Andre Renda è attualmente ricercatore presso il Centro per gli Studi Politici Europei, consigliere economico presso l’Istituto Affari Internazionali, consulente di numerose istituzioni mondiali, tra cui la Commissione Europea, il Parlamento Europeo, l’Onu, la Banca Mondiale, e, dulcis in fundo, nostro professore alla Luiss. Dunque, chi meglio di Lui può darci un giudizio circa il semestre italiano di presidenza del Consiglio dell’Unione Europea appena conclusosi? Prima di addentrarci in questo delicato topic però una domanda sorge spontanea:
Come fa a ricoprire tutti questi ruoli contemporaneamente? Ha qualche segreto?
Il segreto è avere passione per quello che si fa ed avere un background di teoria economica e conoscenza giuridica molto solido. Ma il segreto più importante è che quello che faccio a Bruxelles, quando torno a Roma, lo racconto agli studenti.
In seguito al Suo incarico di consulente Lei lavora a stretto contatto con le Istituzioni Europee. In che cosa consiste il Suo lavoro precisamente?
Il mio compito è migliorare quello che fanno le Istituzioni, fornendo qualità e background accademico per poter prendere decisioni migliori, scrivendo rapporti e facendo l’analisi dell’impatto delle politiche pubbliche proposte.
Da osservatore con un punto di vista privilegiato, qual è la Sua impressione circa i risultati raggiunti dal Semestre Italiano di Presidenza del Consiglio dell’Unione Europea?
Se dovessi mutuare un’espressione Shakespeariana utilizzerei “molto rumore per nulla”. Sono molte le occasioni che abbiamo perduto per far cambiare verso all’Europa.
Perché i risultati sperati e dichiarati non sono stati raggiunti?
Uno degli errori più grandi è stato quello di non aver saputo sfruttare la situazione favorevole del momento. Il Parlamento era stato appena eletto e la Commissione era in fase di transizione, dunque la Presidenza Italiana avrebbe potuto fare molto di più e far valere il proprio peso.
Un’altra decisione scellerata è stata quella di privarsi di due risorse importanti quali Enzo Moavero ed Emma Bonino. Non sono molte le persone che sanno veramente come funziona l’Europa, saranno una cinquantina – io mi tiro fuori eh! – ed in Italia saranno 5 o 6, tra di esse le due sopracitate erano al governo prima che prendesse il potere Renzi ma li abbiamo mandati a casa tutti e due. Errore gravissimo, perché privarsi di queste competenze alla vigilia dell’inizio del Semestre di Presidenza è stato l’equivalente di un suicidio.
Un tema ricorrente è il dualismo tra austerità e crescita. In quale direzione si è mossa l’Italia?
Si è parlato molto di crescita, ma è stato ignorato che a livello europeo esiste già una strategia di crescita, Strategia Europa 2020, contenente una serie di obiettivi e azioni, tra cui il raggiungimento dei target occupazionali, la lotta alla povertà, la politica industriale, l’innovazione). La strategia doveva essere rivista nel marzo 2015. Dunque toccava alla Presidenza Italiana lavorare sulla revisione della strategia. Invece che cosa abbiamo fatto noi? Il rumore è stato “crescita, crescita, crescita”, il nulla che ne risulta è che alla fine, al momento di trarre delle conclusioni e fare una proposta concreta per rilanciare tale piano, non è stato fatto nulla. Ad oggi, la revisione di Europa 2020 è rinviata a data da destinarsi.
Alla luce di tutto ciò, secondo Lei ci sono gli estremi per poter parlare di fallimento?
Si, fallimento totale. Matteo Renzi ha avuto non poche difficoltà a giustificare nel discorso di chiusura i risultati fallimentari.
I fallimenti più grandi?
Oltre alla già citata Strategia Europa 2020, che racchiude un po’ tutte le priorità che erano state fissate, il “Made in” (la protezione dell’origine geografica dei prodotti al di fuori dell’agroalimentare) e l’operazione Triton. C’è stata una transizione e una traslazione di potere e di risorse dalla nostra operazione Mare Nostrum all’operazione Triton, che però è un’operazione di pattugliamento, che non prevede risorse per i mezzi di soccorso. Un altro fallimento è quello del mercato unico digitale, sul quale aleggia un’aura assai misteriosa, e sulla quale tanto si era puntato a partire dall’evento di luglio 2014, Digital Venice, nel quale Renzi si era addirittura spinto a proporre la creazione di un’agenzia unica per le telecomunicazioni.
Dunque un fallimento sia sul fronte della politica economica e della crescita, sia dei diritti fondamentali.
Crede sia legittimo l’atteggiamento scettico degli Italiani nei confronti delle Istituzione Europee?
Dal mio punto di vista no. Ci sono delle colpe da parte delle Istituzione Europee, certo, come aver tenuto troppo all’austerity, ma la struttura attuale della Governance Europea è fatta in moda tale che per un politico nazionale diventa facilissimo nazionalizzare i successi ed europeizzare gli insuccessi. L’Europa è troppa rigida e non ci consente flessibilità? È bene mettersi anche nei panni degli altri paesi. Se presti 50 euro a un amico, poi altri 50 la settimana dopo, poi ancora, dopodiché vieni a sapere che lui sperpera i soldi giocando al casinò, tu glieli presti di nuovo? Noi siamo il peggior paese europeo per spesa dei fondi strutturali e per recepimento della normativa comunitaria, e ora scopriamo anche le mafie nelle nostre amministrazioni. Quale credibilità e affidabilità potremmo mai avere?
Come dice Renzi: “Il problema non è l’Europa ma siamo noi che dobbiamo fare i compiti a casa”.
Vista la Sua ricca esperienza, quale consiglio si sente di dare agli studenti che intendono intraprendere una carriera nell’ambito delle Istituzioni dell’Unione Europea?
Coltivare competenze interdisciplinari. C’è vita oltre la Luiss. Specializzarsi magari in una delle grandi università che toccano i temi europei in maniera approfondita. Avere conoscenza della vita bruxellese e strasburghese. Non c’è modo migliore di essere un cittadino Europeo che fare un buon lavoro dentro una buona Istituzione Europea.