L’arte di saper suonare al citofono (per fare politica)

L’arte di saper suonare al citofono (per fare politica)

Tutti, da bambini, l’abbiamo fatto almeno una volta. Ci siamo avvicinati di soppiatto ad un portone sconosciuto, abbiamo suonato a un campanello qualunque e poi siamo corsi via ridendo per non essere scoperti. Ci sono persone, però, che evidentemente non sono mai cresciute. Si fermano ancora davanti ad un citofono, aspettando che qualcuno risponda, per chiedere: “È vero che in questa casa si spaccia?”.

Facciamo un passo indietro. Si avvicinano le tanto attese elezioni regionali in Emilia Romagna, momento talmente importante nell’agenda politica italiana 2020 da mobilitare gran parte della campagna elettorale, delle risorse e dei leader dei partiti, e tra alleanze e manifesti non manca però la politica porta a porta. In tutti i sensi. Il leader della Lega Matteo Salvini si reca al Pilastro, quartiere popolare nella periferia di Bologna e chiede ad un’anziana signora come si viva nel quartiere, famoso per il suo disagio sin dagli anni di piombo. La signora spende il suo quarto d’ora di celebrità ad indicare il campanello di una famiglia di origine tunisina e additarli come spacciatori, per cui il Capitano non perde l’occasione e suona, circondato da telecamere e citofoni. “Buongiorno, buonasera! Lei è al primo piano? Ci può far entrare, cortesemente? No, perché ci hanno segnalato qualcosa di sgradevole e volevo che lei la smentisse. Ci hanno detto che da lei parte una parte dello spaccio della droga qua in quartiere…”. La persona all’altro capo del citofono, che si scoprirà poi essere il padre di famiglia, attacca.

Più tardi il leader politico ribadisce con toni spiacevolmente sarcastici che difficilmente gli verrà permesso di salire. “Quando ero giornalista mi divertivo molto a fare queste cose”, dice mentre suona ancora e ripetutamente al campanello. Il tutto viene trasmesso in diretta Facebook, dove il video rimarrà per qualche giorno ancora prima di essere cancellato. Nel frattempo, tutti vengono a conoscenza dell’accaduto, del cognome della famiglia, esplicitamente pronunciato nel video, e del volto della signora che si è voluta fare giustizia da sola.

Sulla vicenda, che sembra uno spettacolo teatrale è necessario chiarire l’identità dei personaggi. Anna Rita Biagini, 61 anni, abita al Pilastro da tre decenni, dichiara di girare con la pistola per paura di essere aggredita, a Salvini confessa anche di avere un figlio morto per overdose e che combattere lo spaccio è diventata la sua missione. Yassin, 17 anni, è nato in Italia e gioca a calcio nell’Imola, precedentemente convocato nella Nazionale Italiana di calcio, tra pochi mesi diventerà maggiorenne e poi padre. Matteo Salvini, 47 anni, ex Ministro degli Interni, ex giornalista, indice di gradimento intorno al 30%, suonatore di citofoni in periodo di campagna elettorale.

Tra la donna stanca del degrado e il ragazzo a cui “è stata rovinata la vita”, come da lui stesso dichiarato a Piazza Pulita, si posiziona il politico, o meglio ciò che il politico rappresenta oggi. Una persona che si nutre dei sentimenti più gutturali e profondi dell’uomo, che nutre gli stomaci degli italiani di paura, un professionista capace di convertire i sentimenti più profondi e nascosti degli elettori in azioni politiche. Nell’era del populismo, la politica perde la capacità di sollevarsi in un nobile volo al di sopra degli istinti animali e di agire razionalmente. Nell’era del populismo l’uomo ragiona da animale.

Succede poi che, come in tutte le commedie (o tragedie, a voi il giudizio finale), ci siano dei personaggi secondari che agiscono di contorno. Moez Sinaoui, ambasciatore tunisino in Italia, esprime preoccupazione per il comportamento di un senatore della Repubblica Italiana che ha lanciato una “provocazione senza rispetto del domicilio privato”. Osama Sghaier, vicepresidente del Parlamento tunisino, si spinge oltre, dichiarando a Radio Capital che quello di Salvini è “un atteggiamento razzista e vergognoso che mina i rapporti tra Italia e Tunisia”. Poi c’è l’alleata Giorgia Meloni, leader del partito Fratelli d’Italia, che dichiara che lei non lo avrebbe mai fatto, ma sempre a Piazza Pulita aggiunge “È un giornalista figlio del suo tempo, molti suonano ai campanelli oggi”. “Ma lui è stato Ministro”, le fanno notare.

Ultimi, ma non meno importanti, sono quei personaggi corali che hanno preso parte al video: da una parte i giornalisti che ridacchiano della scena, dall’altra quelli che da poco lontano inveiscono contro Salvini invitandolo a “tornarsene al Papeete”. Nessuno però che si avvicini all’ex Ministro e lo rimproveri come facevano le nostre mamme quando andavamo a suonare i citofoni degli sconosciuti per gioco. Sta sbagliando e forse non se ne rende conto, ma nessuno, vicino a lui, gli fa notare l’errore.

Non siamo forse tutti così oggi, timorosi di ribellarci a scene che ci fanno rigirare lo stomaco e che ci riempiono di vergogna?

Articolo a cura di Raffaella De Meo

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