L’art. 34-bis è un disegno di legge costituzionale atto a rendere l’accesso ad Internet un diritto sociale garantito dalla Costituzione, come già avviene per il diritto all’istruzione o alla salute. Inoltre, è la prima proposta di revisione costituzionale nella storia della nostra Repubblica a essere arrivata in Parlamento partendo dal basso, da giovani laureati e studenti, riuniti nel think tank Cultura Democratica, presieduto da Federico Castorina. Tuttavia, nonostante la portata rivoluzionaria del messaggio e delle modalità con le quali questa proposta sia stata sviluppata, nonché l’apprezzamento e il sostegno di numerosi esperti ed addetti ai lavori, l’art. 34-bis è ancora poco conosciuto all’opinione pubblica.
Ne ho parlato con Guido d’Ippolito, classe 1990, laureatosi in Giurisprudenza nel nostro Ateneo nell’autunno 2013, autore e primo promotore di questo progetto, e vi posso assicurare che è impossibile non farsi contagiare dalla sua passione e dal suo entusiasmo.
L’art. 34 bis mira a rendere l’accesso a Internet un diritto sociale garantito dalla Costituzione. Come ti sei appassionato a questo tema e quando hai deciso di impegnarti concretamente per realizzarlo?
L’innovazione e la tecnologia mi hanno sempre appassionato e all’università ho amato il diritto costituzionale, quindi per la mia tesi di laurea volevo fare qualcosa che combinasse queste due passioni. Ho quindi discusso una tesi in diritto costituzionale, con il Prof. Ridola, sugli impatti costituzionali di Internet, in cui accennavo al 34-bis. Dopodiché, tutti mi dicevano che era una proposta interessante, ma che in Italia nessuno l’avrebbe mai attuata, quindi ho deciso di farlo io. Ciò è stato possibile entrando nell’associazione Cultura Democratica (che si occupa di portare le idee dei giovani al Parlamento) dove sono responsabile del gruppo per l’Innovazione Digitale, di cui attualmente fanno parte con me Cristina Salmena e Elisabetta Abelardi (nella foto).
Per quale motivo è così importante rendere Internet un diritto sociale nel nostro Paese? Qualcuno potrebbe obiettare che ci sono molti altri problemi più impellenti.
Certo, ci sono problemi importanti ma Internet è una materia trasversale e in quanto tale contribuisce e aiuta a risolverli tutti.
Internet è uno spazio pubblico, una nuova dimensione sociale, in cui tutti esercitiamo diritti, adempiamo doveri e usufruiamo d’infiniti servizi. Su Internet abbiamo maggiori possibilità di esprimere ed espandere la nostra personalità (tramite l’esercizio d’impresa, la libertà di espressione, istruendoci, aumentando le nostre possibilità di scelta, esercitando tutti i diritti e molto altro ancora), di qui l’importanza di tutelarne l’accesso e tutelare quelle che sono le nuove esigenze della società: in primis l’accesso a beni e servizi quando, come, dove e nella misura ritenuta più opportuna, che solo Internet consente.
Questo ci riporta al tema della Net Neutrality. Qual è la vostra posizione a riguardo?
Favorevole ed infatti è uno dei principi contenuti nell’art. 34-bis, in quanto la Net Neutrality si prefigge di evitare discriminazioni arbitrarie, nell’uso di Internet, da parte di soggetti economicamente più forti. Di questi argomenti si discute da anni negli Stati Uniti e nell’Unione Europea, mentre in Italia siamo molto indietro, anche a livello culturale, rispetto alle nuove tecnologie. Per questo il primo obiettivo della nostra proposta è di stimolare il dibattito pubblico a riguardo, creare un cambiamento culturale e fare cultura digitale. Da qui la decisione di legare idealmente il diritto di accesso a Internet al diritto all’istruzione (art. 34), collocandolo subito dopo nella Costituzione.
Quest’estate l’Italia si è dimostrata però all’avanguardia nell’approvare a livello istituzionale l’Internet Bill of Rights, di Boldrini e Rodotà. A tuo avviso, quali sono i meriti di questo importante documento, e quali invece i suoi limiti?
È senza dubbio positivo dal punto di vista culturale e il primo merito è quello di aver costretto le Istituzioni ad occuparsi di questo tema. Non siamo il primo esempio né il più importante, che è il Marco Civil brasiliano, ma il prof. Rodotà e la presidente Boldrini in Italia hanno creato un documento che ha validità culturale nel lungo periodo, con ambizioni anche a livello europeo e mondiale. Il suo limite è però quello di non avere effetto giuridico vincolante: non è un atto della Repubblica e ha una valenza prettamente accademica.
Tuttavia, è un progetto che si integra perfettamente con l’art. 34-bis: sono complementari e utili entrambi in quanto si legittimano a vicenda. Infatti, l’art. 34-bis è una norma di principi inderogabili essenziali che troverebbero poi attuazione e la disciplina di dettaglio nel Bill of Rights. Mentre il Bill of Rights, che non ha autonoma forza giuridica, troverebbe nell’art. 34-bis la sua legittimazione e il suo fondamento costituzionale. Se fossero approvati entrambi, l’Italia non avrebbe niente da invidiare al resto del mondo, anzi farebbe scuola.
