Marwa Mahmoud ha 34 anni, è nata ad Alessandria d’Egitto ma vive dall’età di quattro anni in Italia, precisamente a Massenzatico, frazione di Reggio Emilia. È laureata in Lingue e Letterature straniere all’Università di Bologna ed è membro del Consiglio Comunale di Reggio Emilia, ma è anche mamma da 8 anni. Ho avuto l’opportunità di conoscerla lo scorso autunno al Festival della Diplomazia e ci siamo risentite per una breve intervista.
Sul tuo profilo Instagram ti definisci un’attivista. Qual è il lavoro di un attivista oggi?
Per me l’attivista è una persona contro le ingiustizie sociali che vive in prima persona o che vive attraverso gli altri. Può essere anche una persona che legge e fa ricerche su alcune tematiche che le interessano, purché poi si attivi per “sistemare le cose”. Ci sono due modi di fare attivismo: il primo è quello più “intellettuale”, è l’atteggiamento di una persona che scrive articoli, recensioni, libri… un po’ come Saviano. E proprio come lui diventano dei punti di riferimento, che rappresentano di persona la causa. Il secondo modo è quello di agire sul territorio con manifestazioni in piazza o sit-in, e questo richiama l’attenzione di altre persone disposte a partecipare a delle campagne di sensibilizzazione. Io mi sento un attivista a metà tra il primo e il secondo tipo perché per me è importante promuovere a livello intellettuale le tematiche del diritto di cittadinanza e dei diritti delle nuove generazioni, ma è imprescindibile presiedere il territorio.
Ho visto che collabori con “Italiani Senza Cittadinanza”. Quali sono i progetti e le loro sfide e qual è la tua esperienza assieme a loro?
Innanzitutto, Italiani Senza Cittadinanza nasce nel 2016 da figli di migranti che vivono le ingiustizie del non avere una cittadinanza italiana. Il movimento è nato soprattutto per fare pressione sul governo di allora che aveva proposto un disegno di legge che modificasse la legge del 1992, quando il disegno di legge si trovava bloccato nella Commissione per gli affari costituzionali del Senato. Già da allora abbiamo incontrato resistenze di varia forma, in primis dalla classe dirigente del Paese, inconsapevole del dramma di veder rigettata la propria richiesta di cittadinanza Italiana per via del reddito troppo basso o la documentazione insufficiente. L’altra fonte di resistenza è sicuramente il mondo della comunicazione mediatica che unisce costantemente il tema del diritto di cittadinanza al tema delle migrazioni.
Quello di cui si occupa il movimento è semplicemente il diritto di essere riconosciuti cittadini del Paese in cui si abita, ma la stampa continua a fare questi collegamenti che generano quello che chiamerei un “binomio ossimorico”, e per questo bisogna rivedere la narrativa. Un errore comune è quello di associare la cittadinanza a un dispositivo da meritare tramite un set di conoscenze linguistiche e culturali, ma questo va a intaccare quella società pluralistica e piena di differenze in cui viviamo. Ora il movimento è meno attivo rispetto al 2016 e al 2017 e in Parlamento latitano tre diverse proposte di legge che ritornano argomento di dibattito quasi esclusivamente in campagna elettorale, strumentalizzate da destra e sinistra. Eppure, una volta che si concludono le votazioni, nessuno più sembra avere il coraggio di guardare in faccia a una società che cambia.
Puoi spiegarci la differenza tra ius soli e ius culturae?
Oggi la cittadinanza Italiana viene conferita in base alla legge del 1992, che conferisce il diritto di richiedere la cittadinanza a chi discende da almeno un cittadino italiano fino al livello del trisavolo, mentre i figli di genitori stranieri possono richiederla solo dopo aver compiuto 18 anni. Quello che noi vogliamo non è il conferimento automatico della cittadinanza a tutti i bambini che nascono sul suolo italiano e che magari migrano con i loro genitori verso il nord Europa, ma piuttosto a tutti i bambini che, anche se arrivati in Italia nei primissimi anni di età, sono vittime di una serie di diseguaglianze a scuola e nella società. Per dirla in maniera più semplice, l’obiettivo del Movimento è quello di garantire ai bambini che nascono, crescono e acquisiscono un percorso scolastico in Italia la possibilità di ottenere la cittadinanza senza discriminazioni. Quello che vogliamo è lo ius culturae, legato al conseguimento del percorso di studi ma non necessariamente al merito. Anche quando un bambino non prende voti altissimi vive la cultura, la lingua e le tradizioni del Paese in cui vive, allo stesso modo dei coetanei nati da genitori Italiani.
