I pericoli della pace

I pericoli della pace

Il 24 febbraio 2022 le truppe russe hanno varcato il confine ucraino e dopo 70 anni la guerra è tornata in Europa. In pochi pensavano che ci sarebbe stata un’invasione di questo tipo; persino gli ucraini consideravano questa ipotesi remota e giudicavano più plausibile una guerra ibrida. Invece, la storia è tornata prepotentemente ad abbattersi sul vecchio continente con una guerra di stampo novecentesco: un’invasione su larga scala compiuta attraverso l’impiego di enormi risorse in termini di soldati, mezzi terrestri e aereonavali. In molti, all’inizio delle ostilità, per via dell’enorme sproporzione tra le forze ucraine e l’esercito russo, consideravano la sconfitta ucraina ineluttabile e nessuno dava ai difensori ampie possibilità di resistenza a parte forse gli ucraini stessi. A discapito di ogni valutazione l’esercito ucraino non solo ha fermato gli invasori, ma ha contrattaccato riuscendo a riconquistare oltre 1000 km2 di territorio e ad avanzare in profondità non solo nel Donbas, ma anche dove era più difficile, ovvero nel sud nell’oblast di Kherson, non lontano dalla Crimea. Il risultato eccezionale riportato dagli ucraini è dovuto a tanti fattori: uno di questi è la fornitura di armi e mezzi militari da parte dei paesi occidentali; se nella prima parte della guerra i Paesi NATO avevano fornito equipaggiamenti “leggeri” come fucili d’assalto, armi controcarro e droni, nella seconda parte è stato chiaro fin da subito che Kyiv aveva bisogno delle nostre armi più sofisticate come semoventi, missili, carri armati e tutti gli altri armamenti terrestri o aerei necessari alla controffensiva ucraina. Per quanto queste armi siano state cruciali per la causa ucraina, molte frange della nostra politica si sono opposte. Questo fronte, piuttosto eterogeno, abbraccia forze di destra e di sinistra, le quali seppur contrapposte sulla maggior parte delle tematiche, in nome di un vuoto e ipocrita pacifismo si ritrovano insieme nel contestare il supporto militare all’Ucraina e a chiedere una pace ad ogni costo, e non importa se questa pace comporterà la fine dell’indipendenza ucraina. Buona parte dei politici che spingono per cessare le forniture militari sono stati tra i principali partner di Mosca in occidente. Il loro pacifismo disinteressato non è politicamente credibile. Se guardiamo, infatti alla recente storia politica di questi leader possiamo osservare come buona parte di essi quando ha ricoperto posizioni di governo ha stretto relazioni politiche ed economiche discutibili. La nostra dipendenza dal gas russo nasce da decisioni prese dai governi di Silvio Berlusconi. Anziché diversificare le nostre fonti di approvvigionamento energetico i governi di Berlusconi hanno raddoppiato le quantità di gas provenienti dalla Russia. Recentemente ha destato scandalo una registrazione in cui sosteneva che il governo di Vladimir Putin era stato obbligato ad entrare in guerra dalle repubbliche separatiste del Donbass e che l’obiettivo del leader russo fosse quello di instaurare “un governo di brave persone” alla guida dell’Ucraina. È bene ricordare l’ambigua missione militare russa durante la pandemia di Covid-19 voluta dal governo di Giuseppe Conte, il quale negli ultimi mesi ha cambiato molte volte idea circa l’invio delle forniture militari. Anche Matteo Salvini ex ministro degli interni ha più volte dichiarato la sua contrarietà all’invio delle armi. I rapporti di Salvini con Mosca sono ben noti, è stato membro del Conte I, il governo più filorusso della storia repubblicana e il suo partito ha da sempre intessuto relazioni con Russia Unita, partito politico di Vladimir Putin, e ha avuto relazioni non sempre limpide con esponenti del mondo politico ed economico russo. Agli esponenti di governo si accosta anche una galassia di partiti minori, movimenti e associazioni spesso collegate al mondo della sinistra radicale. La loro contrarietà all’invio delle armi in questo caso nasce da un approccio ideologico e da una ricerca di un pacifismo infantile oltre che pericoloso per la sicurezza non solo dell’Ucraina ma anche dell’Unione Europea. L’illusione che anima queste istanze è quella che la guerra degli ucraini non sia la nostra; che in fondo non ci riguardi. La realtà è che senza gli armamenti occidentali le forze di Kyiv non sarebbero riuscite a riconquistare ampie fette del loro territorio ed è probabile che dopo una strenua resistenza i russi avrebbero prevalso. La speranza che Putin si fermi dopo aver conquistato l’Ucraina o il Donbass è falsa, se osserviamo la storia recente dell’Europa orientale possiamo notare due aspetti che dovrebbero farci capire quanto sia pericoloso perseguire una pace a tutti i costi. Il primo aspetto è che già in passato abbiamo ricercato accomodamenti con Putin per scongiurare un conflitto aperto in Ucraina o inimicarci i nostri fornitori energetici. La Crimea è un esempio convincente di questa politica. In seguito all’invasione abbiamo risposto con sanzioni e blande condanne all’aggressione russa e abbiamo tollerato gli aiuti clandestini (e ampiamente dimostrati) che la Russia ha fornito alle repubbliche separatiste durante la guerra del Donbass inviando loro armamenti e militari che combattevano senza mostrine ed insegne. Questo è accaduto otto anni fa e aver assunto una posizione accomodante non ha placcato le ambizioni di Putin, bensì ha portato ad un’invasione su larga scala del Paese. Il secondo aspetto troppo spesso sottovalutato è che le ambizioni di Mosca non si fermano all’Ucraina. Sono tanti i Paesi a ovest dell’Ucraina con comunità russofone e territori verso cui Mosca ha chiare ambizioni come i paesi baltici oppure come la Moldavia dove una milizia filorussa che fa capo ad una compagnia privata chiamata Sheriff di proprietà due ex-agenti del KGB, controlla la regione della Transistria e ha autoproclamato una repubblica del popolo che ha chiesto ufficialmente l’annessione alla Federazione russa. Appare pericoloso e sciocco credere che Putin si fermerà e che dopo aver sconfitto la resistenza ucraina e instaurato un governo fantoccio a Kyiv non prosegua con l’espansionismo militare per annettere quei territori e quelle comunità che storicamente i leader russi ritengono parte della propria nazione.  Una parte molto ampia di chi contesta le forniture agli Ucraini dichiara di rivedersi negli ideali che animarono la Resistenza italiana. Su quegli stessi ideali si basa la nostra Costituzione, e quegli ideali si sono affermati attraverso una guerra combattuta contro il totalitarismo nazi-fascista grazie anche ad armi fornite da paesi stranieri. Chi si rivede negli ideali della Resistenza, della democrazia e della libertà non può nascondere la testa dentro la sabbia e accettare una pace che legittima il sopruso e la violenza a scapito della libertà e dell’autodeterminazione di un intero popolo.

A cura di Francesco Guiso

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