L’Europa ed il diritto fra presente e futuro: alcune ipotesi sull’avvenire

L’Europa ed il diritto fra presente e futuro: alcune ipotesi sull’avvenire

INTERVISTA AL PROFESSOR GEMINELLO PRETEROSSI

1. Quali sono le considerazioni che possono essere fatte sull’attuale scena politica italiana ed europea, come questo influenza la società – ricollegandosi alla riforma del Senato -?

Il discorso sull’Italia va inquadrato in un contesto che vede, a livello europeo, la crisi del concetto di “Stato-Nazione”. Se a livello mondiale esistono “super-Stati”, spesso a carattere federale, capaci di imporsi attraverso la gestione delle proprie risorse economiche e militari. La situazione geopolitica, caratterizzata da un positivo multipolarismo, ci mette di fronte al fatto che la storia non sia finita, che non ha trionfato un solo modello socio-politico. In questo quadro, però, l’Europa non riesce ad essere un “grande spazio” civile, a causa delle sue tradizioni costituzionali. Questo ha un riverbero enorme per coloro che la compongono, essendo l’Europa una realtà interstatale non definita. Questo è un male: il non sapere quali siano gli obiettivi non è una risorsa straordinaria, poiché incapace di rispondere alle sfide della globalizzazione. L’Europa o è un’Europa federale – gli Stati Uniti d’Europa – oppure non può essere altro, nonostante attualmente sia irrealistico pensare a questo modello. Il risultato però è che la Germania, lo Stato più forte per ragioni economiche, risulti disponibile ad assumersi solo gli onori, ma non gli oneri, di una leadership europea. La Germania ricava la propria forza sia da meriti propri, sia da quelle che la stessa Merkel chiama “gli errori concettuali” dell’euro. Nel frattempo tutti gli altri paesi vivono una crisi di legittimazione, i cittadini incapaci di credere non solo nell’Europa, ma nemmeno nelle classi dirigenti nazionali, che sembrano obbedire a logiche non derivanti dalla sovranità democratica. La piramide sociale si allunga e ciò è non solo un problema etico, politico, sociale, ma anche economico e riguarda la tenuta della società e dei suoi valori. Le classi politiche di governo sono chiamate a funzionalizzarsi ai poteri reali, senza poter esercitare un rapporto di forza effettivo. Si altera il circuito legittimazione-responsabilità. In tutto questo il populismo non è la causa ma un sintomo del problema della rottura fra cittadino ed istituzioni. Io credo che la politica, in questa situazione, sembri inutile, se non dannosa – privatizzazione della politica -.

La riforma del Senato, in quest’ottica, è un modo per distrarre il Paese, non il problema fondamentale da risolvere. Si manomette la costituzione per ricavarne flessibilità economica, “rompendola”. La “decisione purché sia” non è sensata, giusta. La prima urgenza, secondo me, non è la riforma del senato, ma porre le condizioni per una ricostruzione della partecipazione democratica, un riconoscimento del sistema politico. O il senato ha una sua funzione, ovvero di garanzia legislativa e costituzionale, o tanto vale abolirlo. Con il sistema maggioritario devastante dell’Italicum c’è bisogno di contrappesi allo strapotere della maggioranza, soprattutto nel nominare cariche di garanzia (Presidente della Repubblica, giudici costituzionali, authority etc.). Negli usa ad esempio il senato ha una funzione federale e per questo risponde ad una determinata struttura.

2. Quali sono le storture della zona euro che ha nominato?

Io ho pensato che l’euro potesse costituire una garanzia esterna, ma trovo sia stata una scelta pericolosa crearlo senza assumersi il carico di un’unità politica, che una moneta in comune implica. Se pretendi che sia la moneta a produrre la comunità politica, commetti un errore di valutazione, perché il piano politico implica un’esplicita assunzione di responsabilità. L’ipotesi di realizzare l’integrazione attraverso la moneta è fallita, questo è il primo punto. C’è bisogno di una governance europea che attualmente non esiste, e per farlo sarebbe stato meglio partire da una base più ridotta, magari coincidente con i Paesi fondatori. Ci volevano un governo ed un parlamento che adempissero pienamente ai loro compiti in un’ottica comunitaria. Al contrario, così com’è l’euro compromette la base democratica, essendo privo di un’autorità politica che lo bilanci.

Punto due: c’è un problema economico, in quanto l’euro sta producendo divergenze fra le nostre strategie di sviluppo, mettendoci in competizione l’uno contro l’altro. Le riforme attuate finora, non solo in Italia, sono volte ad una riduzione delle tutele lavorative, taglio delle pensioni e finiscono con l’essere responsabili dell’aumento della disoccupazione, compromettendo la stessa democrazia, producendo ostilità e rancore sociale che possono riversarsi sul piano politico. Il modello assunto è quello della competizione ed esportazione verso l’estero, tenendo contenuta la domanda interna. Per farlo si sottostimano i salari, diminuendo il potere d’acquisto ed i consumi, causando però allo stesso tempo una situazione tesa dal punto di vista politico, che rischia di prendere il “diverso” come capro espiatorio, riportandoci ad un autentico fascismo. Ciò accade perché la situazione, essenzialmente, lo consente.

