È difficile non reagire emotivamente di fronte alle difficoltà causate dalla pandemia del Coronavirus. Al tempo stesso però, occorrono risposte immediate, sia a livello nazionale che europeo. In altri termini, sono necessarie adeguate politiche fiscali da parte dei singoli Stati, e politiche monetarie da parte della BCE.
In realtà quest’ultima ha già avviato una politica monetaria non convenzionale nota come Quantitative Easing (QE), ma non basta. Questa manovra consiste nell’acquisto, da parte della BCE, di titoli attraverso un intervento espansivo di mercato aperto, con lo scopo di immettere liquidità nel sistema. Le banche commercialisono poi obbligate dalla BCE a drenare questa liquidità nei confronti di imprese e famiglie, concedendo prestiti a tassi molto bassi. Il QE provoca, cioè, la riduzione del premio per il rischio.
Esso incide in modo rilevante per la determinazione del tasso di interesse sui prestiti, poiché le banche fissano i tassi in base al grado di solvibilità del debitore. In questo senso il QE agisce positivamente per quanto riguarda la riduzione dello spread, inteso come differenziale di rischio tra titoli tra gli Stati. Tuttavia, gli effetti di questa manovra sono estremamente lenti riguardo la riduzione del debito pubblico. La spiegazione di questa logica è intrinseca nel QE stesso. Quest’ultimo infatti spinge gli Stati ad indebitarsi in considerazione dei tassi bassi e quindi ad aumentare il deficit.
L’approccio più razionale sarebbe quello di evitare che la crisi del Coronavirus aumenti i debiti nazionali. Ci sono da questo punto di vista diverse possibilità di politica monetaria da poter attuare.
Veniamo alle decisioni politiche attuate in casa nostra.
Il Governo italiano ha adottato la politica della flessibilità fiscale, che include sospensione di rate su mutui o prestiti alle imprese nonché deroghe ai pagamenti delle imposte.
Gran parte della spesa pubblica si è focalizzata sul potenziamento delle strutture sanitarie nazionali e sulla distribuzione di risorse finanziarie nei confronti di famiglie e imprese per fronteggiare al meglio l’emergenza. Grazie a queste azioni è stato possibile per le imprese italiane medio-grandi spostare la loro produzione in versanti strettamente sanitari o comunque essenziali senza eccessive onerosità.
È in periodi straordinari che maturano grandi scelte. Queste però, non possono consistere né in aiuti al di fuori dall’Europa, né con l’uscita dall’Europa stessa. Inprimis perché tutto il mondo è colpito dalla pandemia edi conseguenza ogni Stato pensa ai propri interessi. In secondo luogo uscire dall’Europa sarebbe anacronistico rispetto all’irreversibile processo di globalizzazione, di cui il virus è l’estrema conseguenza.
La crisi del Covid19 deve farci fare un passo avanti per la condivisione di rischi tra Paesi membri che, anche se colpiscono in modo diverso le singole realtà nazionali, ci trovano tutti vulnerabili e interdipendenti.
Articolo a cura di Luca Maria Lochi