In questi giorni televisioni e web si sono infiammati per un servizio di Edoardo Stoppa, attivista animalista, relativo alla sperimentazione sugli animali. La questione, arrivata all’ennesima puntata, rimarca quanto accade, a detta dell’inviato di “Striscia la Notizia”, all’interno dei laboratori di ricerca dell’Università “La Sapienza”. Qui primati appartenenti alla famiglia dei macachi sarebbero imprigionati in apposite gabbie, pronti a prendere (non volontariamente) parte ad esperimenti clinici. Obiettivo del servizio era rendere noti i maltrattamenti che tali animali subiscono per mano dei ricercatori. In risposta a ciò, il Partito Animalista Europeo ha organizzato una manifestazione all’esterno dei laboratori che per motivi di sicurezza è stata spostata al di fuori della Città Universitaria. Frattanto anche i ricercatori si erano schierati per rispondere alle accuse mosse loro. Anche sui social network non è mancato lo scontro virtuale innescato dagli utenti delle due fazioni. Anzi soprattutto in rete la battaglia continua imperterrita. Tra i vari slogan spicca in particolare quella dello scienziato e filosofo Albert Einstein, a detta del quale “chi ha il privilegio di sapere ha il dovere di agire”. Ma è sempre così? Al di là di quanto sin ora detto e tralasciando la questione Sapienza in sé, la tematica che si va ad affrontare è semplicemente una: è eticamente corretta la sperimentazione animale ai fini della ricerca? Sui piatti opposti della bilancia vi sono, da un lato, il progresso scientifico che si traduce in un incremento dell’età media e in un decremento del tasso di mortalità; dall’altro lato, però, troviamo animali indifesi, sfruttati e maltrattati, privati della propria libertà, ammansiti e costretti in gabbia. Ogni anno, statistiche alla mano, il ricorso ad esseri vertebrati per la ricerca scientifica oscilla tra i 10 ed i 100 milioni. Numeri impressionanti se si pensa alla regola delle 3R (Replacement, Reduction, Refiniment), ideata da Russel e Burch nel 1959, la quale auspica la riduzione del numero di cavie coinvolte nella ricerca. Vero, però, che il contributo apportato da questi animali è innegabile. Il progresso scientifico è sempre più tangibile. La domanda che ci si pone, e che altre volte è stata presa in considerazione, è se per raggiungere il bene superiore, inteso esso come il diritto ad una maggiore longevità, si possa o si debba ricorrere al sacrificio di inermi animali. Mi verrebbe da dire che il progresso scientifico ha da sempre dovuto fare i conti con pro e contro ed ha da sempre dovuto combattere contro un’etica frivola oggetto di accantonamento per provare a raggiungere, a volte positivamente, altre volte no, dei risultati. Ai lettori l’ardua sentenza.
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