Las Vegas, terrore o mera follia omicida  nella città del “peccato”? L’Isis rivendica l’attacco, ma i dubbi restano

Las Vegas, terrore o mera follia omicida nella città del “peccato”? L’Isis rivendica l’attacco, ma i dubbi restano

I tragici eventi di Las Vegas riaprono la scabrosa questione del secondo emendamento e gettano nuova luce sull’immane problematica dei rapporti tra islam e occidente, nel caso in cui la rivendicazione dovesse rivelarsi attendibile.

Cinquantotto morti e cinquecentoquindici feriti nel cuore di quella che viene definita, nell’imaginario popolare, la città del peccato, o del vizio. Tale è attualmente il macabro bilancio, destinato con ogni probabilità a crescere, stilato dalle autorità statunitensi e dello Stato del Nevada per quanto concerne la carneficina (poiché tale è stata) che ha avuto luogo alle 22.30(7.30 italiane) ora locale nei pressi del Mandalay Bay Casinò Hotel di Las Vegas. Un uomo, impiegando un fucile automatico, ha  aperto il fuoco sulla folla sottostante dal trentaduesimo piano dell’edificio, provocando il panico tra gli innocenti radunatisi  in loco al fine di assistere ad un concerto country, il festival “Route 91. Harvest”, ovvero una ricorrenza che si stava svolgendo in relativa tranquillità prima che questo atto di inusitata cruenza si consumasse. I colpi esplosi dall’aggressore sono stati inizialmente(ed erroneamente) scambiati per fuochi d’artificio, fatto che ha in principio inibito la capacità di reazione delle vittime. La polizia(che è ancora restia a parlare di terrorismo) ha prontamente identificato l’origine degli spari e setacciato l’area alla ricerca di prove, riuscendo in un arco di tempo relativamente breve a stilare un identikit attendibile del ricercato 64enne Stephen Paddock, convertitosi all’Islam 6 mesi fa secondo quando riportato da alcuni media, che ha dispensato morte sugli spettatori per poi suicidarsi prima di venire catturato dalle autorità locali, arrivando a ferire addirittura alcuni agenti di un dipartimento di polizia limitrofo recatisi con i loro colleghi al festival per potervi assistere.

Mentre gli Stati Uniti si abbandonano impietriti al susseguirsi degli eventi e il Presidente Donald Trump osserva un minuto di silenzio, l’attacco riapre vecchie ferite mai rimarginatesi all’interno del panorama socio-politico americano, a partire dall’acceso dibattito sulla legittimità e propedeuticità al mantenimento della pubblica sicurezza (in tempi moderni) del secondo emendamento alla Costituzione, che garantisce il diritto ad ogni cittadino degli States di possedere (legalmente) un’arma, sia essa di tipo militare o da tiro a segno. Il testo dell’emendamento recita : « A well regulated Militia, being necessary to the security of a free State, the right of the people to keep and bear Arms, shall not be infringed. » – in italiano – « Essendo necessaria, alla sicurezza di uno Stato libero, una milizia ben regolamentata, non potrà essere infranto il diritto dei cittadini di detenere e portare armi. ». I padri costituenti americani approvarono il testo poco dopo l’ottenimento dell’indipendenza da parte delle 13 colonie, e si assistette ad un vero e proprio exploit della detenzione e vendita di armi da parte di privati cittadini in occasione della conquista dell’Ovest americano, dove la legge era più un concetto metafisico che reale , immortalata da un apparentemente interminabile susseguirsi di opere cinematografiche atte a celebrare l’eroismo dei pionieri che percorrevano la Highway, senza alcuna consapevolezza di cosa avrebbe portato il futuro. Per secoli,  decenni, e negli Stati conservatori ancora oggi, nell’immaginario popolare americano ( Manifest destiny etc…) la possibilità di poter essere titolari di un’arma da fuoco ha costituito non solo motivo d’orgoglio , ma anche un simbolo di libertà e indipendenza individuale di cui fregiarsi. Una sorta di altare edificato al rapporto di reciproca fiducia tra governo e cittadino, oltre a rappresentare l’opzione  più pratica per evitare il crollo degli utili della prima industria americana, ovvero quella militare e delle armi. L’attuale titolare della presidenza, il celebre o famigerato (a seconda delle sensibilità) Donald Trump era addirittura arrivato a definire il possesso delle armi da fuoco una garanzia di sicurezza per il paese, dicendo che agli europei ciò che mancava per potersi tutelare dall’aggressione islamista erano proprio un po’ di armi in casa.

