In occasione della conferenza pubblica svoltasi nella serata del 13 Aprile sul tema del referendum di oggi, ho avuto modo di rivolgere domande a più ampio spettro (nel contesto di quella che avrebbe dovuto essere una intervista sui generis) all’ ospite della serata, ingegnere nel settore elettrotecnico, docente ed esperto in materia di tecnologie per la fusione nucleare . Ha collaborato con commissioni parlamentari competenti nel settore. Riveste attualmente, tra l’altro, l’incarico di Presidente presso una importante società di Stato responsabile del decommissioning degli impianti nucleari italiani e della gestione dei rifiuti radioattivi. Ed è proprio l’attività che svolge tale società, nonché la “vita dei rifiuti radioattivi” (nella mia regione, la Basilicata, e non solo) ed ancora il rapporto tra nucleare e cittadino, tra società e trivelle, anche sotto l’ombrello del referendum, politica energetica e i suoi riflessi ambientali e tanto, tanto altro che hanno dato vita ai quesiti formanti oggetto di un interessante, non nego, quanto acceso dibattito. Si è parlato di referendum anzitutto; non è irrilevante porre l’attenzione su quello svoltosi nel giugno 2011, in cui, tra i 4 quesiti, al terzo precisamente, gli italiani (con un’affluenza registrata al 54,8%) decisero per l’abrogazione delle “nuove norme che consentivano la produzione nel territorio nazionale di energia elettrica nucleare “.
Tuttavia i rifiuti radioattivi continuano ad essere prodotti da altri settori (es industriale, per quanto riguarda le macchine per radiografare le saldature, o ancora ricerca scientifica, terapia e diagnostica medica). Per di più In Italia sono presenti 8 impianti nucleari oggi in fase di smantellamento (di cui uno, l’ ITREC proprio a Rotondella (MT). La mia prima domanda era proprio legata alla fine che fanno questi rifiuti presenti al loro interno e quelli prodotti via via dal progressivo smantellamento, e soprattutto quanto a lungo restano radioattivi.
Chi mi conosce ha ben presente il legame che nutro nei confronti della mia terra e la veemenza che mi conduce a farmi assertore convinto delle tematiche ambientali e, di riflesso, ad assecondare un accanito spirito guerriero avverso quando reputo possa ostare ad un adeguato tenore di vita, secondo gli standard minimi di decenza richiesti da ogni essere umano, in quanto tale.
Travolto dal fluire inesorabile del suo discorso ho lasciato che parlasse per diversi minuti sul referendum. A suo dire, superfluo, vuoi per la complessità di tematiche non gestibili tramite voto popolare, vuoi per l’insignificante valenza che per la richiesta energetica del nostro paese rivestirebbe ad ogni modo quel petrolio estratto dalle trivelle entro le 12 miglia e fino ad esaurimento dei giacimenti. Si era reso evidente che il discorso avrebbe assunto un’altra piega e così è stato quando un mio collega ha posto l’accento sulla questione della centrale a carbone a Cerano ed in particolare su uno studio epidemiologico secondo cui tale centrale causi almeno 44 decessi l’anno. La sua risposta è stata che nella scorsa estate Enel ha montato una copertura sul nastro trasportatore del carbone (e per quanti già, nel frattempo ammalandosi, hanno perso la vita? Provocatoriamente il mio collega ha chiesto se a questo punto i salentini dovessero mettersi l’anima in pace e vivere lo status quo, a fronte dell’impossibilità di realizzare un progetto di conversione a gas se non lasciando in piedi il solo recinto).
Avendo lui citato gli studi dell’Isituto superiore della Sanità, ho deciso di incalzare e tornare sul quesito riguardante i dati raccolti negli ultimi trent’anni nel comune di Rotondella (ma riguardanti anche Bosco Marengo, Caorso, Latina ed altri), ed inseriti nel primo rapporto italiano sullo stato di salute dei residenti in comuni sede di impianti nucleari (risalente al gennaio 2015). Lui stesso, interessatosi dello studio in passato, mi ha spiegato che dall’incontro col Presidente dell’Istituto Walter Ricciardi è emerso che non vi fosse alcuna correlazione rilevante/ significativa tra anomalie nella mortalità delle popolazione intorno alle 8 centrali nucleari italiane, secondo i livelli attuali di emissioni. A questo punto mi chiedeva conto dell’executive summary, che ovviamente non possedevo nel suo testo integrale ancora tra le mani. Questa sera sono andato a leggere il rapporto finale, rinvenendo le seguenti frasi:
In generale, “occorre notare che nell’analisi sull’insieme dei Comuni è stato osservato un eccesso di mortalità (rispetto alla popolazione di riferimento) per alcune delle patologie tumorali (tra cui i tumori della tiroide) che, da parte degli organismi internazionali preposti, sono state riconosciute avere tra i loro fattori di rischio anche l’esposizione a radiazioni ionizzanti.”
