La sponda sbagliata della storia

La sponda sbagliata della storia

Abruzzo, 1929. I cafoni abruzzesi accondiscendono alle pressioni del cavalier Pelino e si rivolvono a sottoscrivere, ognuno con la propria firma a forma di X, una misteriosa “carta bianca” che, stando alle promesse del potestà, avrebbe il potere di ripristinare l’elettricità da tempo interrotta in paese. Qualche giorno più tardi, però, non solo la carta bianca non aveva riportato a Fontamara la corrente elettrica, ma aveva anche portato via quella del fiume, curiosamente indirizzandola proprio ai possedimenti del cavaliere, impresario nonché potestà del paese.

Contadini in tumulto, squadristi spietati, accordi che prevedono un’ “equa” redistribuzione delle risorse idriche tale che “i tre quarti del fiume siano destinati ai contadini e i restanti tre quarti all’imprenditore”: questa la cornice del romanzo d’Ignazio Silone “Fontamara”. Una spietata analisi delle dinamiche sociali durante il regime fascista, una storia di soprusi perpetrati con successo e resistenza fallita per ignoranza e mancanza di coscienza di classe. Una storia di macchie che l’acqua, anziché lavare via, ha provocato.

Eppure non è una novità che l’acqua da fondamento di vita aggregata e collante di civiltà (si pensi al Tigre e all’Eufrate), diventi frontiera, motivo di contesa tra due rivali. E la parola non poteva essere più calzante. Deriva, infatti, dal latino rivus, fiume, e rivalis è colui che del fiume occupa la sponda opposta. E quanto più prezioso è il bene conteso, tanto più la sfida tra i due “con-correnti” si fa dura. E l’acqua è molto preziosa.

Lo sa bene Jackson, capitale del Mississippi, che lo scorso mese ha fatto fronte a un’emergenza idrica dalla portata fino ad allora inaudita, ma prevedibile risultato del processo di deterioramento delle infrastrutture idrauliche, irrimediabilmente compromesse dall’esondazione del fiume Pearl a seguito di piogge torrenziali. “I sistemi idrici statunitensi sono stati costruiti per un clima che non esiste più”, spiega Jesse Keenan, professore all’università Tulane di New Orleans.

Eppure non si tratta soltanto della precarietà del sistema idrico, quanto della fragilità del tessuto economico-sociale emersa a partire dagli anni Quaranta, quando era pratica diffusa rifiutare il contratto di mutuo a richiedenti neri perché giudicato eccessivamente rischioso. Il risultato? Cittadini discriminati tanto sul piano razziale che economico si risolsero ad aggregarsi in sobborghi insalubri, in precarie condizioni igienico-sanitarie. 

Qualche decennio più tardi, il processo di desegregazione ha stimolato una “white flight” (fuga bianca) senza precedenti al punto da generare un assottigliamento della popolazione bianca, che ammontava nel 1980 al 52%, al 16% di residenti nella capitale. Il fenomeno ha prodotto un calo generalizzato del benessere economico dal momento che chi era rimasto fedele alla città beneficiava di un reddito medio-basso. Dunque, mentre la base imponibile si riduceva drasticamente, le infrastrutture idrauliche continuavano a deteriorarsi, senza possibilità di un intervento economico efficace.

Nel 2021, a seguito dell’approvazione al congresso della legge sulle infrastrutture, 550 miliardi sono stati stanziati per la causa, ma si teme non saranno sufficienti. A prescindere dalle specifiche del caso, tuttavia, Jackson è l’esempio lampante di quanto la crisi dell’acqua, bene di necessità universale, inasprisca particolarismi e divisioni preesistenti, trasformando i concittadini in rivali; un promemoria di quanto la crisi climatica sia sfaccettata, composita nelle cause e variabile negli effetti, tanto più importanti quanto più fragili sono le comunità che colpisce. 

Per questo, soluzioni specifiche a problemi specifici non sempre sono la giusta chiave del puzzle. È necessario pensare al quadro generale e approcciarvisi in maniera olistica. Si lavora dunque alla possibilità di applicazione di misure più generali che tuttora, però, restano solo ipotesi. La prima contraddizione da dirimere è la seguente: come stimare un prezzo per un bene inestimabile? Il basso prezzo dell’acqua e il fatto che la produzione industriale non la includa tra i parametri di produzione ne è un evidente segnale di svalutazione. Valutiamo l’acqua presupponendo che ce ne sarà sempre a sufficienza. Non potremmo essere più lontani dal vero.

Aumentare il prezzo sarebbe dunque una delle varie ipotesi al vaglio ma, se da un lato limiterebbe gli sprechi, garantendone una maggiore disponibilità, la dissalazione dell’acqua del mare, processo sconveniente in termini economici ed energetici, sarebbe incentivato dall’aumento di valore dell’acqua. Ma a quale costo? Il prezzo dell’acqua e, a sua volta, quello dei beni di consumo lieviterebbe, gravando sulle spalle delle fasce più deboli, i “cafoni” di Silone, gli sconfitti della storia.

Molti sono ancora i nodi da sciogliere in una crisi in cui le ragioni economiche sono in conflitto con la tutela dei diritti umani. Ma tanto più avverse sono le circostanze, tanto più significative le conquiste. Città del Capo va annoverata in uno degli esempi virtuosi. Dal 2018 aveva annunciato per la prima volta l’avvento del Day Zero, giorno in cui la popolazione sudafricana sarebbe rimasta ufficialmente a secco. La prospettiva ottenne un’attenzione mediatica senza precedenti, al punto che i telegiornali dele reti nazionali non mancavano mai di annunciare regolarmente quanti mesi separavano Città del Capo dal collasso idrico. Collasso che, dapprima rimandato di qualche mese rispetto alla data prospettata, fu posticipato di un anno e, infine, venne rimandato a data da destinarsi. E tutto grazie all’iniziativa dei cittadini.

Lasciando a chi di competenza le soluzioni di più ampio respiro, tutto ciò che ci resta è mettere in atto quelle piccole ma gigantesche azioni individuali che, mosse dalla consapevolezza, ci hanno salvato una volta e possono farlo ancora. Senza dimenticare di non firmare mai sospette “carte bianche” che ci getterebbero sulla sponda sbagliata della storia.

A cura di Veronica Alessio

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