3. La competizione inter-europea ha effetti sul diritto, livellando verso il basso le tutele legali al fine di attrarre investimenti, contribuendo alla sua crisi odierna?

Ci sono chiavi di lettura differenti: una che afferma la straordinaria fioritura del diritto in concomitanza con l’affrancamento dal potere statale, con cui mi trovo in disaccordo; l’altra è che il costituzionalismo mondiale viva un processo di decadenza. L’unico diritto internazionale che vede un’ascesa, attualmente, è quello commerciale, a differenza di quello pubblico e costituzionale, per esempio. Da questo punto di vista vedo una crisi del diritto globale, e non credo che il diritto commerciale attualmente in affermazione sia sufficiente per fare ordine in una società tanto complessa, ma che esso persegua gli interessi di una particolare declinazione del neoliberismo, assumendo per certo l’autoregolamentazione del mercato, quando in realtà la crisi del 2008 è stata determinata dall’impazzimento del debito privato dovuto proprio alla deregolamentazione. La situazione si è aggravata con l’immane pubblicizzazione del debito privato, la quale ha aggravato le condizioni dei bilanci statali e trasferito la crisi sul piano del debito pubblico. Ci hanno raccontato che il problema fosse appunto il debito pubblico, quando la questione effettiva è l’impazzimento del debito privato e della finanza internazionale, perché un mercato deregolamentato finisce per implodere.

Come afferma Weber, i prodotti della modernità sono lo Stato nazionale ed il capitalismo, i quali sono strettamente correlati: senza la componente giuridica e gli investimenti pubblici, il capitalismo non può sopravvivere. Se il capitalismo riesce a strumentalizzare ogni aspetto della realtà, comprese le nostre stesse menti, divenendo endemico nel nostro pensiero, la situazione diviene critica, sebbene non disperata: dobbiamo ricordarci che esistono sempre ulteriori possibilità di costruire la realtà di cui facciamo parte.

4. Il tentativo di diffondere ovunque un modello giuridico omogeneo, perpetrato dall’ONU soprattutto per quanto riguarda il commercio, per esempio, o dall’UE per le norme sulla competitività, sul lavoro e sulla circolazione di merci e persone, potrebbe essere visto come una forma di imperialismo, di tentativo di colonizzazione giuridica ed economica?

Il rischio c’è ed è un processo che sta avvenendo tutt’ora. In alcune zone europee si assiste ad un processo di resistenza fisiologica al livellamento giuridico. I popoli, sentendosi espropriati, attualmente cercano di trovare modi per sentirsi indipendenti, fra cui trovare un capo carismatico in cui rispecchiarsi. La saldatura della questione sociale ed identitaria contro quest’omologazione, tuttavia, non è la soluzione, bensì il sintomo di un malessere. Tale saldatura può verificarsi anche in contesti costituzionali, in chiave progressista piuttosto che nazionalista. In Grecia ci hanno provato, in fondo, sebbene abbia dovuto affrontare una situazione difficilissima senza trovare appoggio negli altri Paesi. Penso che se ci fosse una connessione fra i Paesi del Sud Europa, assieme alla Francia, la quale vive un momento di impoverimento economico, si potrebbe auspicare ad un cambiamento del modello europeo, o per lo meno ci sarebbe il margine per un tentativo, se non altro perché alcuni nodi, nei prossimi anni, verranno al pettine.

5. Tornando a parlare di Europa e del suo rapporto con le altre potenze: sarebbe auspicabile che l’Europa appoggi la Russia creando un fronte comune contro l’egemonia statunitense, o piuttosto sarebbe meglio, per l’Europa, trovare una strada autonoma?

Sarebbe sicuramente meglio la seconda. Penso che nei confronti della Russia come verso altre realtà ci sia un atteggiamento ipocrita. Non mi piace e non mi è mai piaciuto il governo di Putin perché non garantisce le libertà civili e democratiche. Tuttavia non credo si possa imporre lo standard democratico dall’esterno. Sono le società che fanno fiorire la democrazia dall’interno. Distinguiamo il giudizio interno sul regime – positivo o negativo – dalla valutazione geopolitica. Non mi sembra molto intelligente, da questo punto di vista, demonizzare la Russia. Una parte di Ucraina è russa, non possiamo rovesciare questo fatto, ed all’interno dei sostenitori della causa ucraina ci sono individui di ogni genere, persino nazisti, criminali etc. Si accende la favoletta umanitaria a comando, quando in realtà vi sono giudizi di carattere geopolitico. Non sarà meglio adottare un sano realismo politico, per poi affrontare le battaglie culturali necessarie per quanto riguarda i diritti? Dal suo canto, l’Europa deve concentrarsi sul piano geopolitico, cercando di comprendere anche le ragioni dell’altro – nella vicenda ucraina le ragioni non stanno tutte da una parte, per non parlare della Siria, dell’Isis ed altri -. Se vogliamo evitare i disastri dobbiamo capire le ragioni delle parti. Se conduciamo una valutazione politica seria siamo in grado di capire le cause dietro ai fenomeni, il quale è il primo passo per risolvere le situazioni di conflitto.

 

A cura di Francesco Cocozza e Riccardo Antonucci

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