L’Unione Europea e le sue istituzioni stanno forse affrontando il periodo più difficile della loro storia, momento che se non gestito in modo corretto può portare seri problemi a tutto il vecchio continente; per i più pessimisti il rischio è addirittura quello di un collasso dell’Unione Europea in favore di un ritorno agli stati nazionali.
Ciò significherebbe un passo indietro di almeno un secolo, i primi ideali europei infatti sono nati intorno agli anni 20’ del novecento, per iniziativa del conte Coundenhove Kalergi che ipotizzava un unione degli stati europei, dove non si mettesse in discussione la sovranità di nessuno stato, ma si cooperasse per il mantenimento della pace e per contrastare lo strapotere sia dei sovietici sia degli Stati Uniti.
Il punto cardine per la formazione della odierna Unione Europea però fu sicuramente la stipula del trattato istitutivo della CECA cui aderirono: Olanda, Italia, Francia, Lussemburgo, Germania e Belgio; tale trattato era fondamentale poiché conteneva l’obbiettivo principale della comunità europea, ossia il mantenimento della pace tramite la messa in comune delle risorse economiche principali.
Da quel momento, l’Unione, ha continuato la sua opera di sviluppo annettendo nuovi stati e aggiornando il funzionamento delle proprio istituzioni cercando di rimanere sempre coerente con i suoi principi fondanti, ma cercando anche di ammodernarsi per tutelare le esigenze di tutti i paesi membri. Non volendoci soffermare ora su come si sia aggiornata l’Unione dopo il trattato di Parigi (ossia quello istitutivo della CECA), dato che man mano ci sarà la possibilità di farlo, è meglio soffermarsi sul perché per i più pessimisti l’Unione rischia di non “sopravvivere” alle prossime due decadi.
Il primo problema è stato forse uno dei più grandi pregi della storia dell’Unione, ossia la possibilità di integrazione differenziata. Con questo termine intendiamo la possibilità, data ad ogni stato che rispetti i valori enunciati dall’ art.2 del Trattato sull’Unione Europea, di concordare, prima che ne sia ratificato l’ingresso nell’Unione, le condizioni alle quali è subordinata la sua annessione, che dovranno essere oggetto di negoziato tra lo stato richiedente e gli stati già membri. Ciò permette, sia lo sviluppo dell’Europa “a più velocità”, sia agli stati di sottostare a condizioni più adeguate alla loro situazione e di meglio valutare gli obiettivi che si vogliono conseguire entrando nell’Unione.
Di recente però moltissimi stati iniziano ad avere numerose difficoltà a sottostare alle condizioni europee, condizioni che quando negoziate sembravano alla portata, ma che con gli avvenimenti recenti sono diventate assolutamente proibitive. Su questo aspetto, negli ultimi anni diversi partiti politici hanno -nella palese ignoranza delle basilari regole di funzionamento dell’unione europea- criticato aspramente i vincoli da questa imposti, affermando che ciò impedisce ai vari paesi di poter attuare importanti riforme necessarie per ripartire e superare il momento dannoso.
Esempio di ciò è il neoeletto governo italiano Pentaleghista che più volte si è scagliato contro la soglia del deficit al 3% imposta dall’Unione, o anche e soprattutto di recente con la condanna dell’Ungheria a causa della politica del suo presidente Viktor Orbàn, accusata di aver violato i diritti tutelati dall’ unione nei trattati soprattutto in materia di accoglienza. Proprio questo ci porta alla seconda miccia scatenante la crisi europea, la questione dei migranti.
Perché tale emergenza ha influenzato così tanto i rapporti tra unione e popolazioni dei singoli stati?
Probabilmente, ma non c’è una risposta certa, l’Unione si è dimostrata troppo assente e attendista, nella speranza che il problema arrivasse ad un punto più gestibile o che si risolvesse in tempi brevi, cosa che, purtroppo per le istituzioni europee, non si è verificata, anzi il problema si è aggravato e ancora oggi, ad anni dall’inizio dell’emergenza non si è trovata una valida soluzione.
Nonostante ci si trovi di fronte ad una materia regolata dal diritto comunitario (nello specifico il regolamento di Dublino) l’emergenza senza precedenti e l’ostruzionismo di taluni stati hanno fatto sì che non si rinegoziasse un accordo che è stato discusso in un clima sicuramente diverso da quello attuale e che necessita certamente di una adeguata revisione, specialmente la parte relativa al paese obbligato a valutare la domanda di asilo.
