Il peccato originale della sinistra italiana

Il peccato originale della sinistra italiana

La frammentazione del quadro partitico, in Italia, è più accentuata a sinistra che a destra; alle ultime elezioni politiche i partiti di centro destra più rilevanti si sono accorpati, dando vita ad un’unica coalizione, unitaria, e tenuta insieme da tematiche programmatiche comuni, come la flat tax. In caso di vittoria, l’alleanza avrebbe indicato come premier il leader del partito con il maggior numero di voti. La coalizione di centro destra, composta da Forza Italia, Fratelli d’Italia e Lega, vinse le elezioni, ma non incassò i voti sufficienti, che, una volta tradotti in seggi parlamentari, le avrebbero consentito di sostenere un governo pienamente autonomo. Con la nascita del primo esecutivo della legislatura, presieduto da Giuseppe Conte, l’asse FI-FDI-Lega si spezza. L’offerta del M5S di stipulare un contratto di governo, rivolta sia al Partito Democratico che alla Lega, tenta il segretario, Matteo Salvini, ma compromette la compattezza della coalizione, dato che il M5S ha posto il veto su Silvio Berlusconi e Forza Italia. Alla fine, Di Maio paga il prezzo politico più alto e rinuncia alla premiership: in cambio la Lega spezza l’asse di centrodestra e dà vita, con il M5S, all’esecutivo gialloverde. Ma la coalizione di centro destra continuerà a presentarsi unita a tutte le elezioni comunali e regionali che verranno. Inoltre, ad agosto 2019, quando Salvini capisce che, qualora si votasse, la Lega diventerebbe il primo partito italiano in termini di voti e l’alleanza di centro destra disporrebbe di sufficiente forza per sostenere un governo autonomo, da lui presieduto, non esita a minacciare la sfiducia all’esecutivo dell’epoca, e ad invocare lo scioglimento delle Camere (per poi esibirsi in una goffa giravolta, quando sfuma l’eventualità di un ritorno alle urne in tempi recenti e il segretario della Lega percepisce il rischio di tornare all’opposizione, tant’è che arriverà ad offrire a Di Maio la premiership, pur di ricucire lo strappo).

Al contrario, la galassia del centro sinistra italiano è popolata da soggetti politici che si danno quotidianamente battaglia, ed ogni progetto unitario si è disgregato e dissolto a causa di violente diatribe interne. Nel 2018, alle elezioni si presenta una lista unitaria, Liberi e Uguali, che ricomprende diversi partiti politici di sinistra: Articolo 1, Possibile, e Sinistra Italiana. I primi due nascono a seguito di una scissione interna al Partito Democratico, promossa da fazioni contrarie alla svolta a destra imposta al PD da Matteo Renzi, asceso alla segreteria nel 2013, mentre Sinistra Italiana discende da SEL, la creatura politica di Nichi Vendola. Liberi e Uguali si pone come alternativa al Partito Democratico, ma non ne scalfisce l’egemonia elettorale, ed ottiene soltanto il 3,5% dei voti. Con la nascita del primo governo populista d’Europa, il PD e LEU sono ufficialmente fuori dai giochi: l’esecutivo gialloverde vara misure di dubbia utilità, e talvolta, persino di dubbia costituzionalità (mi riferisco ai decreti sicurezza), eppure, l’inerzia dell’opposizione di sinistra è tale che la Lega continua a crescere in tutti i sondaggi, e alle elezioni europee del 2019, diventa il primo partito italiano. Soltanto grazie all’inspiegabile harakiri di Salvini si palesa l’opportunità, per il centro sinistra, di tornare a contare qualcosa. Nasce il governo giallorosa, cantiere politico di un’alleanza strutturale di centro sinistra fra M5S, PD e LEU, sotto la guida di Giuseppe Conte; non sappiamo se, con la segreteria di Letta, la coalizione manterrà la propria compattezza; almeno per il momento, l’unità dell’alleanza non è stata compromessa nemmeno dal terremoto politico scatenato da Matteo Renzi, che ha portato al crollo del governo di Giuseppe Conte e alla nascita del terzo esecutivo della legislatura, presieduto da Mario Draghi.


