Lina Musumarra è Avvocato, titolare dello Studio Legale Musumarra, con sede a Roma. Membro dell’Associazione Cendon & Partners. Coordinatore di Sport Netlaw. Docente di Organizzazione e Diritto dello Sport del Corso di Laurea Triennale in Economia Aziendale Internazionale – Curriculum Economia e politiche dello Sport presso l’Università degli Studi Link Campus University. Docente di Diritto dello Sport presso Università Luiss Guido Carli ed autrice di numerose pubblicazioni in materia.
Gentile professoressa, innanzitutto la ringraziamo per la sua disponibilità nel concederci questa intervista.
Parliamo della vicenda di Roma 2024.
1. Come valuta la scelta dell’amministrazione Raggi alla luce della situazione economica del comune di Roma, anche considerando l’esperienza di Rio 2016? Nel caso, riterrebbe opportuno Candidare in futuro Milano o altre Città?
Senza entrare nel merito delle contrapposizioni politiche – che peraltro non dovrebbero interessare il mondo dello sport, caratterizzato da un preminente ruolo sociale, educativo e culturale – la scelta del Comune di Roma, con il suo nuovo Sindaco Virginia Raggi, di non voler proseguire l’iter della candidatura per ospitare i Giochi Olimpici e Paralimpici del 2024, per quanto preannunciata, rappresenta per tutto il mondo dello sport (e non solo quello italiano) e per i cittadini in generale un’occasione mancata. E’ vero, le esperienze anche recenti (Londra 2012, Rio 2016) hanno dimostrato che le Olimpiadi possono diventare un boomerang negativo per le sorti economiche del paese ospitante (come analizzato nella ricerca condotta dalla Said Business School dell’Università di Oxford, da cui emerge che “La spesa non è mai stata in linea con i budget iniziali e quasi nella metà delle occasioni i costi sono stati eccedenti per più del 100 per cento”), ma questi dati negativi non possono costituire un ostacolo per fermare definitivamente i grandi eventi. L’Italia esce sconfitta da una sfida (è questa è la seconda volta dopo il no dell’ex Presidente del Consiglio Mario Monti alla candidatura di Roma 2020) senza nemmeno tentare. Penso che i commenti migliori siano quelli contenuti nelle dichiarazioni dei nostri atleti: il biolimpionico del tiro a segno Niccolò Campriani: “Simpatizzavo per i grillini, ma speravo si facessero garanti di un’Olimpiade trasparente”; Jury Chechi: “Un’occasione persa, potevamo dimostrare di essere un Paese migliore di quanto pensiamo”; Valentina Vezzali: “Il sogno di una nazione trasformato in capriccio politico. Il malaffare si affronta, non si rinuncia a priori”.
2. Secondo lei l’operato del Coni e del suo presidente Malagò è stato corretto o Lei ha riscontrato delle irregolarità, anche puramente formali o politiche? Ritiene opportuna la presentazione di una eventuale domanda di Risarcimento danni da parte del CONI al Comune di Roma?
Non ho motivi per ritenere non corretto l’operato del Coni e in quanto alla minaccia del danno erariale ricordo che quest’ultimo è un ente pubblico e tutte le spese sono online. La somma che potrebbe essere eventualmente contestata davanti alla Corte dei Conti – secondo i primi dati diffusi dalla stampa – potrebbe essere superiore ai 10 milioni di euro, ma una rendicontazione al dettaglio ancora non è disponibile.
3. La legislazione sportiva Italiana è adeguata oppure necessita di modifiche (anche notevoli)? E la struttura del CONI è adeguata per la nostra epoca?
