Poco più di 9000 km separano l’Italia dalla Colombia, eppure la sua situazione politica ci sembra lontano anni luce, situazione che ancora ha difficoltà nel trovare un riscontro nella parola “politica”.
Uno degli ultimi eventi ruota intorno alla FARC, organizzazione guerrigliera comunista della Colombia di ispirazione marxista-leninista e bolivariana, fondata nel 1964. Poche sono le notizie certe riguardo a tale organizzazione, una di queste è che dall’anno della sua fondazione iniziò un lungo e sanguinoso periodo di guerriglia. Per comprendere fino in fondo lo sviluppo della FARC bisogna rivolgere lo sguardo alla situazione socio-eonomica di quegli tempi: agli inizi degli anni Sessanta, in Colombia, i contadini delle regioni di Tolima e Huila sperimentarono le prime esperienze di autorganizzazione agraria. Il governo colombiano, da sempre grande sostenitore degli interessi delle compagnie nordamericane, non poteva in alcun modo tollerare questa situazione che, se estesa ulteriormente, avrebbe danneggiato gli interessi statunitensi.
Il 27 maggio 1964 l’esercito colombiano, sostenuto dalla CIA, diede l’avvio ad una vasta offensiva contro una di queste autorganizzazioni, nel comune di Marquetalia: 48 contadini, guidati da Manuel Marulanda Velez, si trovarono circondati, riuscendo a sfuggire al resto dell’esercito.
Da quel giorno i contadini colombiani si resero conto che l’unica soluzione possibile fosse la lotta armata, decidendo così di fondare le FARC-EP (Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia-Esercito di Popolo). Dopo venti cruenti anni di lotta, un primo tentativo di negoziato con il governo si ebbe il 28 Marzo 1984, promosso dal Presidente Betancurt, tramite gli Accordi della Uribe.
Gli anni Novanta portarono, tuttavia, un peggioramento delle condizioni di vita che nelle zone rurali del Paese provocarono una grande crescita delle FARC ma soprattutto un rafforzamento militare che convinse nel 1998 il presidente Andrés Pastrana ad aprire dei colloqui di pace.
Il 25 agosto 2016 la vera svolta, quando il presidente colombiano Juan Manuel Santos aveva ordinato all’esercito di dar corso al cessate-il-fuoco firmato con i ribelli delle Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia (FARC). Oltretutto, il testo dell’accordo prevedeva che i 7.000 ex ribelli delle FARC potessero essere rappresentati al Congresso (10 seggi), seppur privi del diritto di voto fino al 2018 ed, in seguito, che dovessero conquistarsi i voti degli elettori come qualunque altro partito politico, avere una rete televisiva a propria disposizione e 31 stazioni radio in FM.
Oltre a questo è stato istituito un tribunale speciale che giudicherà i reati commessi durante la guerra civile, che grazierà con l’amnistia quelli più lievi, mentre condannerà regolarmente i più gravi come massacro, tortura, stupro.
Le negoziazioni per arrivare a tale tipologia di intesa erano partite già a Novembre 2012, quando il Governo colombiano e il gruppo rivoluzionario avevano siglato un accordo per il cessate-il-fuoco durante una cerimonia ufficiale all’Avana, il 23 giugno, impegnandosi a ultimare il processo di deposizione delle armi entro 180 giorni. Quest’ultimo non sarà mai ultimato fino ad agosto 2016. Nel Patio de Banderas del Centro dei Congressi di Cartagena, alla presenza del presidente Santos, del leader delle FARC Rodrigo Londoño Echeverri – noto come Timoleón Jiménez -, del segretario generale dell’Onu Ban Ki-Moon, di Raúl Castro e di altre 2000 persone – tra cui 400 vittime, 120 membri della FARC, 1200 giornalisti, uomini di Stato e gente comune -, si è portato a compimento un cessate-il-fuoco.
L’accordo, sottoposto a referendum il 2 ottobre di quest’anno, oltre che l’astensionismo ha visto prevalere il NO per quanto concerne la proposta di pace tra il governo colombiano e le FARC. Ma a cosa ha detto no esattamente la Colombia? Non certo alla pace ma piuttosto al riconoscimento di alcuni benefici destinati alle FARC. Non dimentichiamoci che si tratta di un movimento che, se negli anni Sessanta era nato con motivazioni ideologiche, nel corso tempo si è autofinanziato con il narcotraffico e con il riscatto dei rapimenti.
Tuttavia, il dato più allettante è quello dell’astensionismo che ha visto circa il 60% della popolazione non presentarsi alle urne. E’ un NO all’accordo Santos – Timochenko, che tuttavia hanno ribadito la loro intenzione di pace. Da una parte Santos ha chiaramente che la volontà di cessare il fuoco da parte del Governo colombiano è definitivo, dall’altra Timochenko ha ribadito di voler usare “la parola come arma di costruzione del futuro”. Il loro addio alle armi sembra essere quindi definitivo, nonostante la Colombia viva un momento di profonda incertezza e incognite.
A cura di Gaia De Giovanni.