I recenti accordi firmati tra Matteo Renzi e il premier Li Keqiang, per un valore complessivo di circa otto miliardi di euro, rappresentano solamente gli ultimi di una lunga serie di investimenti del gigante rosso nel Bel Paese.
Secondo dati Mofcom gli investimenti diretti esteri (IDE) cinesi sono passati da 4 a 300 miliardi di dollari in poco più di un decennio.
Una cospicua parte di essi è diretta verso l’ Europa e specialmente verso l’Italia, diventata con le novelle acquisizioni di Ansaldo Energia, Breda, Ferretti e Cdp Reti, il terzo paese UE per numero di capitali cinesi investiti.
Ma se dal punto di vista nostrano il crescente interesse nei confronti del colosso asiatico può essere spiegato in riferimento alla perdurante stagnazione economica, meno scontato è comprendere gli interessi della controparte.
Sono vari infatti i motivi che spingono la Cina ad investire nel mercato comunitario: innanzitutto la possibilità di promuovere i loro marchi nel mercato internazionale; è il caso ad esempio di Huawei, società specializzata negli smartphone lowcost, o Haier, leader nel settore della refrigerazione e delle lavatrici, nonché autrice di varie acquisizioni di aziende europee ed italiane ( Meneghetti).
Investimenti dettati dalla necessità di superare le barriere tariffarie imposte dall’ UE ma anche di realizzare beni per il mercato continentale e per la fascia più alta di quello cinese, migliorandone design e produzione.
Il mercato europeo permette alle imprese di acquisire notevoli capacità manageriali e di colmare eventuali gap in termini i di tecnologie e competenze specializzate, come dimostra il centro di ricerca e sviluppo aperto a Torino dalle imprese del settore automobilistico Changan e Anhui.
D’altro canto le maggiori difficoltà incontrate fino ad oggi dalle imprese dell’Estremo Oriente risiedono nella scarsa capacità di calarsi in realtà aziendali molto distanti culturalmente e spesso in notevoli difficoltà finanziarie, cause queste che potrebbero compromettere il buon esito degli investimenti.
E mentre in Europa ci si interroga sul reale impatto di tali operazioni, con un’opinione pubblica divisa tra coloro che vi vedono nuove occasioni per rilanciare il vecchio continente, e quelli preoccupati per la massiccia presenza del gigante asiatico nel mercato occidentale, sempre più alla ricerca di risorse strategiche, sono in pochi a domandarsi quali conseguenze avrà, nello scacchiere globale, la rallentata crescita economica della seconda potenza mondiale, che si trova a fronteggiare gravi difficoltà nel settore bancario e di domanda interna.
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