Con il termine “legislazione sportiva” possiamo identificare sia le regole che autonomamente il movimento sportivo si è dato attraverso le proprie realtà esponenziali, Coni, Federazioni sportive, Discipline Sportive Associate, Enti di Promozione Sportiva, sia le leggi dello Stato italiano che trattano la materia sportiva. Recentemente abbiamo assistito ad una radicale riforma della giustizia sportiva attraverso l’approvazione nel 2014 da parte del Coni del nuovo Codice di giustizia sportiva, in cui risulta evidente il riequilibrio delle garanzie processuali, con un rafforzamento della presunzione di innocenza e del diritto alla prova, che sono presupposto del supremo diritto di difesa. Più in generale, la prima legge di riforma organica dello sport che ha delineato un sistema cd. conicentrico risale al 1999, ad opera del D.lgs. n. 242, successivamente integrato e modificato dal Dlgs. n. 15/2004. Nonostante questo modello sia ormai ben radicato in Italia, negli ultimi anni stiamo assistendo ad una netta inversione di tendenza: si sta verificando una crescita esponenziale dello sport praticato al di fuori dell’ordinamento sportivo istituzionale: basti pensare non solo alla sempre maggiore diffusione di palestre gestite da enti che non fanno parte dell’ordinamento sportivo, ma anche alla nascita di numerose nuove discipline che per la loro stessa natura sono estranee alla struttura organizzativa sportiva. Un tema di particolare interesse ed attualità per l’ordinamento sportivo è costituito dal ruolo e dalle competenze delle Regioni e degli enti locali in questa materia, in previsione della proposta di modifica dell’art. 117 del Titolo V della Costituzione che elimina la cd. competenza concorrente Stato-Regioni e ricomprende lo sport nella legislazione esclusiva del primo.
4. Riscontra delle disparità di trattamento di natura sessista nel mondo dello Sport? Non ritiene poco moderna, ad esempio, la previsione di atleti professionisti solo per il genere Maschile (ad eccezione del Golf)? Come andrebbe risolta la questione a suo modo di vedere?
Come è noto nell’ordinamento sportivo italiano il settore professionistico è previsto solo per quattro discipline sportive (calcio, ciclismo, pallacanestro, golf) e, ad eccezione dell’ultima, le atlete non possono accedere a tale settore, rimanendo a vita qualificate come sportive dilettanti. Una disparità/discriminazione inaccettabile, in contrasto con gli stessi principi dello Statuto del Coni (art. 2, co. 4 a mente del quale “Il CONI, nell’ambito dell’ordinamento sportivo, detta principi contro l’esclusione, le diseguaglianze, il razzismo e contro le discriminazioni basate sulla nazionalità, il sesso e l’orientamento sessuale e assume e promuove le opportune iniziative contro ogni forma di violenza e discriminazione nello sport”). Il problema riguarda le donne in senso assoluto, ma di fatto coinvolge tutti quegli atleti – uomini e donne – che praticano una disciplina sportiva non professionistica ad alto livello, con gli stessi doveri ai quali sono tenuti gli atleti qualificati come professionisti dalla L. n. 91/1981, ma privi delle tutele che tale legge riserva solo a questi ultimi. Peraltro l’unica clausola stabilita dal Coni per definire un criterio che possa inquadrare l’attività sportiva come professionistica, è che la stessa abbia una notevole rilevanza economica. Ma allora perchè tante atlete che grazie alle loro prestazioni sportive percepiscono premi di rilevante entità (mi riferisco ai casi recenti di Flavia Pennetta e Roberta Vinci) non vengono qualificate come sportive professioniste? Per affrontare questi problemi sono state presentate, anche nelle precedenti legislature, numerose proposte di legge, rimaste al momento tutte nel cassetto. Evidentemente manca la volontà di affrontare il problema per tutti, non solo per le donne. La soluzione migliore sarebbe l’abrogazione della legge 91, riscrivendo una nuova legge che disciplini il lavoro sportivo in modo tale da superare il requisito della qualificazione come professionista/dilettante operata dalle Federazioni sportive, come più volte evidenziato anche dalla Corte di Giustizia europea. Una nuova legge che disciplini la situazione reale che è evidentemente diversa da quella pensata dal legislatore del 1981.
A cura di Ida Barletta e Piergiorgio Romano