Nonostante le numerose manifestazioni e le molteplici marce a favore delle donne, nonché l’adozione di un’importante legge in Punjab, la “Punjab Protection of Women against Violence Act”, la situazione delle donne in Pakistan resta ancora molto critica. Tale criticità è palesata dal terribile evento avvenuto a fine gennaio a Kohat, cittadina che si trova a 120 miglia dalla capitale Islamabad, in cui Asma Rani, una studentessa iscritta al terzo anno di Medicina, è stata “giustiziata” dopo aver rifiutato una proposta di matrimonio.
Non si tratta di un caso unico ed isolato, bensì di una tragedia che si inserisce in una lunga scia di vite spezzate per non essersi piegate ai desideri maschili.
Hina Shahnawaz è il nome di un’altra giovane donna uccisa poco meno di un anno fa da un uomo che pensava di avere il diritto di sposarla. Ma la stonatura qui si sente forte, perché non si dovrebbe mai parlare di diritto a ricevere un sì, quanto del diritto delle donne a dire di no. Un no che significa potersi costruire liberamente la propria vita ed autodeterminarsi in tutto e per tutto, con il rispetto dell’intera società.
Si tratta, però, di una società in cui i cosiddetti “crimini di onore” vanno ben oltre quanto descritto e sono considerati di routine: i colpevoli restano quasi sempre impuniti o in qualche modo protetti dal sistema ed i casi in cui sono effettivamente condannati costituiscono un’eccezione; le donne, da vittime, molto spesso sono ritenute istigatrici, quindi meritevoli del loro destino.
Numerosi sono stati e continuano ad essere gli attacchi nei confronti di maestre che si prodigano per l’istruzione delle bambine ad opera dei fondamentalisti islamici, con l’obiettivo di impedire l’alfabetizzazione delle donne, ferma a un misero 46 %.
Inoltre, il fenomeno della cosiddetta “giustizia parallela” dei villaggi, sostitutiva di quella statale, è molto diffuso in Pakistan e penalizza soprattutto donne e ragazze. Proprio lo scorso luglio Amnesty International aveva riportato che venti persone del consiglio di un villaggio nei pressi della città di Multan erano state arrestate per aver ordinato lo stupro di una ragazza come atto di vendetta per uno stupro di cui era stato accusato il fratello.
Il problema centrale è che questa situazione rispecchia verità e convinzioni sociali profondamente radicate nella società pakistana, che devono essere necessariamente estirpate al fine di superare una impostazione che è da troppo tempo “tutta al maschile”. In un 2018 caratterizzato da numerosi movimenti a favore delle donne, il Pakistan sembra purtroppo ancora lontano dal raggiungimento di tale coscienza sociale.
A cura di Chiara Vittoria Turtoro