Ad un giornalista che gli chiese quali fossero i suoi rapporti con l’esistenzialismo, Camus rispose dicendo: “Io non sono un filosofo, non credo abbastanza alla ragione per credere a un sistema razionale, quello che mi interessa sapere è come bisogna comportarsi quando non si crede in Dio o nella ragione”. Una risposta forte e chiara che però può dare adito a molti fraintendimenti soprattutto nella prima parte. Camus non è un filosofo nel caso in cui per filosofia si intende un pensiero sistematico, una dottrina compiuta. La filosofia di Camus è diversa, è un pensiero che rompa con la tradizione, non collocabile all’interno dell’evolversi della scienza che studia il pensiero umano. In Camus non troviamo una dottrina comune, una cattedrale di idee, ma una ragione complessa che non ordina il mondo ma che serve ad interrogarsi su di esso, a cercarne di decriptare le connotazioni comprensibili, non per forza razionali.
L’oggetto della sua filosofia è l’esistenza, indipendente rispetto alla sua causa motrice e alla sua finalità. “O Anima mia, non aspirare alla vita immortale, ma esaurisci il campo del possibile”.
Con questa citazione della III Pitica di Pindaro si apre il suo primo scritto filosofico: “Il mito di Sisifo”. Appare dunque subito evidente il campo di indagine della filosofia secondo Camus, un orizzonte dell’esistenza tangibile, svincolato da richiami metafisici o religiosi. Come già accennato da Nietzsche, la metafisica e la religione si svincolano dalla filosofia, sintetizzando una declassamento degli ambiti nei quali la stessa filosofia può operare.
Non sono importanti le cause che danno origine alla nostra esistenza o ciò in cui questa esistenza, una volta che cessa di essere, confluisca ma soltanto il momento tangibile, reale, sperimentabile.
Ma se la realtà non ha senso o, se anche lo avesse non potremmo sicuramente immaginarlo razionalmente parlando, la vita non sarebbe soltanto una parentesi d’assurdo? Uno schiocco di dita? Una foglia trasportata dal vento?
E che senso avrebbe in tal caso viverla?
La vita è assurda , si, questo ci dice Camus. L’assurdità della vita è però un punto di partenza, una trama da sfibrare. Il Sisifo del mito è costretto a sollevare un masso in cima ad una montagna per poi cominciare daccapo ogni giorno. Tale azione è la metafora della vita dell’essere umano. Sisifo è felice finché crede che la sua azione sia utile, ma nel momento in cui egli comprende che tale certezza viene a mancare, nel momento in cui Sisifo comprende il suo dramma come fa egli a non cedere alla disperazione? Questo è l’interrogativo che Camus tenterà di risolvere e che rappresenta la chiave della sua filosofia.
Sisifo, così come tutti gli uomini, nel momento in cui prende coscienza della sua condizione, attraversa due momenti importanti: Il considerarsi abbandonato alla e dalla vita (tema che lo stesso Camus svilupperà nel “Lo straniero”) e che tale è la condizione di tutti gli uomini (tema affrontato ne “L’uomo in rivolta”). La solitudine dell’uomo, che reca in sé una disperazione lapalissiana, comporta la solidarietà tra tutti gli uomini, che al tempo stesso vivono il dramma sia singolarmente che collettivamente. Sisifo raggiunge la sua felicità nel momento in cui accetta che la vita non ha un senso. Per Camus ciò non significa mai disperazione, ma libertà, rivolta senza una scopo. Nella sua unica tragedia, “Caligula”, Camus paragonerà l’esistenza dell’uomo a quella dell’Imperatore che sa già di morire vittima di una congiura. L’uomo conscio del proprio destino è un uomo libero, poiché nessun altra influenza, idee o dramma potrà mai compararsi al dramma esistenziale che è in corso di vivere. Sisifo è felice perché attraverso la sua condanna diventa cosciente dei propri limiti e assume su di esso il proprio destino che lo porterà ad una fine già prefissata ma dopo un percorso da egli stesso intrapreso. L’uomo ricerca delle verità e una volta scoperte ne rimane influenzato. La mente comprende l’assurdità dell’esistenza e nella mancanza di senso di quest’ultima ne trova l’unico senso possibile. Leggendo Camus si assiste ad un’esplosività di irrazionalità, alla generazione dell’assurdo, all’amara conclusione che ci costringe a ricercare un senso alla realtà impossibile.
Ma se questa è la vera condizione dell’uomo è forse possibile immaginare una soluzione diversa da quella di Camus?
“Anche la lotta verso la cima basta a riempire il cuore di un uomo. Bisogna immaginare Sisifo felice”.
Una visione che genera, a partire dal pessimismo totale, un barlume di ottimismo, insito tuttavia in un dramma esistenziale difficile da comprendere e accettare.
Se Sisifo c’è riuscito, non è detto che tutti gli uomini arrivino alla stessa conclusione. La consapevolezza di tale dramma, che la visione di Sisifo difficilmente può sposarsi alla visione dell’umanità intera, ricongiunge la filosofia alla metafisica e ridà valore alla religione e alla teologia. Religione e metafisica che costituiscono l’unico espediente salvifico alla nostra vita. Ma esse non rappresentano una soluzione filosofica ad un dubbio filosofico, ma una risposta spirituale ad un interrogativo umano.
A cura di Matteo Mariani