La vostra proposta di legge è arrivata fino in Parlamento. Quali sono state le tappe più importanti di questo percorso e quali saranno i prossimi traguardi da raggiungere?
La proposta esisteva già da gennaio 2014 ed è stata ulteriormente sviluppata grazie a vari incontri con esperti. Per quanto riguarda il Senato, la prima tappa è stata la presentazione in Commissione Affari Costituzionali da parte del senatore Campanella, il 10 Luglio 2014: in questo modo l’art. 34-bis è diventato ufficialmente ddl. Costituzionale con il n. 1561. La seconda tappa coincide con l’inizio della trattazione del ddl. da parte della Commissione Affari Costituzionali del Senato. Nei mesi successivi, la Commissione ha poi disposto le audizioni, chiamando esperti come Rodotà, Pollicino, Passaglia e De Minico per avere il loro parere e, in conseguenza di ciò, ha approvato il testo base. Siamo quindi ora nella fase degli emendamenti, che dovranno essere esaminati nei prossimi mesi.
Per quanto riguarda la Camera, invece, l’iter è iniziato il 14 Gennaio 2015, quando la proposta, firmata da 12 deputati di vari partiti, è diventata ddl. Cost. n. 2816.
Scrivere un ddl. che arriva a essere discusso in Parlamento è una grande soddisfazione. Quali sono state però le maggiori difficoltà?
Forse appassionare le persone. All’inizio ho ricevuto molti no, ma penso sia normale in quella fase perché non si ha il diritto di essere ascoltati ma, al contrario, si ha il dovere di fornire un valido motivo per essere ascoltati. Forse sembrerà strano ma è stato più difficile parlare ai cittadini che ai politici, che ho trovato molto competenti in materia di Internet e di comunicazione.
Mi piacerebbe che ci fosse più interesse da parte dell’opinione pubblica su questi temi.
A livello tecnico invece la difficoltà è stata nel dover esprimere tanto in poche parole, per evitare interpretazioni distorte della norma, per di più inserendo termini quali Internet e Neutralità della Rete che non sono ancora usuali nel linguaggio giuridico. Per arrivare alla proposta com’è ora, ci sono state quattro bozze, discusse in un periodo di circa un anno con diversi soggetti: professori, esperti, parlamentari, studenti.
Lo scorso maggio hai moderato una Tavola Rotonda tra vari esperti, deputati e professori, nella Sala della Regina della Camera dei Deputati. Cosa si prova a lavorare in quelle sale?
È stata una grandissima emozione e opportunità, non solo per il luogo, ma anche perché per la Tavola Rotonda ho scelto tutti i maggiori esperti in Italia. Non mi sarebbe dispiaciuto farlo in un’università affinché l’evento fosse ancor più divulgativo, ma non è stato possibile. Organizzare alla Camera, inoltre, è stato fantastico anche perché ci hanno consentito di essere in diretta streaming e il video integrale della seduta è tuttora disponibile nel nostro canale YouTube e sul nostro sito web.
È stata un’ottima occasione, perfettamente in linea con lo spirito della nostra proposta, per testare le criticità dell’art.34-bis e ascoltare quante più opinioni e idee possibili, anche provenienti dal pubblico. Ad esempio, Germano Massullo di Ninux è intervenuto dal pubblico e ci ha fatto scoprire che ci sono cittadini che si creano la Rete da soli. Noi vogliamo fare qualcosa di utile per tutti, per questo apprezziamo tutte le voci e accettiamo anche le critiche più aspre.
Infatti hai più volte definito l’art. 34-bis una proposta di tutti e alla quale tutti possono partecipare. In quale modo chi ci legge ed è interessato può collaborare concretamente?
La prima esigenza della proposta è di avere più visibilità: per noi è importante che se ne parli, anche solo nelle chiacchiere tra amici o condividendo e mettendo il like sulla nostra pagina Facebook o i nostri video. Dopodiché, ognuno può partecipare come vuole, con un parere, un commento, una foto, un video, un suggerimento, facendo rete con noi o, se è uno studioso della materia, anche proponendo modifiche, visto che siamo proprio nella fase degli emendamenti in Senato. Inoltre vorremmo migliorarci dal punto di vista della comunicazione, quindi sono ben accetti idee e aiuto anche in quest’ambito, ad esempio con video che possano arrivare a più persone possibili.
Da aprile sei uno dei Digital Champions di Riccardo Luna. Come si è rivelata quest’esperienza e cosa ti ha insegnato? Qual è l’impatto che speri di avere in queste vesti?
Essere un Digital Champion mi ha convinto del valore del fare rete e che veramente l’unione fa la forza: l’art. 34-bis è una proposta ambiziosa e l’unico modo per realizzarla è avere il supporto di tutti. Il ruolo che spero di avere è quello di fare cultura digitale, aumentare il dibattito pubblico, che poi è l’obiettivo di tutti i Digital Champions, ognuno nel proprio campo, ed essere un ambasciatore di questo tema ancora di nicchia rendendolo più di interesse pubblico, più semplice e fruibile da tutti.
di Flavia Marcocci
Per approfondire
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