato ‘stato islamico’ attacca nel cuore dell’Europa, e il mondo sale in allerta in vista di una minaccia che sembra agire ovunque. Negli ultimi giorni abbiamo assistito all’abbattimento di un aereo di linea russo che ha provocato la morte tutti i 224 passeggeri a bordo, poi l’attacco suicida a Beirut e infine gli attacchi di Parigi, tragedie tutte rivendicate dall’ISIS. Si aspettano conferme dalle investigazioni, ma il quadro è assai chiaro, i jihadisti rispondono a coloro che attivamente minacciano l’esistenza del loro ‘stato’, in questo momento preso di mira soprattutto da Russia, Hezbollah, e Francia (che unilateralmente aveva intensificato i raid in Siria lo scorso settembre).
L’attentato parigino del 13 novembre, facendo strage di 132 innocenti, ha mandato il segnale più forte in ogni capitale del mondo. L’Europa, già colma di intemperie, è quindi stata colpita in un momento storico particolarmente sensibile. Ora si trova a guardarsi dietro le spalle e contare su se stessa. In questi giorni critici i governi sono concentrati sull’amplificazione delle forze di sicurezza dei loro paesi, cercando di sradicare ed intercettare i network jihadisti che hanno penetrato nella società. La Francia ha già decretato lo stato di emergenza, ed ha chiuso le frontiere per cercare di catturare i complici implicati nell’attacco sferrato nella capitale. Sorvegliate in particolare sono le periferie o banlieues di Francia e Belgio, dove prolifera il traffico d’armi ed esiste un clima sociale tale da far attecchire il radicalismo islamico. Queste misure di tutela sono comprensibili; anche se una chiusura prolungata del confine francese metterebbe in bilico lo spazio Schengen. Ricorrere ad una politica di blocco territoriale, non solo in Francia, in un momento in cui l’Europa deve rafforzare il clima di fiducia tra paesi, non sarebbe del tutto auspicabile, perché rischierebbe di mettere a repentaglio la nostra abilità di agire uniti contro l’ISIS e al tempo stesso le nostre libertà. Di fronte a questo nuovo tipo di terrorismo, bisogna trovare una mentalità cooperativa nuova; in particolare sul piano del controspionaggio dove deve crescere un maggiore coordinamento sovranazionale che possa rendere le misure anti-terroristiche più efficaci ed affidabili.
Mentre è cruciale rafforzare anche in Italia la sicurezza—sono stati inviati 700 militari per sorvegliare la capitale dove a breve si inaugurerà il Giubileo—non bisogna però cedere alla paura ne’ reagire solamente con l’emozione. Vi è il bisogno, da parte di tutti, di rimanere uniti e compatti, come sttolineato dal Primo Ministro Renzi, ma soprattutto di non diffondere la discriminazione contro la religione islamica in quanto tale. E’ importante sottolineare che l’ISIS, combatte in primo luogo contro gli musulmani stessi.
In ogni caso, è molto probabile che l’evento accaduto a Parigi spingerà ulteriormente l’opinione pubblica verso il Front National di Marine Le Pen, che nella sua retorica populista ha sempre parlato di una ‘minaccia’, che adesso sembra essersi realizzata. La presenza sempre più grande di governi e partiti euroscettici in Europa sta rimettendo in discussione le politiche sulle frontiere e il processo di ripartizione dei rifugiati provenienti dall’Africa e Medio-Oriente, anche se il terrorismo non è legato all’immigrazione. Tra terrorismo, ‘brexit’, e nazionalismi la solidità Europea si trova in grande difficoltà. Inoltre l’effetto caotico del terrorismo può avere effetti negativi anche sul fronte economico e degli investimenti.
Però sono proprio questi i momenti che l’Europa e il mondo devono dimostrarsi forti e all’altezza di agire razionalmente insieme contro il male comune. Come segnalato da Sergio Romano, le potenze mondiali non possono più rimanere passive e disunite nei confronti della Siria ove nasce il nostro nemico che è il terrorismo ISIS. Fortunatamente, in questi ultimi giorni al vertice del G20 si è proprio parlato di un cambiamento di strategia, e dunque sembra sempre più imminente un accordo tra USA e Russia per arrivare ad una politica più sostenibile e concordata sulla transizione politica e militare in Siria, con o senza Assad (un elemento ormai secondario). Ad ogni modo, è cruciale che venga accelerata la chiusura del fronte siriano—anche con il coinvolgimento di Arabia Saudita e Iran nel negoziato—tramite un’intensificazione militare e diplomatica mirata a ridimensionare e se possibile annientare il Califfato. Una prospettiva migliore per la regione mediorientale e la Siria aiuterebbe anche a calmare l’afflusso migratorio in Europa, che a sua volta sta aumentando il richiamo dei nazionalismi.