Il nuovo film di Woody Allen come metafora del suo declino?

Il nuovo film di Woody Allen come metafora del suo declino?

E’ arrivato quel momento dell’anno: quello in cui tutti noi cinefili ignoriamo apertamente ciò che il nostro intuito, la nostra memoria ed il nostro buon senso ci direbbero e andiamo a vedere il nuovo film di Woody Allen.

Ma Woody è cambiato. Woody è invecchiato. E il suo genio ne ha inesorabilmente risentito.

E la sua creatività, come avrebbe detto Lucrezio, ormai va “per intervalla insanie” ossia “in momenti di lucidità”.

La misantropia, la crudeltà e la precarietà del genere umano distintive della sua opera sono rimaste inalterate, ma bisogna andare a cercarle al di fuori dell’atteso. Ad esempio in Irrational Man(2015) o Match Point (2005), nascoste tra le pieghe del dramma. 

In entrambi i film sopra citati, la tematica dell’adulterio viene sviscerata fino a passare quasi in secondo piano e lasciare spazio al nero del nero dei sentimenti umani, a personaggi che giocano col macabro, avvolti in scene luminosissime e fotografia lussureggiante.

Ma è ormai assodato che le commedie filosofiche non sia più capace di farle: basti pensare alla banalità di To Rome with love, all’inconcludenza di Blue Jasmine (cosa sarebbe stato senza Cate Blanchett?) e ai dialoghi insipidi di Cafè Society(2016).

Tornando al presente, si potrebbe dire che La ruota delle meraviglie, il suo nuovo film, sia collocabile a metà strada.

In breve, il film è ambientato nella meravigliosa Coney Island degli anni ’50 ed è incentrato su Ginny (Kate Winslet), una cameriera annoiata il cui suo sogno era quello di diventare un’attrice professionista, sogno che è stato travolto ed inevitabilmente sepolto da una routine frustrante, un lavoro che odia, un figlio piromane e un secondo marito (Jim Belushi) che ha (come lei) problemi a gestire rabbia e alcool.

Ma Ginny ha un segreto: una relazione adulterina con il bagnino/aspirante drammaturgo Mickey (Justin Timberlake). Diverse complicazioni giungono nel momento in cui ritorna a casa Carolina (Juno Temple), la figlia di primo letto di suo marito (scappata da un matrimonio con un gangster) che fa innamorare Mickey.

Mettendo da parte il monologo introduttivo un po’ ridicolo di Justin Timberlake (che continua ad essere ridicolo per tutta la durata del film, ma, poveretto, non solo per colpa sua date le battute che gli sono state ad assegnate come ‘Vorrei scrivere drammi sulla vita umana’ o ‘Ti ho amata dal primo istante in cui ti ho vista’) si viene avvolti dalla purezza dei sentimenti tirati fuori da Kate Winslet, rabbia e gelosia shakespeariani che la rendono senz’altro protagonista di ogni scena e che non fanno abbassare lo sguardo dallo schermo, neanche ( e anzi, soprattutto) quando la sua relazione extra-coniugale, la sua ansia, la sua insoddisfazione personale e la sua gelosia esplodono a tal punto da diventare quasi comici.

Altro gioiello di questo film è Vittorio Storaro (direttore della fotografia) che, quasi ignaro delle diverse mancanze del film, l’ha permeato di un’estetica così incantevole da farla sembrare quasi uno spreco. Ogni scena è composta con attenzione ed illumina perfettamente gli attori in condizioni che spaziano dalle luci al neon a quella mattutina della spiaggia.

Insomma, amici cinefili, un consiglio sentito: quando andate a vedere un film di Allen cercate di togliervi dalla testa Io e Annie, così da poter cogliere i piccoli gioielli e spunti che i suoi film hanno ancora da offrire…così come il personaggio di Kate Winslet, Allen è ancorato al passato e La ruota delle meraviglie è un costante promemoria del suo presente.

 

A cura di Giordana Campobasso

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