È possibile passare da artisti intramontabili come Van Gogh e Degas ad autori brasiliani o dell’est Europa dal nome di dubbia pronuncia? La risposta è sì, se ci si trova al Phillips Museum di Washington DC, oppure se si ha avuto la possibilità di visitare la mostra “Impressionisti e Moderni. Capolavori dalla “Phillips Collection di Washington” ospitata al Palazzo delle Esposizioni, conclusasi il 14 Febbraio.
Phillips, quando inaugurò la collezione del 1921, aveva come scopo il creare “un museo intimo e raccolto, ma che fosse anche sede di sperimentazione”. Arrivano dunque a noi questi sessantadue dipinti che Phillips non scelse per fama, ma per merito dell’artista. Così in un’uggiosa domenica pomeriggio abbiamo avuto la possibilità di uscire dal torpore e rifugiarci in questo angolo di bellezza. Non importava che la mostra fosse affollata o in alcuni punti addirittura mal illuminata. Non importava neanche che bastasse girare un corridoio per ritrovarsi nella Via Crucis di Botero, che apparentemente non c’entrava nulla. No, non era ciò che contava davvero. Avendo la possibilità di perdersi in queste otto sale, ciò che contava era la sensazione provata di fronte alle Due ragazze di Berthe Morisot, che parevano confondersi, con la stanza in cui si trovano, ai colori cupi del ritratto di Elena Povolozky di Amedeo Modigliani, fino ad arrivare alla potenza dell’azzurro unito all’arancione delle ballerine di Edgar Degas.
Questo è ciò che conta davvero: la meraviglia e la curiosità che ci suscita ogni opera. Era perdersi nell’atmosfera onirica del Mistero di Redon, oppure in mondi lontani fatti di pennellate dal tratto incisivo come Joinville di Dufy. Domandarsi che notizia stesse leggendo la donna in quel quadro di Vuillard, decidere di seguire Monet sulla strada per Vétheuil. Era l’animo umano che si solleva ogni volta che vede un’opera d’arte, come se tornasse a respirare dopo essere stato in apnea. Era fantasticare dietro la genesi di ogni opera, immaginando l’artista mentre la dipingeva. Speculare sul perché avesse scelto quel soggetto o quel colore. Rimanere incantati difronte alla perfezione di una singola pennellata, senza preoccuparsi dello spazio e del tempo. Tanto che importanza ha l’orario di chiusura davanti ad opere che sono al mondo da secoli? Chi ha lavorato nel museo tutto il giorno probabilmente dissentirebbe, ma chi è stato assorbito dall’atmosfera della mostra rimarrebbe ancora, cercando sempre nuovi particolari.
Grazie Duncan Phillips.
A cura di Beatrice Petrella