I “cinguettii” dei Ministri non sono legge.

I “cinguettii” dei Ministri non sono legge.

Il diritto alle prese con il nuovo mondo delle comunicazioni elettroniche: verso un codice per il cyber­spazio?

La sentenza del Consiglio di Stato del 12 febbraio 2015 con la quale si è risolta la singolare vicenda riguardante l’approvazione di un intervento di riqualificazione artistica di una piazza di La Spezia, ha condotto i giudici amministrativi a discutere per la prima volta in merito ad un “tweet” del Ministro che richiedeva al Comune di sospendere i lavori in attesa della verifica del progetto da parte del Ministero. Alla sentenza di I grado, che non aveva disposto l’eliminazione del “tweet”, perchè interpretato solo come un eccesso di potere da parte del Ministro, il Comune di La Spezia ha proposto appello incidentale, con l’impugnazione del “tweet” in questione. La vicenda si presenta particolarmente interessante in quanto la giustizia amministrativa viene chiamata ad esaminare un fenomeno che ha ad oggetto l’utilizzo dei nuovi mezzi di comunicazione elettronica. La sentenza sottolinea che gli “atti d’indirizzo della politica debbono concretarsi nella dovuta forma tipica dell’attività della pubblica amministrazione anche, e a maggior ragione nell’attuale epoca di comunicazioni di massa, con messaggi, cinguettii, seguiti ed altro.”

La presenza sempre più preponderante di Internet nelle nostre vite, ha rivoluzionato il mondo delle comunicazioni, delle relazioni, ma anche dell’economia, del diritto e della politica. A frenare gli entusiasmi di un mondo sempre più interconnesso, interviene il considerevole ritardo normativo: ci troviamo di fronte a fenomeni e situazioni che lasciano i giudici, la dottrina e lo stesso legislatore molto spesso incapaci di trovare una soluzione immediata ed adeguata, in assenza di precedenti giurisprudenziali o di principi e leggi ad hoc. A ciò si aggiunge il persistente digital divide e il rinvio del progetto per la banda ultra­larga di cui usufruisce solo una percentuale minima della popolazione. Se da un lato si hanno gli animi in fervore di chi vede Internet quale mezzo salvifico di conoscenza, sviluppo, uguaglianza e libertà, dall’altro troviamo le coscienze più timorose di chi guarda con spavento e perplessità ad un fenomeno così potente ed incontrollabile. Del resto, grazie alla libertà di accesso ed alla possibilità di agire in anonimato, la rete ha portato all’affermarsi del cyber­crime. Compito arduo di ogni ordinamento sarà quello di regolamentare l’utilizzo della rete tentando di bilanciare i vari interessi in gioco: garantire la libertà di accesso e di manifestazione del pensiero, limitandola nei soli casi in cui si prospettino violazioni ben più gravi di altri diritti umani. Si discute se l’accesso ad Internet sia un diritto umano fondamentale di ultima generazione.

Occorre evidenziare che nei trattati internazionali il diritto di accesso ad Internet non è espressamente enunciato dunque per il diritto internazionale non può essere considerato un diritto umano in senso stretto. Tuttavia la preoccupazione di un uso illecito di Internet non legittima restrizioni nel suo utilizzo. Negare l’accesso alla rete significherebbe infatti ledere diritti umani fondamentali, quali la libertà di espressione, il diritto all’informazione, all’istruzione, allo sviluppo e all’eguaglianza. L’accesso ad Internet può quindi essere qualificato come un diritto strumentale all’esercizio di altri diritti fondamentali e, pur non rientrando nella categoria dei diritti primari, va collocato tra i cosiddetti diritti di quarta generazione, in via di formulazione ed affermazione. Il nostro ordinamento ha predisposto due disegni di legge costituzionali n. 1317 e n. 1561. Il primo prevede l’introduzione in Costituzione di un art. 21­bis, strettamente connesso alla libertà di manifestazione del pensiero. La possibilità di esercitare la nostra libertà di espressione attraverso lo strumento del web, richiede come condizione necessaria l’accesso a Internet. Il secondo considera invece l’introduzione di un eventuale art. 34­bis. Tale articolo riconoscerebbe la connessione a Internet come diritto sociale, che “le istituzioni devono garantire tramite investimenti, politiche sociali ed educative, al pari di quanto già avviene con l’accesso all’istruzione, la sanità o la previdenza”. Inoltre si è da poco conclusa la consultazione pubblica sulla Carta dei diritti e doveri di Internet che dovrebbe enunciare alcuni principi fondamentali nel mondo telematico.

Il tema dei diritti Costituzionali di internet non era ancora emerso nelle nostre Corti fino a qualche mese fa: è attualmente in discussione presso la Corte Costituzionale italiana il tema della manifestazione del pensiero su internet come diritto civile in contrapposizione alla possibilità di determinare la rimozione di contenuti sulla rete da parte di un’Autorità Amministrativa. I diritti di internet entrano quindi nell’agenda del Legislatore e delle Corti. Vedremo se l’Italia riuscirà ad andare al passo con l’evoluzione tecnologica e a superare l’evidente ritardo normativo.

 

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