“Il passaggio alla fase due avverrà in modo graduale, con aperture parziali e forme mirate di controllo’’;
“adolescenti chiusi in casa, rischio sindrome di Hikikomori’’;
“Coronavirus, come evitare la depressione da isolamento’’;
“Estate e coronavirus: ombrelloni distanti, sanificazione assidua’’;
“Coronavirus, allarme dell’FMI: PIL globale crollerà del 3% nel 2020, è la peggiore recessione dal 1930’’.
Ci tengo a scrivere sin dall’inizio che non si tratta di nessuna analisi geoeconomica e politica, ma di un semplice sfogo. Gli sfoghi sono produttivi, possono portare a nuovi spunti di riflessione.
Possono perfino essere completamente sbagliati, ma sempre sfoghi rimangano.
Lo tsunami Covid-19 ha fortemente colpito le condizioni collettive ed individuali delle nostre società: è un fatto, che siate d’accordo o meno.
Non abbiamo ancora una visione nitida delle conseguenze a medio termine che ne deriveranno, che siano di condizione economica, sociale, emotiva o psicofisica.
La percezione umana è limitata, lo è in temi elementari e scarni, figurarsi quando tentiamo di affrontare un discorso più complesso come quello di una possibile pandemia. Detto ciò, mi annoio leggendo, sentendo, scrollando e sfogliando lo scatenato vespaio di gemiti e lamenti legati alle misure di sicurezza che saremo obbligati a rispettare nelle fasi due, tre, quattro e cinque di questo momento difficile.
Il lamento di chi ulula alla luna l’indignazione verso le future norme adottate. La constatazione di fatto dell’elevato numero (per fortuna di una minoranza) di comportamenti illeciti avvenuti in questo periodo di lockdown. Le proteste di chi ha evaso le tasse per anni, compiacendosi comunque di quel poco garantito grazie a chi ha avuto il coraggio di credere nella collettività (sistema sanitario nazionale, per esempio), che ora urla a squarciagola di non essere stato aiutato dallo Stato.
Il pianto di chi è stato costretto ingiustamente a rimanere su un sofà a scrollare le ultime puntate distribuite da Netflix.
Le geremiadi di chi starnazza l’abolizione temporanea delle libertà, le grida di chi contrappone ad un possibile piano di tracciamento fisico tramite i dispositivi digitali, per motivi di sanità pubblica, e quindi sicurezza, una guerra a favore della privacy, dimenticando di aver donato i propri dati da anni a società ed organizzazioni a noi sconosciute e governate dalla fluida governance di internet.
Il reclamo di chi tenta di elaborare, dal terrazzo di casa, piani industriali e nuove manovre fiscali per far ripartire il motore economico nazionale.
Il tutto è accentuato, alla luce del numero di morti in continua crescita (vite, non numeri), dalle parole delle stesse persone che all’inizio dell’anno sghignazzavano “tanto muoiono solo gli anziani”, per poi lamentarsi del fatto che nei prossimi mesi dovranno continuare a rispettare il distanziamento sociale in spiaggia bevendo il loro spritz.
Il paradosso della tolleranza ci rende partecipi in egual modo di esprimere le nostre preoccupazioni, ma non giustifica il declino culturale, umano ed emotivo accompagnato dal più becero decadentismo del nostro
secolo.
Ci vantiamo di essere una società interculturare. Un autocompiacimento basato sul nulla, se vogliamo rimanere onesti e umili. Lo si vede in momenti simili, in momenti di non benessere. Come dice la psicosociologa Margalit Cohen-Emerique, le situazioni di shock riescono fortemente a mutare i principi chiave che governano la nostra vita, come la felicità.
Facendo un ragionamento di ampio respiro, al costo di risultare banale e probabilmente incoerente, propongo, mettendomi in fila, una piccola riflessione tramite una collezione di foto pubblicate dal World Press Photo, l’ABC News ed il Time.
Le immagini rappresentano la vita quotidiana di un popolo da cui il mondo intero deve imparare, modellando la propria percezione di serenità, placidità e felicità.
Come spiega il grande fotoreport, umanista ed economista, Sebastiao Salgado, la fotografia ha un’enorme potere di propagazione di ciò che ci circonda, con una potenza di fuoco capace di mutare i nostri pensieri, ragionamenti e supposizioni.
Il contenuto delle foto è alquanto infelice, lugubre e non adatto ad una lettura casuale, ma credo che se non si incontra mai qualcosa in grado di fabbricare dolore, probabilmente significa che non si sta vivendo in una società libera.
Perché è importante vedere foto simili?
Perché è importante allargare gli orizzonti scontrandoci con realtà così lontane?
Per poter dire di essere felici, di ciò che abbiamo e di ciò che non abbiamo. Per poter dire di sentirci felici della vita che possiamo vivere ogni giorno, anche socialmente distanziati. Essere consapevoli della difficoltà di tutto ciò con cui dovremo scontrarci nei prossimi mesi non è un valido motivo di continue lamentele. Bisogna ridimensionare il valore che attribuiamo alle parole.
Allo stesso tempo, è necessario imparare a rimanere in silenzio, in determinate circostanze, riuscendo a non perdere le grandi occasioni per stare zitti.
Detto ciò, mi taccio.
A cura di Francesco Pagano