Giovanni Malagò, classe 1959, è presidente del CONI dal 19 febbraio 2013 e commissario straordinario della Lega di Serie A dal 2 febbraio 2018. Allievo di Gianni Agnelli, dal quale, negli anni della gioventù ha voluto mutuare soprattutto l’aspetto glamour, l’amore per il lusso e le belle donne, Malagò si è mostrato uomo umile e di grande disponibilità, sempre pronto a sfidare se stesso oltre i propri limiti. Sentendolo parlare, mi è rimasta in mente la sua tenacia, la volontà di non arrendersi mai.
A seguito del famoso No del Sindaco Raggi per le Olimpiadi 2024 e dell’uscita dai mondiali di calcio, noi di Globe Trotter non abbiamo perso occasione per intervistarlo e sentire la sua opinione.
D: La candidatura di Roma alle Olimpiadi 2024 è ormai sfumata. Cosa pensa del No del Sindaco di Roma e delle sue motivazioni dovute al debito enorme che ha Roma?
R: “La rinuncia a competere per l’assegnazione dei Giochi Olimpiadi del 2024 è una ferita che non si rimargina: uno sportivo può accettare la sconfitta ma non gli si può negare la possibilità di gareggiare. La tematica è ormai nota, la candidatura di Roma era forte e godeva di enorme credibilità internazionale. I paragoni con i gigantismi deleteri legati alle edizioni del passato non hanno alcun fondamento perché sono cambiate le regole d’ingaggio in base ai dettami dell’Agenda 2020, introdotta dal CIO proprio per valorizzare nuovi presupposti formali ed economici, mettendo al centrolegacy e sostenibilità. La Capitale avrebbe beneficiato di risorse imponenti, a favore dello sport e non solo. Era una leva per la ripresa, una risposta forte, una via da percorrere proprio per far fronte alle difficoltà e offrire soluzioni, anche a livello occupazionale. Esistevano le condizioni per lasciare un segno indelebile”.
D: Ha in serbo un piano B sulla questione delle Olimpiadi oppure ha completamente accantonato la possibilità di una candidatura ai Giochi Olimpici?
R: “Siamo felici di non aver intaccato il rapporto di stima e di credibilità con i nostri referenti istituzionali a livello internazionale. Hanno compreso la dinamica che ha portato alla forzata rinuncia legata a Roma 2024: mi piace ricordare che Milano ospiterà nel 2019 la sessione del CIO e posso dire che lavoreremo sempre – in sintonia con i potenti dello sport e non solo – per cercare di capire le prospettive e le possibilità per una eventuale candidatura italiana ai Giochi Olimpici, anche se ricordo sempre che è necessario attendere, per rispetto, prima le elezioni politiche in primavera. Le candidature olimpiche sono un tavolo a tre gambe: Comitato Olimpico, Governo ed Enti locali”.
D: Recentemente si è parlato di un eventuale riconoscimento da parte del CIO dei videogiochi (o meglio degli sport elettronici o eSports) come disciplina sportiva al pari quelle tradizionali, cosa pensa a riguardo?
R: “Il CIO, anche in virtù dell’Agenda 2020, ha allargato gli orizzonti. Salvaguarda la tradizione ma non rinuncia a interpretare la realtà guardandola con gli occhi dei giovani, cercando di leggerla attraverso le loro passioni per definirne i contorni. Per questo, recentemente, ha preso atto anche dello sviluppo degli “eSports”, ma questo non equivale a un automatico riconoscimento. Tra l’altro c’è un punto nevralgico da sottolineare: non esiste una organizzazione, al momento, che garantisca il rispetto delle norme e del movimento olimpico. Si dovranno compiere degli approfondimenti affinché possano rientrare nel novero del movimento”.
D: Esiste all’intero del nostro ordinamento sportivo ancora il problema del cosiddetto vincolo sportivo, in quanto sussistono ancora atleti dilettanti (e spesso solo formalmente dilettanti, ma sostanzialmente professionisti) che sono limitati al diritto di espletare attività agonistica: questo difetto del sistema sportivo italiano può essere risolto?
R: “E’l’intera tematica a dover essere rivisitata. Lo status è regolato dalla legge 91 del 1981 sul professionismo sportivo. Si tratta di un provvedimento normativo anacronistico, che urge di una revisione indifferibile. Daquando mi sono insediato alla Presidenza del CONI sono state istituite una serie di commissioni, quella sulla legge 91 è stata la prima che ha prodotto un documento condiviso, a testimonianza della convergenza di interessi da parte dell’intero mondo sportivo. Però devo sottolineare sempre che l’Ente che presiedo può fare morale suasion e fornire indicazioni importanti ma non ha facoltà di legiferare”.
D: Un suo parere sulle dimissioni di Tavecchio dalla FIGC?
R: “Ha preso atto di una situazione oggettiva: solo in un’altra occasione, nel 1958, la Nazionale di calcio non si era qualificata per i Mondiali. Al di là della sfortuna, della scelta del tecnico e dell’incidenza di altri fattori che non cambiano il quadro complessivo, ècertamente sbagliato però pensare che, con l’uscita di scena diTavecchio, si risolvano automaticamente i problemi che affliggono il movimento”.
A cura di Carlo Alberto Paladino