In particolare , “nel Comune di Rotondella ( ad 8 km dal centro di ricerche dell’ ENEA – Trisaia, impianto in cui sono ancora stoccati 64 elementi di combustibile irraggiato del ciclo uranio-torio) la mortalità per le malattie dell’apparato digerente è risultata in eccesso, rispetto alla mortalità media della popolazione regionale” (..) e soprattutto , “Tra le patologie con evidenza sufficiente di associazione con l’esposizione a radiazioni ionizzanti, è risultato un eccesso di mortalità per il tumore della tiroide” ( p. 102 Rapporto Finale ) .
Per quanto non si sia parlato affatto dell’interfaccia del referendum, e ossia la salute, mi preme ancora una volta riportare alla luce dei dati , che secondo me non poco dovrebbero far riflettere: rimarcando la mia sottaciuta sebbene eloquente contrarietà non solo al prolungamento dell’estrazione entro le 12 miglia in mare per tutta la vita del giacimento (quesito oggetto del referendum), ma anche alle estrazioni petrolifere oltre le 12 miglia e nel sottosuolo, Nei sedimenti prossimi alle piattaforme si ritrovano metalli pesanti (cromo, nichel, piombo e talvolta anche mercurio, cadmio e arsenico) ed idrocarburi policiclici aromatici (Ipa). Alcune tra queste sostanze sono cancerogene e in grado di risalire la catena alimentare attraverso la bio-magnificazione, raggiungendo così l’uomo in concentrazioni elevate e tali da causare seri danni all’organismo. I primi a soffrirne sono gli stessi lavoratori addetti (uno studio riguardante una coorte di quarantun mila lavoratori norvegesi impiegati sulle piattaforme petrolifere ha rilevato una maggiore incidenza di tutti i tumori (+17%) ma anche per i residenti entro mezzo miglio e oltre mezzo miglio da pozzi per estrazioni a terra di gas naturale è stato documentato un incremento di rischio per esposizione soprattutto al trimetilbenzene, allo xilene, agli idrocarburi alifatici e al benzene. Ed anche per quanto riguarda le trivellazioni di profondità (oltre i 2 km) per ricerca di risorse geotermiche è interessante leggere cosa scrive la stessa Eni: “L’energia geotermica viene di solito considerata un’energia pulita“. Tuttavia, purtroppo, le cose in natura non sono così semplici e “pulite”. Le acque che circolano nel sottosuolo raramente sono acque dolci: nella maggior parte dei casi si tratta di soluzioni saline altamente concentrate, spesso contenenti sostanze fortemente inquinanti e tossiche. Il vapore acqueo è in genere associato ad altri gas, come H2S e CO2, mentre nelle acque sono spesso presenti metalli pesanti o arsenico. Queste acque sono fortemente aggressive e corrodono rapidamente le tubature e le attrezzature con cui vengono a contatto, per cui si rende necessario l’utilizzo di materiali speciali. Acque con queste caratteristiche, ovviamente, non possono nemmeno venire a diretto contatto con suoli e prodotti agricoli, animali o cibi e il loro uso deve necessariamente essere interdetto”. E tutto questo succede beninteso quando le estrazioni avvengono in modo “regolare”! (ammettendo pur che non si verifichino vari “Tempa Rossa” e dunque episodi come quello riportato alla luce dalle indagini condotte dalla procura di Potenza : qualcosa come 854mila tonnellate di liquidi inquinanti reiniettati in un solo anno, con la complicità delle ditte incaricate dello smaltimento (grazie all’alterazione dei codici rifiuto).
Mi chiedo allora: è il caso di continuare ad esporre la salute della gente, in maniera completamente incauta per non dire criminosa, ponendo a margine per un attimo siffatte diatribe da poltrona, agli ovvi rischi conseguenti ad un tale scempio ambientale? Non sarebbe il caso che l’Italia, anziché continuare sulla strada gradita alle Lobby dimenticando i costi sanitari ed ambientali che tutto ciò comporta, imboccasse una via coerente con impegni di COP21, e rifugga dalle combustioni?
Al di là delle cadenze assunte dalla conferenza in sé, il dato che probabilmente mi ha più incuriosito è la marginalità che, in seno ad una conferenza incentrata sui temi della politica energetica e delle tecnologie, ha assunto il fattore umano. L’ eccessivo estroflettersi della discussione su temi troppo poco legati, in fin dei conti, all’ individuo e ai suoi diritti (cui conduce ad interessarmi la mia cultura prettamente giuridica), con conseguente superficiale relegamento ad un ‘angusto limbo’ indecente di tematiche che, come la salute e l’ambiente, meriterebbero ben più riguardo e attenzione. E invece sono passati in secondo piano uomini in carne ed ossa che condividono la propria quotidianità a stretto contatto con realtà macroscopicamente compromesse da uno scempio ambientale che si veste e traveste di infinite forme ma che sostanzialmente sottace un interesse unico: il lucro. Lo stesso interesse di lucro che soddisfa quei comuni appetiti di imprenditori, di piccola o grossa taglia che siano, e che trova, un non ultimo camuffamento nel gran gioco delle trivellazioni off shore, argomento molto spesso politicizzato, quanto altrettanto tristemente poco nitido.
Prendo atto e rispetto l’eterogeneità di opinioni riguardo al tema trattato. Preciso, dunque, che quanto esposto mira esclusivamente ad esternare quella che rappresenta la mia opinione personale.
A cura di Gianpiero Gaudiosi