Ebbene che sia il terrorismo internazionale di matrice islamica o mera follia omicida, il killer ha stavolta messo a segno un colpo devastante, in termini di valore simbolico e non solo militare del gesto, al cuore del capitalismo e del liberalismo occidentale. Colpire Las Vegas implica colpire un modello di libertà totale, sfrenata, quasi anarchica e unica nel suo genere. La città che viene più frequentemente presa di mira nei pomposi discorsi colmi di retorica moralista dei neo-paladini difensori del perbenismo. Un simbolo da abbattere, sfregiare, umiliare per qualsiasi fanatico degno (o in-) di tal nome , al fine di lanciare un chiaro messaggio al mondo.

E qui si apre la seconda questione, ovvero la capacità da parte dei “lupi solitari” (agiscano essi per conto di organizzazioni quali Daesh o di propria iniziativa) di mettere in crisi il sistema di sicurezza della prima potenza mondiale con un singolo imprevedibile atto di follia. Come si può difendere una metropoli dai gesti isolati di singoli soggetti classificabili come sociopatici, che tuttavia sono in grado di sconvolgere la quotidianità di un’intera comunità prendendo di mira i luoghi di riunione e di socializzazione? A mio modesto parere impedire ai soggetti sociopatici di procurarsi armi d’assalto come pop-corn al cinema costituirebbe già un rimarchevole passo avanti, e credo che ben presto anche la maggioranza dell’opinione pubblica americana lo realizzerà. Ci troviamo di fatto ormai di fronte ad un mondo in cui, tramite soprattutto la rete, gesti di quotidiana follia da parte di emarginati sociali di ogni sorta vengono propagati sotto forma di filmati ad una rapidità inconcepibile, generando una reazione a catena di panico, o nella peggiore delle ipotesi di emulazione. Sta alla classe politica delle democrazie trovare una nuova via in grado di garantire stabilità e pacifica convivenza all’interno delle nostre comunità tutelando i diritti di tutti e riducendo le disuguaglianze socio economiche che spesso costituiscono la radice (ma che non devono assurgere al ruolo di giustificazione morale) di queste situazioni.

La nostra civiltà è ormai giunta ad un bivio, deve scegliere se venire guidata da coloro che propongono una limitazione sostanziale delle libertà di cui oggi godiamo in nome della sicurezza o (come nel caso del fondamentalismo) di una qualche forma di non meglio specificata ira divina o da coloro che si ergono a baluardo delle libertà individuali e civili per poi di fatto disertare il proprio ruolo per inseguire il vento politico del momento. Al fine di compiere una scelta di tale portata è necessario che tutti si informino diventando cittadini consapevoli, e non rimanendo relegati al ruolo di passivi “consumatori” di notizie o informazioni. Che sia terrorismo o un semplice gesto individuale ciò che ha sconvolto Las Vegas non è il primo e certamente non sarà l’ultimo assalto ai pilastri della nostra società democratica, e se vogliamo evitare che essa collassi, poiché è a questo che mirano i suoi nemici, è necessario assumersi le proprie responsabilità e capire che non è permesso cedere al timore e alle minacce. Dobbiamo continuare a vivere appieno le nostre libertà, o la daremo vinta a coloro che intendono piegarci. Possa Las Vegas ricordarci, con le sue contraddizioni e le sue innumerevoli attrazioni, il dono più grande di cui usufruiamo, la possibilità di scegliere liberamente quante fiches puntare su di noi, sul nostro futuro e su quella grande scommessa che è la vita.

 

A cura di Edoardo Chiais

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