I tentativi di aggiornamento sono iniziati nel 2016, ma con scarsi risultati dato che non si trova un compromesso soddisfacente per tutti gli stati. Questa situazione ha portato alla ribalta numerosi partiti di estrema destra che hanno utilizzato la crescente emergenza come arma alla base delle loro campagne elettorali; se si osserva la scena politica della maggior parte degli stati europei non si può non notare che la destra ha aumentato i propri consensi in modo notevole, esempio di questa tendenza può essere la Svezia, paese che quasi sempre ha avuto al governo i socialdemocratici, ma che ha visto l’estrema destra arrivare quasi al 20%.
Non bisogna nemmeno sottovalutare la recente uscita della Gran Bretagna dall’Unione, soprattutto perché crea un precedente che, unito alla spinta anti-europeista che rischia di dilagare nel continente può portare a grandi tensioni, ma può anche portare alla richiesta, da parte degli elettori di tali partiti, di uscire dall’Europa ora che grazie alla Brexit ci si è resi conto che non è un procedimento utopico.
Fatte queste premesse quali sono i possibili scenari aperti per l’Europa nei prossimi anni?
Il primo scenario è verosimilmente quello più negativo per tutte le parti in causa, ossia che le tensioni tra le istituzioni europee e i governi degli stati membri diventino troppo veementi e difficilmente sanabili comportando un massiccio tentativo di uscita dei singoli stati dall’Unione; con la conseguenza diretta che l’Europa, come era stata pensata, perderebbe di utilità e cesserebbe di esistere.
Conseguenza diretta per gli stati è una minore potenza e presenza sul mercato, dato che l’appartenenza all’Unione garantiva a molti stati maggior competitività su tale fronte, ma presi singolarmente invece vedono la loro importanza sensibilmente ridotta; bisogna infatti considerare che viviamo in un periodo storico caratterizzato dal grande mercato statunitense e da quello cinese, come potrebbe uno stato singolo poter competere con delle simili super potenze economiche?
In secondo luogo tra i vari stati si creerebbero dei conflitti volti ad affermare un ruolo predominante nel continente, non solo militarmente ma anche economicamente, rischiando di distruggere quello che era il primo grande risultato dell’ Unione Europea, ossia il mantenimento della pace; non bisogna dimenticare infatti che motivo della nascita della CECA era il mantenimento della pace tramite la messa in comune delle principali risorse economiche (nella fattispecie carbone e acciaio), solo successivamente l’Unione ha ampliato il proprio spazio d’azione costituendo prima un mercato libero a condizioni paritarie, poi una comunità che ha abbandonato l’ottica meramente economica per occuparsi di molteplici campi come ad esempio : la salvaguardia dell’ ambiente, quella delle frontiere e la sicurezza internazionale, per citarne alcuni.
Forse, se si può muovere una critica all’Europa, è l’essersi focalizzata quasi esclusivamente sulla finanza e il risanamento dell’economia dei suoi stati e di aver utilizzato meno impegno in tutte le altre materie che, come scritto nei trattati, rimangono anche di sua competenza.
Il secondo scenario possibile è che la situazione attuale di crisi europea sia superata, cioè che si riesca a mantenere – nonostante l’avanzata sempre più forte di partiti anti-europeisti – un sentimento di fiducia e di reciproca cooperazione con le istituzioni europee, forti della consapevolezza dei vantaggi derivanti dall’appartenenza alla comunità e dei rischi derivanti dall’uscita dall’Europa.
Molti stati infatti non hanno la solidità per porre in essere un tale atto, né tantomeno hanno la solidità per poter abbandonare anche solo l’euro, ritornando alla vecchia sovranità monetaria che permetteva di finanziare la maggior parte delle politiche tramite una svalutazione della propria moneta, iter oggi non più percorribile per coloro che fanno parte dell’eurozona per l’assenza di potere da parte dei singoli stati in materia di politica monetaria, in tale ambito infatti il potere spetta alla BCE.
Concludendo, non bisogna sottovalutare il momento attuale di sfiducia degli stati nei confronti delle istituzioni europee, né tantomeno bisogna pensare che una comunità sopranazionale come l’UE rimanga passiva e non si sappia adeguare alle nuove esigenze e richieste dei singoli stati.
La CECA è nata quasi 70 anni fa, ed ha vissuto tanti periodi di crisi molto profonda, ma in nome dei propri ideali e dei propri obiettivi ha saputo sempre trovare una via che democraticamente permettesse di perseguire tali finalità, vien da sé perciò che si cercherà di fare tutto il possibile tra i vari stati per far riemergere nei cittadini quel forte sentimento di coesione e fiducia nelle istituzioni europee che ne ha guidato per anni i lavori.
A cura di Marco Lauro