Il 7 ottobre è stato approvato dalla Camera dei Deputati il decreto legge costituzionale n. 214-515-805B riguardante una diminuzione del numero di parlamentari.
Nello specifico il disegno di legge prevede la modifica degli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione e fisserà un numero di parlamentari totali a 600, con 400 deputati e 200 senatori; ci sarà un taglio dei senatori eletti all’estero (da 6 a 4), ed il numero dei senatori a vita nominati dal Presidente della Repubblica non potrà essere maggiore di cinque. Ridotto anche è il numero minimo di senatori per regione, da 7 a 3. I “sì” alla riforma sono stati 553: hanno votato a favore le forze di maggioranza, M5S, Pd, Leu e Italia Viva, e quelle di opposizione, Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia; 14 sono stati i voti negativi, e 2 gli astenuti. Grande è stata l’opposizione di +Europa, che è ora in protesta a Montecitorio.
Padre della riforma è Il Movimento 5 Stelle che, durante la crisi di governo da cui si è originato il secondo governo Conte, ha preteso che il taglio dei parlamentari rappresentasse una clausola fondamentale per poter iniziare un dialogo ed una collaborazione con il Partito Democratico. Infatti, proprio a poche ore dall’approvazione del decreto, il ministro degli esteri Luigi Di Maio, così come tutto il movimento, ha voluto rivendicare l’importanza del provvedimento, dal momento che comporterà un grande risparmio per le casse dello Stato e faciliterà le operazioni di lavoro del Parlamento.
Essenzialmente, per i “portavoce” del movimento “i parlamentari sono troppi, costano troppo, e il Parlamento non è efficiente come dovrebbe essere” , così afferma il relatore della legge Giuseppe Brescia , presidente della commissione Affari costituzionali di Montecitorio, eletto con il M5S, aggiunge inoltre che si tratta di “una riforma epocale”, che porterà nelle casse dello Stato 1 miliardo di euro in più nel corso di due legislature, dal momento che non verranno più pagati 345 stipendi, rimborsi e spese di staff. Di Maio la definisce “la fine di un’ingordigia politica”.
La riforma, così presentata sembra allettante. In fondo tutto quello che porta a maggiori introiti allo Stato e di conseguenza ai cittadini tende ad apparire come qualcosa di benefico. Ma quel che urge è che i cittadini non si facciano attrarre dai numeri. Quali saranno le conseguenze di questa legge?
In primo luogo potrebbe sorgere con il Parlamento riformato, il problema della rappresentanza. Si ricorda che nel 1948 i nostri padri costituenti avevano legato il numero dei parlamentari alla popolazione, ossia il loro aumento o la loro diminuzione dipendeva dal seguente rapporto: un deputato ogni 80.000 abitanti e un senatore ogni 200.000. Questo principio venne abbandonato nel 1963, quando si decise che gli eletti dovessero essere un numero totale di 945, più i senatori a vita. Oggi in Italia vi è un deputato ogni 96.000 abitanti e un senatore ogni 188.000 circa. Con la nuova riforma entrante l’Italia diverrebbe il paese europeo con il minor numero di eletti alla Camera bassa, in relazione alla popolazione. Ma questo non è l’unica possibile conseguenza.
In secondo luogo quel che preoccupa i rappresentanti dei partiti più piccoli non è unicamente la rappresentanza in Europa. Il taglio dei parlamentari è legato a doppio filo alla riforma della legge elettorale. Un minor numero di eletti comporta che la soglia di sbarramento soprattutto per il Senato, si alzi a livelli troppo alti escludendo di conseguenza i partiti più piccoli. È proprio su questo punto che si è espresso il vice segretario di +Europa, Piercamillo Falasca, convinto che la diminuzione del numero di parlamentari, non accompagnata da una riforma della legge elettorale adatta, possa trasformare le camere del Parlamento in un ambiente elitario in cui da un lato, potranno accedere unicamente i partiti più grandi mentre dall’altro saranno rappresentate le grandi città e non i cittadini delle province più piccole.
Per ovviare a questo rischio le forze di governo hanno siglato un accordo che prevede che entro questo dicembre 2019 venga varato il progetto per una nuova legge elettorale, ed è affidato ai prossimi mesi il dibattito circa la formula alternativa che si dovrà adottare per sostituire la vigente legge 156/2017 cd. “Rosatellum”.
All’alba della nuova legge dunque le opinioni sono già contrastanti: per il Presidente Brescia, deputato M5S, è preferibile una legge elettorale proporzionale, mentre il deputato Pd Ceccanti, si dovrebbe scegliere tra un proporzionale selettivo con un’alta soglia di sbarramento o un maggioritario a doppio turno.
Ma il punto focale del discorso non è la formula da adottare per le elezioni che verranno, ma è capire se si è pronti ad affidare le sorti del Paese, nella loro totalità, alla formula elettorale. Per quanto la redazione di una nuova legge elettorale sia necessaria, è plausibile affidarle il compito di riequilibrare la situazione elettiva italiana ? Si arriva così alla domanda ‘questa legge è costituzionale’ ?
Per il momento non ci sono risposte, ciò non toglie che nei prossimi anni i futuri governi potrebbero riformare tale legge più che facilmente, modificandola per eliminare il problema strutturale che sorge dalla volontà della classe dirigente che tenta di risolvere il problema sul breve periodo, mettendo in atto un operazione di riduzione dei costi, e continuando ad evitare la questione del bicameralismo perfetto.
L’invito è a noi cittadini: attenzione! Tagliare solo il numero dei parlamentari senza prendere le giuste misure fa correre un rischio necessario per conservare la liberalità del nostro Paese? Oltre che a snellire le camere non sarebbe necessario aggiornare le modalità di voto, i regolamenti e la Costituzione?
Come italiani già abbiamo vissuto un esperienza del genere nel 1919 dal quale bisogna prendere atto che garantire rappresentatività e governabilità al sistema rischia di portare gli elettori verso la necessità di un “uomo forte e capace di decidere”, una richiesta che mal si adatta alla nostra affermata democrazia.
Articolo a cura di Federica Boscaino