Quanto è importante per i ragazzi italiani di seconda generazione mantenere i contatti con la lingua e la cultura dei loro genitori?
Sapere da dove vieni e quali sono le tue radici è il punto di partenza per capire dove vuoi andare. Un giorno i genitori di questi ragazzi si sono ritrovati da essere la maggioranza nel Paese di origine a essere in minoranza nel Paese in cui si sono trasferiti. C’è poi l’errore comunissimo di considerare i migranti come soli fruitori di servizi forniti dallo Stato, quando invece sono dei veri e propri portatori di intercultura. Per questo è fondamentale riconoscere pari dignità a tutte le culture, al bilinguismo, alle diverse fedi, ai luoghi di preghiera, ai piatti tipici. Non è solo un tema di immigrazione ma di umanità.
Cosa pensi del clima di intolleranza e del linguaggio di odio promosso negli ultimi anni da un numero preoccupante di vertici politici e certe testate giornalistiche?
La narrazione e la comunicazione di oggi si focalizzano solo su alcuni aspetti di ciò che succede oggi, dando un’idea sbagliata della società multiculturale italiana. Parlare solo dei crimini commessi dai migranti senza menzionare i benefici della diversità spesso porta a una scorretta informazione per la popolazione. Inoltre, cade una grande responsabilità sulle istituzioni per applicare in maniera corretta l’articolo 3 della Costituzione Italiana che riconosce a tutti pari opportunità. Ministri, deputati e senatori a volte adottano una mentalità paternalistica che discrimina alcuni gruppi e provoca in maniera diretta negli elettori un meccanismo di economia mentale e generalizzazioni. E questo vale anche per le donne: è ancora molto diffuso il pensiero che le donne debbano stare “un passo indietro” (ndr. Soprattutto in luce di quanto dichiarato da Amadeus alla conferenza stampa di Sanremo delle scorse settimane, e cioè che la validità della sua valletta Sofia Novello sta nella “capacità di stare vicino a un grande uomo stando un passo indietro”).
Da pochissimo si sono tenute le elezioni regionali in Emilia Romagna con la tanto sperata vittoria del candidato di centro-sinistra, Stefano Bonaccini. Secondo te quanto è stato importante l’intervento in piazza di un altro gruppo di attivisti, il Movimento delle Sardine?
Le Sardine hanno avuto un ruolo molto importante negli ultimi mesi, perché hanno rimesso al centro della discussione un’intera parte dell’elettorato che era totalmente assuefatta e delusa da nazionalismi e populismi che stanno dominando la scena politica. Grazie a questa nuova onda di speranza sono riuscite a fronteggiare quella che ora è una vera e propria bestia mediatica. Diciamo che sono comparse in un momento fondamentale e hanno dato voce ad alcuni profili giovanili molti variegati, c’erano anche ragazzi di origini straniere. Anche quello che chiedono è importantissimo, e cioè di mettere fine alle pratiche di cabaret per ritornare alla politica vera e propria, quella fatta da persone serie e professionisti. Chiedono una politica che sappia guardare in lungo verso il tempo e in largo verso lo spazio, insomma una politica che sia una bussola più che una fonte di distinzioni e populismi. Io sono certa che finiranno sui libri di storia.
Spesso noi giovani siamo disincentivati a intraprendere determinate carriere per paura che il nostro merito non venga riconosciuto. Hai qualche consiglio per i nostri lettori?
È fondamentale avere consapevolezza del peso dell’istruzione. Non parlo solo di accumulare titoli di studio fino al dottorato e poi essere chiusi nelle proprie idee e nelle proprie certezze. Bisogna aprirsi al mondo con un’apertura “a grandangolo”, riconoscere che non tutto è in bianco e nero ma che ci sono centinaia di sfumature diverse, e per fare tutto questo è essenziale viaggiare e riconoscere la ricchezza della diversità.
In più è anche necessario preservare la memoria anche dei capitoli più bui della nostra storia perché tutto quello che è già successo potrebbe ricapitare un giorno. Populismo e nazionalismo non sono altro che sirene che annunciano un possibile ritorno di pezzi di storia che chi è venuto prima di noi ha già vissuto, ma che da cui i giovani possono proteggersi con armature fatte di educazione e memoria storica. Personalmente, sono ottimista nei confronti delle nuove generazioni. E a chi ai piani alti si incolla alle poltrone dico: andate in pensione! Oggi i giovani hanno normalizzato la diversità molto più delle precedenti generazioni perché l’hanno vissuta tra i banchi di scuola.
Articolo a cura di Raffaella De Meo