HONG KONG – THE UMBRELLA REVOLUTION

HONG KONG – THE UMBRELLA REVOLUTION

“Rivoluzione degli ombrelli”… nome bizzarro per una protesta, sembra quasi un gioco, una danza. In realtà il nome è azzeccatissimo ed esprime tutta l’essenza della rivolta: dei giovani, forse pure ingenui, ragazzi che scendono in strada a protestare in modo assolutamente pacifico, ritrovandosi di fronte una violenza insensatamente inaudita che li costringe a difendersi con ciò che hanno a portata di mano… gli ombrelli appunto (tutti ne portano uno sempre con sé, Hong Kong è una città molto piovosa), utilizzati come scudo, come protezione dai gas lacrimogeni e dallo spray al peperoncino usati dalla polizia contro la folla.
Per capire le ragioni della protesta bisogna risalire a 17 anni fa, quando Hong Kong venne liberata dalla dominazione coloniale britannica e restituita alla Cina. In base agli accordi stipulati a quel tempo, Hong Kong sarebbe diventata una regione amministrativa speciale della Cina secondo il sistema “one country, two systems”, godendo di un alto grado di autonomia, libertà di parola, di riunione e di organi politici indipendenti, cose che la rendono nettamente diversa dalla Cina continentale, dove le libertà civili sono ancora un’utopia.
La Basic Law, la mini-costituzione di Hong Kong nata dagli accordi tra Cinesi e Inglesi, stabiliva che il capo del governo venisse scelto e nominato da un comitato elettorale di 1.200 membri. I membri del suddetto organo, però non sono eletti dal popolo, ma sono dei fedelissimi scelti dal governo cinese.
I cittadini di Hong Kong, però non sono delle pecorelle schiave del governo centrale: essendo venuti a contatto con una realtà occidentale e democratica come quella britannica per più di 150 anni, e godendo di alcuni diritti e libertà che in Asia sono davvero un lusso, sono diventati, diciamo, più “esigenti”. Allora hanno cominciato a richiedere a Pechino quella libertà politica sempre mascherata e mai veramente esistita: elezioni libere e suffragio universale per le prossime elezioni del 2017.
Il 27 Settembre il governo cinese, prevedibilmente, ha risposto picche, facendo scattare la scintilla che ha generato le proteste. Immediatamente migliaia di persone si sono riversate nelle strade, occupando prima Admiralty, sede del governo e centro finanziario della città (da qui il nome del movimento “Occupy Central”), per poi spingersi anche in altre zone della città. L’entusiasmo dilagava tra i protestanti e soprattutto tra gli studenti. Queste scene, in Asia, sono veramente rare, non capita tutti i giorni di vedere migliaia di persone per strada unite a lottare contro un governo tra i più oppressivi al mondo. Questo enorme entusiasmo ha spaventato così tanto la Cina che la sera del primo giorno di protesta, la polizia ha cominciato a lanciare lacrimogeni contro le persone che stavano attuando un sit-in pacifico, nel tentativo di disperdere la folla. Ecco la testimonianza di una studentessa di 24 anni.
<<I was outside the government headquarters on Sunday, my boyfriend and I planned to leave at 6, the moment we stepped out of the crowd we heard screaming from behind. The police used tear gas against UNARMED people, everyone was furious because we have no defense and nothing, we literally ran for our lives (because we have never seen anything like this), and we yelled “shame on HK police”, and then we started using plastic wrap and umbrellas to defend ourselves>>
Da quella prima sera, gli studenti universitari e tutte le persone coinvolte nella protesta hanno deciso di prolungare indefinitamente l’occupazione delle vie della città, chiedendo, oltre alle concessioni democratiche, le dimissioni dell’attuale capo del governo Chung Ying Leung, reo di essere un burattino nelle mani di Pechino.
Nonostante la violenza ingiustificata della polizia, il rigido dissenso del governo di fronte alle richieste, e l’arresto di un gran numero di protestanti, la rivoluzione continua, la voglia di lottare è ancora integra. Questi ragazzi, ormai, hanno capito che dall’esito delle proteste dipenderà tutto il loro futuro, tutta la loro vita, le loro speranze e sogni. Si sono appena affacciati alla vita adulta, rendendosi conto di non avere nulla a che vedere con il sistema politico che gli è stato imposto, frutto di accordi politici tra due paesi estranei per loro. Perché, se per loro il periodo coloniale inglese ormai è solo roba da studiare sui libri di storia, allo stesso tempo non si sentono cinesi. Loro sono semplicemente Hongkongers, desiderosi e bramosi di libertà e democrazia.
In questi giorni la mia bacheca Facebook è piena di fiocchi gialli, simboli della protesta pro-democratica degli Hongkongers, e di messaggi in cinese e in inglese con i quali gli studenti si accordano su dove e quando incontrarsi per proseguire l’occupazione. Inoltre, ciò che stupisce è la grande forza pacifica messa in atto dai protestanti. Per le vie di Hong Kong non si vedono vetrine di negozi rotte, macchine ribaltate e spazzatura. Addirittura, tra gli striscioni e gli ombrelli, si notano dei cartelli in cui si chiede scusa per i disagi arrecati a causa della protesta. E in un attimo mi vengono in mente le manifestazioni a Roma degli ultimi anni…
I cittadini di Hong Kong stanno dimostrando di meritarsi supporto da parte nostra e di tutto il mondo. Nella loro lotta siamo coinvolti tutti noi, direttamente e indirettamente. Si tratta di aiutare dei ragazzi come noi a realizzare i propri sogni, ad attuare le loro speranze di cambiamento, per assicurarsi un futuro migliore, per scrollarsi di dosso un presente in cui non si rispecchiano.
Ecco cosa mi ha scritto una mia amica di Hong Kong qualche giorno fa:
<<My parents got divorced when I was 13… I have lost my home once, why do I have to lose it twice?>>

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