Propongo un’analisi dell’attuale configurazione politica della sinistra italiana che si snoda lungo due percorsi analitici. Da essa sono escluse formazioni partitiche elettoralmente irrilevanti, come Potere al Popolo e Partito Socialista Italiano (perlomeno attualmente), e forze politiche trasversali, disancorate dal tradizionale asse destra-sinistra, come il M5S, per il quale resta complicato identificare, sulla base delle posizioni che ha assunto e tuttora assume, una vera e propria collocazione.
Il primo percorso analitico riguarda l’adesione ad una specifica dottrina economica: possiamo tracciare un continuum lungo il quale collocare i vari partiti. All’estrema destra del continuum si colloca Italia Viva. Il partito di Matteo Renzi coltiva concezioni politico-economiche assimilabili e comparabili a quelle assunte dal centro destra più moderato e liberale. Anche Più Europa aderisce agli stessi principi neoliberisti: sostiene la deregolamentazione, nell’ambito della creazione di un mercato unico europeo, e propone la privatizzazione di specifici settori del sistema economico nazionale.
Il Partito Democratico si colloca al centro, assieme ad Azione di Carlo Calenda: in realtà, per queste due formazioni politiche andrebbero fatti discorsi pienamente distinti. Se il primo, de iure, formula giudizi negativi sul neoliberismo e si pone più a sinistra, ma de facto, non ha mai posto alternative credibili al sistema capitalistico mercato centrico, il secondo è atteso alla prova dei fatti. Calenda ha già occupato posizioni apicali in svariate compagini ministeriali, ma da quando ha fondato la propria creatura politica, sembra aver rinnegato del tutto la dottrina politico economica che ha inspirato, in passato, la sua azione di governo. Più a sinistra si attesta Liberi ed Uguali, che ricomprende partiti come Possibile o Sinistra Italiana, formazioni che da sempre sponsorizzano misure volte ad accentuare la progressività fiscale (o suggeriscono l’impiego della patrimoniale) del nostro sistema tributario. All’altro estremo, un partito scomparso da anni dai radar giornalistici e televisivi, a causa della propria irrilevanza elettorale: il Partito Comunista di Rizzo, a favore di una vera e propria rivoluzione economica, che abbia come sbocco politico la creazione di un’economia pianificata e di stampo collettivista.


Il secondo percorso analitico si snoda lungo l’asse conservatorismo-progressismo: in pratica, in base all’adozione di principi squisitamente politici e sociali, ogni partito trova una propria collocazione. Il Partito Democratico occupa il centro anche in questo caso: qualche guizzo a sinistra, con l’approvazione della legge sulle unioni civili e la sponsorizzazione del DDL Zan, e silenzi imbarazzanti, dal sapore conservatore, su questioni fondamentali per l’elettorato progressista; basti pensare alla legalizzazione delle droghe leggere, o all’eutanasia. Nell’ambito di questo secondo continuum, Italia Viva condivide ed assume le stesse posizioni del Partito Democratico. Azione si posiziona leggermente più a sinistra, mentre Liberi ed Uguali e Più Europa si pongono all’estrema sinistra dell’asse, sostenendo tutte le tematiche sopracitate, sulle quali, come si è detto, il Partito Democratico mantiene il proprio riserbo. All’estrema destra dell’asse si colloca il Partito Comunista, il più rivoluzionario in termini economico politici e il più conservatore in ambito sociale e civile.


L’eterogeneità di quest’area culturale impedisce ad un’eventuale coalizione politica, nata per contrapporsi alla destra, di ricomprendere e tenere insieme le varie anime della sinistra italiana. L’assenza di una e vera e propria convergenza tematica, e di una visione concretamente comune, ha costituito il peccato originale di esperimenti politici come l’Ulivo, dove profonde fratture interpartitiche hanno condannato la coalizione di centro sinistra: per anni, l’unico collante che ha tenuto insieme così tanti soggetti politici è stato l’antiberlusconismo prima, ed è l’antisalvinismo oggi (l’ultimo governo di “centrosinistra,” nato grazie all’intermediazione di Renzi e alle capovolte trasformiste di quest’ultimo e del M5S, si è formato, come è stato detto in maniera del tutto naturale ed esplicita, per impedire alla destra di governare). Se guardiamo agli esperimenti politici più recenti, l’Ulivo e l’alleanza giallorosa, non possiamo fare a meno di rilevare che le modalità di costruzione e strutturazione di un progetto comune sono sempre dipese dal centro destra, più che dal centro sinistra: l’identificazione di un nemico comune ha permesso alla sinistra di unirsi e di ricomporsi attorno a progetti coalizionali, ma la mancanza di una visione d’insieme, e il protagonismo velenoso dei singoli leader, hanno condannato queste creature politiche ad una morte prematura, spianando la strada a Silvio Berlusconi prima, e a Matteo Salvini dopo. Alla destra.

A cura di Michelangelo Mecchia

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